Il quartier generale della NATO accoglie i neonazisti dell’Azov

Articolo di Moss Robeson, 17/10/2024

Un paio di giorni fa, i rappresentanti della famigerata Brigata Azov della Guardia Nazionale Ucraina (NGU) “hanno tenuto numerosi incontri presso la sede della NATO” a Bruxelles. Tra gli altri funzionari della NATO, la delegazione Azov ha incontrato Marie-Doha Besancenot, assistente del Segretario generale per la diplomazia pubblica. Hanno inoltre partecipato a un evento presso l’European Policy Centre, un think tank parzialmente finanziato dall’UE. Ieri hanno incontrato il “Group of Friends of Ukraine in the European Parliament” e Marta Wytrykowska, vice capo della divisione Ucraina del Servizio diplomatico dell’Unione europea.

“Jedi”, il cui vero nome è Serhii Rotchuk, o Serhii Grushin, ha guidato la delegazione. All’inizio dell’anno è stato uno degli azoviti invitati a giocare a golf alla Joint Base Andrews, fuori Washington. “Jedi” è uno dei leader del servizio medico della brigata NGU Azov. Ha sottolineato che Azov si addestra secondo gli standard della NATO. Nel suo post più vecchio su Instagram, del 2019, indossa una maglietta “Rock Against Communism” prodotta da un marchio di Black Metal nazionalsocialista affiliato al gruppo hardcore neonazista “Wotanjugend”, originario della Russia. L’anno scorso ha espresso interesse per un libro di Léon Degrell, il collaboratore nazista che ha guidato il partito di estrema destra Rexist in Belgio.

Serhii Rotchuk / Grushin indossa la maglietta “Rock Against Communism” (Rock contro il comunismo)

Il rappresentante dell’Azov più sorprendente è stato Nestor Barchuk, che sembrava fuori luogo come presunto “combattente”. Altri rapporti hanno chiarito che si tratta del “coordinatore delle relazioni internazionali” di Azov, o forse più probabilmente del “consulente legale della brigata”. Barchuk è il responsabile delle relazioni internazionali della Fondazione DEJURE, una “ONG leader nella riforma giudiziaria” con numerosi finanziatori internazionali, tra cui l’UE, il Consiglio d’Europa, il National Endowment for Democracy degli Stati Uniti, i Paesi Bassi e la Germania. Dal 2021, Barchuk ha scritto almeno quattro articoli (tre con il suo capo, Mykhailo Zhernakov) per l’Atlantic Council, un influente think tank di Washington che annovera la NATO tra i suoi sostenitori finanziari.

“La propaganda russa ha avuto successo”, ha dichiarato Barchuk all’European Policy Centre, riferendosi a “quelle narrazioni della propaganda russa secondo cui noi siamo nazisti e di estrema destra”. Seduto accanto a lui, “Jedi” ha preso un bicchiere d’acqua e sembrava stesse per scoppiare a ridere. “Non abbiamo opinioni politiche”, ha detto Barchuk, ma ha fatto marcia indietro quando il suo co-panelist gli ha lanciato un’occhiata divertita. “Voglio dire, lei capisce. Non abbiamo nessun… mmm… nessun tipo di… uhh… gruppi… nessun tipo di gruppi orientati politicamente nella brigata”. Nella primavera del 2022, poco prima che Azov si arrendesse a Mariupol, Barchuk ha elaborato in un articolo per l’importante testata in lingua inglese New Voice of Ukraine: “I combattenti di estrema destra hanno lasciato Azov volontariamente o sono stati espulsi dall’unità dal nuovo comando nel 2017”. Forse non si sentiva a suo agio nell’affermare ciò di fronte al sorridente “Jedi”, che si è unito ad Azov per la prima volta nel 2015.

“Jedi” reagisce alla notizia che i combattenti di Azov “non hanno opinioni politiche”.

Nestor Barchuk, un DJ dilettante, […] è felice di recitare la parte del portavoce liberale di Azov. Si tratta di un nuovo ruolo per Barchuk, quindi non è chiaro se Bruxelles sia stata un’occasione unica. Sua madre, Myroslava Barchuk, è una presentatrice televisiva e vicepresidente di PEN Ucraina. Suo padre, Danylo Lubkivsky, ex viceministro degli Affari esteri (2014), è il direttore esecutivo del Kyiv Security Forum, “la principale piattaforma internazionale dell’Ucraina”. Nel 2019, Lubkivsky è entrato a far parte del Consiglio di coordinamento del “Capitulation Resistance Movement” che si è alleato con il movimento Azov per minacciare una nuova “rivoluzione Maidan” contro Volodymyr Zelensky se avesse negoziato con la Russia.

Il resto della delegazione di Azov era composto da tre donne: Anastasia Lytvynenko, una veterana di Azov dell’assedio di Mariupol che è stata liberata in uno scambio di prigionieri; Yevhenia Synelnyk, la sorella di un altro combattente di Azov che rimane in prigionia russa; e Marianna Khomeriki, un’ex addetta stampa del Reggimento di Azov (2017-21), che ha assunto un ruolo simile nell’Associazione delle famiglie dei difensori di Azov affiliata alla NGU Azov.

Khomeriki ha effettivamente partecipato all’evento dell’European Policy Centre come rappresentante del Quartier Generale di Coordinamento per il Trattamento dei Prigionieri di Guerra, che Wikipedia descrive come “un organo ausiliario temporaneo del Gabinetto dei Ministri dell’Ucraina per il coordinamento delle attività di varie autorità, forze dell’ordine e associazioni pubbliche”. Questo organismo è guidato dal capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov, che a questo punto potrebbe essere il principale sostenitore del movimento Azov. Il portavoce di Budanov, Andriy Yusov, un altro ex coordinatore del “Capitulation Resistance Movement”, sarebbe a capo del “Working Group of the Coordination Headquarters”.

Delegazione Azov al Centro di politica europea

Il neonazista “Jedi” ha pronunciato le parole finali all’EPC: “Dovremmo capire che si tratta di una questione di sicurezza globale e di sicurezza della nostra civiltà occidentale”. Tra gli altri oratori intervenuti all’evento – “Justice for Ukrainian POWs & the Path to Freedom” – figurano Andriy Kostin, procuratore generale dell’Ucraina, che ha partecipato a distanza, e Pekka Toveri, ex capo dell’intelligence militare della Finlandia (2019-20), che ora presiede la delegazione Ucraina del Parlamento europeo.

È stato detto che “se vi capita di guardare la televisione finlandese ora, e state guardando qualsiasi copertura della guerra russa in Ucraina, probabilmente vedrete il Maggiore Generale Toveri”. Egli ha sostenuto che “l’unico modo per avere una pace duratura in Europa” richiede l’integrazione dell’Ucraina “nei nostri sistemi economici e di difesa attraverso l’adesione all’UE e alla NATO”. Ma anche se ciò non dovesse mai accadere, i neonazisti ucraini sono ancora sulla buona strada per essere integrati nel complesso militare-industriale guidato dagli Stati Uniti e nei servizi di intelligence occidentali.

Il giorno prima che la delegazione di Azov ricevesse un caloroso benvenuto presso il quartier generale della NATO, il comandante della Brigata Azov ha reso omaggio all’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), come fanno ogni anno i nazionalisti di estrema destra il 14 ottobre. L’UPA, il braccio paramilitare degli anni ’40 dell’OUN-B, o ala “banderista” dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, dava la caccia agli ebrei nelle foreste dell’Ucraina occidentale e conduceva una massiccia campagna di pulizia etnica contro la popolazione polacca della regione. All’inizio degli anni Cinquanta, la CIA tentò, senza riuscirci, di utilizzare l’UPA come un “esercito di retroguardia”, ma per tutta la durata della Guerra Fredda ha sbianchettato i collaborazionisti nazisti ucraini. “Sono sicuro che i combattenti dell’UPA, guardando il vostro servizio quotidiano, sono orgogliosi di voi e sorridono perché la difesa dell’Ucraina è in buone mani”, ha dichiarato il comandante di Azov Denys Prokopenko in un post online scritto in inglese. “Non avrebbero potuto sognare una discendenza migliore”.

Delegazione Azov presso la sede del Parlamento europeo a Bruxelles

 

Ucraina: un ebreo muore in carcere, un altro viene condannato a un anno e mezzo per un post su Facebook

Igor Mizrah. Gravi accuse contro le autorità di Kiev in merito alla sua morte (foto: East Production Company)

Casi gravi contro ebrei nei giorni scorsi davanti al tribunale di Kiev. Un ebreo ha trovato la morte dopo che, secondo il suo avvocato, è stato picchiato a morte, un altro ha ricevuto una punizione molto severa per un reato minore.

Gravi casi di violenza e dure condanne contro gli ebrei sono stati registrati nei tribunali ucraini negli ultimi giorni. Nel peggiore dei casi, un ebreo ucraino di nome Igor Mizrah, che era anche conosciuto nella comunità ebraica locale, è morto in una prigione di Kiev.
Mizrah, che ha lavorato in diversi campi, tra cui giornalismo e legge, è morto in ospedale dopo che il suo avvocato, Irena Melitzka, ha affermato di essere stato picchiato in prigione. “È stato arrestato a maggio dopo essere stato accusato di aver rilevato illegalmente una fabbrica di cibo per bambini”, ha detto. Abbiamo affermato che questa era una bugia completa e che Mizrah non ha visitato il posto, ma ha solo dato consigli al proprietario della fabbrica. Dopo essere stato arrestato, è stato picchiato in prigione e ce ne siamo lamentati, ma non è servito. Abbiamo presentato diverse denunce contro la condotta nel centro di detenzione e non mi arrenderò e cercherò di ottenere giustizia per Igor in tribunale”.

Mizrah come detto era conosciuto nella comunità ebraica. “È venuto nella nostra sinagoga e persino a casa mia”, ha detto il rabbino capo di Kiev, il rabbino Yonatan Markovich. “Era una persona molto positiva e a volte si avvicinava a me con domande sulla vita. Mi ha anche dato un libro che aveva pubblicato. È un vero peccato che quando ho visitato i prigionieri ebrei nello stesso centro di detenzione a Kiev, non sapessi che Igor fosse tra loro. Le guardie non mi hanno informato che fosse ebreo”. Mizrah lascia sua moglie, tre figli e altri due figli più grandi nati da un precedente matrimonio.

L’investigatore capo del caso in Ucraina e il ministero della Giustizia locale hanno rifiutato di commentare le accuse. Volodymyr Klochkov, capo del Comitato per la protezione dei diritti degli avvocati in Ucraina, conosceva personalmente Igor Mizrah perché si era rivolto a lui per chiedere aiuto durante la detenzione. “Abbiamo contattato tutti gli organi responsabili dell’arresto e chiesto loro di fornire sicurezza a Igor Mizrah. È vietato toccare un avvocato! Ma non ha ricevuto alcuna protezione e non è stato trasferito in una cella separata come è consuetudine in tali situazioni”, Klochkov dice a Ynet.

“Tutto quello che è successo ha dato i suoi frutti all’investigatore. Gli hanno detto: ‘Ammetti la tua colpa e poi ti forniremo sicurezza’. Hanno usato la violenza come pressione su di lui. Credo che chi gli ha fatto l’interrogatorio non si sia preso cura della sua sicurezza e i membri dell’ala operativa del centro di detenzione che non hanno denunciato le violenze in corso contro Mizrah debbano essere ritenuti responsabili. Se ci sarà un’indagine, si assumeranno la responsabilità, ma c’è un’alta probabilità che cercheranno di chiudere la vicenda e dimenticarla”.

Yuri Pokrass, gli sono stati confiscati tutti i beni (foto: dai social network)

In un altro caso a Kiev, un collezionista ebreo di nome Yuri Pokrass è stato condannato a un anno e mezzo di prigione. È accusato di aver distribuito simboli sovietici vietati dal governo ucraino.
“L’anno scorso, ha pubblicato due biglietti di auguri sulla sua pagina Facebook. Uno di questi era un saluto per il giorno della fondazione del Komsomol – il movimento giovanile comunista nell’Unione Sovietica, e c’era un altro biglietto di auguri per il giorno della fondazione dell’Unione Sovietica. Qualcuno gli ha fatto una soffiata”, ha detto a Ynet l’avvocato di Pokrass, Mykola Chaika. “Questa è una decisione senza precedenti per un reato minore di questa portata. Il giudice lo ha anche condannato alla confisca di tutti i suoi beni, anche se l’accusa non l’ha affatto richiesto”.

L’avvocato ha aggiunto: “La discussione è stata tendenziosa. Il giudice ha focalizzato l’attenzione sulle origini ebraiche di Pokrass. “Qual è la tua nazionalità?” ha chiesto il giudice. Yuri ha risposto: “Sono un cittadino ucraino”, ma il giudice non si è calmato fino a quando il mio cliente non ha detto che era ebreo. Queste sono cose che non è accettabile chiedere in tribunale. Non ci aspettavamo una decisione su una pena detentiva così lunga. Sto preparando una domanda di appello alla Corte d’appello di Kiev”.

Per quanto riguarda questa vicenda e la severità della pena, non c’è stata alcuna risposta da parte del pubblico ministero al processo a Kiev.


Articolo di Edward Dukes‎ pubblicato su Ynet. 9/8/2023

Grecia, tifoso dell’AEK ucciso da neonazisti che hanno contatti con l’Azov

Chi ha accoltellato? L’assassino di Michalis Katsouris non è ancora stato trovato (commemorazione sulla scena del crimine, 11.8.2023)

Michalis Katsouris, tifoso dell’AEK Atene, non è morto in uno scontro tra ultrà ma in un attacco coordinato di fascisti croati e greci.

“Tifoso muore dopo gli scontri tra hooligan all’AEK Atene e alla Dinamo Zagabria”. Questo, o qualcosa di simile, è stato il titolo di quasi tutte le notizie sugli incidenti che hanno preceduto la qualificazione alla Champions League ad Atene il 7 agosto. Non compariva il nome della vittima, Michalis Katsouris, né l’esatta dinamica del crimine. “Teppisti” e “disordini”: questo è il quadro. Anche la rivista specializzata Kicker non si è preoccupata di chiedere perché esiste un accordo tra i due club per non permettere ai tifosi avversari di assistere agli scontri.

L’AEK Atene è un club di sinistra e operaio fondato da rifugiati greci provenienti dall’Asia Minore dopo la fine della guerra greco-turca nel 1922. Il gruppo di tifosi più numeroso è l’antifascista “Original 21”. In passato, non solo ha attaccato gli uffici del partito fascista Chrysi Avgi (“Alba Dorata”), ma ha anche dimostrato solidarietà con i movimenti di liberazione internazionali in Palestina e Kurdistan. Nel 2018, “Original 21” è stato presa di mira dai tifosi della Dinamo Kiev dopo aver pubblicato un comunicato contro “Pravy Sektor” prima di una partita di Europa League contro il club della capitale ucraina. Questa formazione nazista, sostenuta dagli Stati Uniti e dall’UE, è stata responsabile dell’attacco incendiario a un edificio sindacale a Odessa il 2 maggio 2014, si legge nel comunicato.

Molti tifosi della Dinamo Zagabria, invece, sono apertamente fascisti, soprattutto il gruppo ultras “Bad Blue Boys” (BBB). L’anno scorso hanno marciato per la città prima di una partita di Champions League a Milano, alzando le mani in un saluto fascista degli Ustasha. Dal 2014, i membri del BBB combattono anche in Ucraina, come ha riferito la rivista greca di sinistra Prin il 10 agosto 2023. Secondo il rapporto, il loro leader Dennis Scheller è stato uno dei primi volontari stranieri a unirsi al battaglione neofascista “Azov”. Secondo Scheller, la Croazia ha bisogno di un proprio “Maidan” per risolvere una volta per tutte i problemi con “comunisti e serbi”. L’Ucraina, secondo lui, è “l’ultimo bastione della destra cristiana in Europa”. Per i suoi “servizi” non solo ha ricevuto una medaglia dallo Stato ucraino. Scheller ha anche lavorato in rete con i combattenti di “Azov” che erano anche membri dell’ultras della Dinamo Kiev “White Boys Club”.

Nel 2015, almeno 15 membri del BBB avrebbero combattuto in Ucraina. Non è chiaro quanti nazisti croati siano attualmente in Ucraina. L’anno scorso, Mosca ha convocato l’addetto militare croato perché circa 200 croati starebbero combattendo dalla parte di Kiev, alcuni dei quali potrebbero aver beneficiato della connessione tra BBB e “Azov”. Non è quindi una coincidenza che il BBB gridi il saluto nazionalista “Slava Ukraini” durante le partite di calcio, appenda striscioni “Free Azov” nello stadio o organizzi cene di raccolta fondi per l’ex comandante di “Azov” Andriy Biletsky. I tifosi della Dinamo Kiev avrebbero reagito pubblicando due giorni dopo la morte di Katsouris due immagini di due missili con la scritta “Free BBB” e “07.08.2023, Atene, BBB sono i re d’Europa”, secondo quanto riportato dal Greek City Times.

Quindi gli incidenti del 7 agosto non sono stati dei disordini qualsiasi, ma un attacco organizzato contro gli antifascisti, pianificato dal BBB e da persone che la pensano allo stesso modo dei rivali cittadini dell’AEK, il Panathinaikos. Tutti coloro che si trovavano nelle vicinanze dello stadio, tifosi o meno, sono stati attaccati. Rimane aperta la questione di come il convoglio di veicoli di incappucciati sia arrivato allo stadio senza che la polizia greca intervenisse, sebbene fosse stata informata da diversi Paesi vicini giorni prima. Resta anche da chiarire se ad accoltellare sia stato un tifoso della Dinamo o del Panathinaikos. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che il pericolo di un gruppo di hooligan neonazisti con esperienza di combattimenti è enorme.


Articolo di Von Emre Şahin pubblicato su junge Welt. 17/8/2023

Zelensky insieme al più famoso neonazista ucraino

Zelensky e Biletsky al fronte

I media occidentali hanno respinto le prove dell’influenza neonazista in Ucraina citando le origini ebraiche del Presidente Zelensky. Ma nuovi filmati pubblicati da Zelensky mostrano il leader collaborare apertamente con un ideologo fascista che tempo fa si era impegnato a “guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale… contro gli Untermenschen guidati dai semiti”.

Il presidente ucraino Vlodymyr Zelensky ha caricato sul suo canale Telegram un video che lo ritrae insieme a uno dei più noti neonazisti della storia moderna dell’Ucraina: Andriy Biletsky, fondatore del Battaglione Azov.

Il 14 agosto, poco più di un’ora dopo che il Segretario di Stato Anthony Blinken aveva annunciato altri 200 milioni di dollari in aiuti militari a Kiev, il presidente ucraino Vlodomyr Zelensky ha pubblicato il video che ritrae quella che ha definito una “conversazione aperta” con la 3ª Brigata d’assalto separata dell’Ucraina.

“Sono grato a tutti coloro che difendono il nostro Paese e il nostro popolo, che avvicinano la nostra vittoria”, ha scritto Zelensky dopo il suo incontro con l’unità alla periferia di Bakhmut.

Anche se gli osservatori occidentali non se ne sono resi conto, la brigata a cui si rivolgeva Zelensky è in realtà la più recente iterazione del battaglione neonazista Azov dell’Ucraina.

“La terza brigata d’assalto separata, combattenti eccellenti”, ha scritto Zelensky giorni dopo la consultazione, in un post su Twitter che alludeva anche a un incontro separato con il battaglione Aidar, un’altra formazione neofascista accusata di crimini di guerra da Amnesty International. “Hanno impedito al nemico di avanzare verso Kostiantynivka e hanno respinto gli occupanti fino a 8 chilometri”.

Ma le origini del gruppo non sono un segreto. Descrivendo il loro più recente rebrand in un video su YouTube pubblicato a gennaio, l’unità ha spiegato: “Oggi annunciamo ufficialmente che la SSO AZOV si sta espandendo a brigata. D’ora in poi, siamo la terza brigata d’assalto separata delle Forze di terra delle Forze armate dell’Ucraina”.

I combattenti della 3ª Brigata separata d’assalto ucraina eseguono un saluto fascista al fuoco in un video che annuncia la loro riformazione.

Come il suo predecessore, l’unità è guidata da Andriy Biletsky, che ha fondato il Battaglione Azov ed è stato a lungo una figura di riferimento per il movimento politico del National Corps, a lui strettamente legato.

Ma nonostante il ricco pedigree nazista di Biletsky, il video pubblicato da Zelensky lo mostra mentre condivide un momento di simpatia con un militante nazionalista bianco che ha descritto gli ebrei come “il nostro nemico” o come i “veri padroni” degli oligarchi e dei politici vigliacchi che hanno corrotto l’Ucraina.

“Come potrei essere un nazista?” ha chiesto Zelensky alla vigilia dell’intervento russo, sottolineando le sue origini ebraiche. “Come può un popolo che ha perso otto milioni di vite combattendo contro i nazisti sostenere il nazismo?”.

Forse la domanda deve essere riproposta al presidente ucraino dopo il tributo che ha reso al principale ideologo neonazista del suo Paese.

Il leader ebreo dell’Ucraina incontra il “Leader bianco”

Da quando le operazioni militari russe in Ucraina hanno preso il via nel 2022, Biletsky ha preso le distanze dal suo passato fascista. Ora sostiene che la famigerata promessa di liberare il mondo dai “subumani guidati dai semiti” sia stata in realtà fabbricata dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.

Ma la più famosa invettiva di Biletsky contro gli ebrei non era uno sfogo isolato. In effetti, il suo curriculum di sparate influenzate dal nazismo è ampio ed è stato reso pubblico per decenni.

La tesi di laurea di Biletsky era una difesa dell’Esercito Insurrezionale Ucraino, un gruppo di paramilitari collaborazionisti dei nazisti fondato dall’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera che effettuò la pulizia etnica di oltre 100.000 ebrei e polacchi. Dopo aver lasciato l’università, Biletsky si legò rapidamente a diversi gruppi fascisti, tra cui l'”Organizzazione Ucraina di Stepan Bandera ‘Tryzub'” e il Social-National Party of Ukraine [SNPU] – da non confondere con il Partito Nazionalsocialista della Germania del 1940.

Biletsky ha lasciato l’SNPU per protesta nel 2004, quando il gruppo ha iniziato a rebrandizzarsi e ad allontanarsi dal simbolismo neonazista. Due anni dopo, ha guidato un’organizzazione chiamata Patriot of Ukraine [POU], che è stata collegata a numerose aggressioni di gruppo. Un membro di POU ha affermato che il gruppo era dietro il sequestro e l’incendio della sede di un partito politico durante il colpo di Stato “Maidan”, sostenuto dagli Stati Uniti, nel 2014.

Sinistra: Zhorin – Centro: Biletsky – Destra: Prokopenko

Secondo il Kharkiv Human Rights Protection Group, POU “ha sposato idee xenofobe e neonaziste ed è stato impegnato in attacchi violenti contro gli immigrati, gli studenti stranieri di Kharkiv e coloro che si oppongono alle sue idee”. Inoltre, “Biletsky e altri membri erano sospettati di sequestri violenti di chioschi di giornali e di attività criminali simili”.

“Per tre anni consecutivi, l’organizzazione ha acquisito notorietà per le sue fiaccolate nei campus studenteschi di Kharkiv, Kyiv e Chernivtsi, che riempiono di terrore gli studenti stranieri che studiano in Ucraina”, ha osservato il gruppo per i diritti umani nel 2008.

Durante un’assemblea generale di POU nel 2009, Biletsky ha inveito: “Come possiamo descrivere il nostro nemico? Le autorità e gli oligarchi. Hanno qualcosa in comune? Sì, hanno una cosa in comune: sono ebrei, o dietro di loro ci sono i loro veri padroni – gli ebrei”.

Nel 2011, Biletsky è stato arrestato per aver presumibilmente ordinato ai membri di POU di uccidere un compagno ultranazionalista all’interno dell’ufficio del gruppo a seguito di una disputa, e ha trascorso gli anni successivi in detenzione preventiva. Grazie a una risoluzione approvata dal Parlamento ucraino dopo il rovesciamento del Presidente Viktor Yanukovych, sostenuto dall’Occidente, alla fine è stato rilasciato nel 2014. Ma durante i tre anni di detenzione, Biletsky è riuscito a far pubblicare alcuni dei suoi scritti fascisti in una raccolta intitolata “La parola del leader bianco”.

La copertina del saggio introduttivo di un “caposquadra organizzativo” sulla leadership di Biletsky in “La parola del leader bianco”.

Un saggio della raccolta, datato 2007, inveisce contro gli ebrei e gli immigrati di colore, usando – casualmente – la parola n[egri] nel discorso. “L’Ucraina è la luce dell’Europa! La nostra nazione ha ancora abbastanza forza per resistere a questo afflusso di stranieri, per pulire la nostra terra e accendere il fuoco della purificazione in tutta Europa!”, conclude il saggio.

In un altro saggio che delinea l’ideologia del “social-nazionalismo”, Biletsky elogia il nazionalsocialismo come una “grande idea”, ma critica i nazisti per non essere stati sufficientemente eugenetici nei loro programmi di benessere familiare. Si lamentava del fatto che sostenessero i genitori con più figli “senza considerare la qualità biologica di ogni singola famiglia”.

“Il risultato”, ha proseguito, “è stato un aumento significativo del tasso di natalità, [ma] una diminuzione significativa della percentuale del tipo nordico nella popolazione”. Poiché “questi benefici sociali sono rivolti alle masse, hanno incoraggiato il peggior materiale umano a mettere al mondo un figlio”, lamentava l’autoproclamato “leader bianco”.

Un successivo manifesto di Biletsky, intitolato “Lingua e razza – questioni primarie”, ampliò il concetto di “social-nazionalismo”: “Il social-nazionalismo ucraino considera la nazione ucraina come una comunità razziale… La razza è tutto per la costruzione della nazione – la razza è la base su cui cresce la sovrastruttura sotto forma di cultura nazionale, che deriva ancora una volta dalla natura razziale del popolo, e non dalla lingua, dalla religione, dall’economia, ecc.

Per quanto riguarda la popolazione russofona dell’Ucraina orientale, Biletsky ha scritto: “La questione della totale ucrainizzazione nel futuro Stato social-nazionalista sarà risolta entro 3-6 mesi con l’aiuto di una politica statale dura ed equilibrata”.

Zelensky incontra Biletsky in un video postato dal presidente il 14 agosto 2023

Dopo il suo rilascio dal carcere, Biletsky ebbe l’occasione di portare avanti una campagna di violenza contro l’etnia russa dell’Ucraina orientale. Allo scoppio della guerra nel Paese, con la maggioranza russa dell’est che chiedeva l’autodeterminazione di fronte a un governo nazionalista post-golpe visto come fantoccio dell’Occidente, Biletsky sciolse POU e formò il Battaglione Azov per condurre una guerra contro i separatisti. In quel periodo è stato anche eletto al Parlamento ucraino, rimanendo in carica fino al 2019.

Il nuovo gruppo paramilitare si è insediato a Mariupol, utilizzando la città portuale come base per gli attacchi nel Donbass e reprimendo violentemente le forme di espressione politica femminista e liberale nelle strade della città.

Nel frattempo, il National Corps, un partito politico fondato da Biletsky nel 2016, è stato descritto come un “gruppo d’odio nazionalista” persino dal Dipartimento di Stato americano. Il partito ha ripetutamente incitato alla violenza contro la marcia del Kiev Pride, invitando nel 2018 “tutti i cittadini ucraini preoccupati” a impedire lo svolgimento della marcia. Nel 2019, un leader del National Corps ha lanciato un messaggio più diretto: “Restate a casa e non fatevi vedere in pubblico. Mai. Questo ci renderà la vita più facile e vi terrà al sicuro ;)”.

Nel 2019 sembrava quasi che l’influenza di Biletsky stesse scemando. Una coalizione elettorale da lui formata con diversi altri neonazisti di spicco in Ucraina non è riuscita a ottenere abbastanza voti da superare la soglia per ottenere un seggio in parlamento. Nel frattempo, Vlodomyr Zelensky ha vinto le elezioni presidenziali su una piattaforma di pace con la Russia.

Ma Biletsky ha ancora una carta vincente come uomo forte riconosciuto a livello nazionale. Quando un canale di notizie ucraino ha annunciato un “ponte televisivo” di due ore in diretta in studio tra civili ucraini e russi, volto a promuovere una maggiore comprensione reciproca, Biletsky ha colto l’occasione per lanciare una minaccia poco velata contro Zelensky se non avesse fatto cancellare l’evento entro un giorno. Se Zelensky non fosse intervenuto, “la risposta agli ‘omini verdi’ del Cremlino inizierà a essere data dagli ‘omini neri'”, ha detto Biletsky, riferendosi alle vesti nere di elementi fascisti come Azov.

Biletsky ha invitato Zelensky a essere “il leader di uno Stato in guerra” e “non un clown, non un artista delle corporazioni oligarchiche, ma il Presidente”.

Zelensky ha risposto entro i termini dell’ultimatum, aprendosi al dialogo e offrendo apparentemente una risposta a Biletsky, sostenendo che gli ucraini sono stati “manipolati da politici che vogliono disperatamente entrare in parlamento”.

Qualche mese dopo, i due si sono nuovamente scontrati dopo che Zelensky ha ordinato alle truppe ucraine, compresi i combattenti di Azov, di ritirarsi da una città di prima linea nel Donbass, nel tentativo apparente di rispettare i termini degli accordi di Minsk. Biletsky ha risposto minacciando di inviare altre migliaia di truppe in aperta sfida agli ordini del presidente.

La resa dei conti di Zelensky con i combattenti che rifiutano i suoi ordini è culminata con il capo di Stato che è quasi crollato davanti alle telecamere e ha supplicato i militanti: “Sono il presidente di questo Paese. Ho 41 anni. Non sono un perdente. Sono venuto da voi e vi ho detto: togliete le armi”.

Pochi anni dopo, nel bel mezzo di una guerra calda con la Russia, il presidente ebreo dell’Ucraina e il più famoso antisemita vivente sembrano aver messo da parte le loro differenze. Come disse Shakespeare, “la miseria fa incontrare all’uomo strani compagni di letto”.


Articolo di Alexander Rubinstein pubblicato su The Grayzone. 16/8/2023

Dichiarazione del Partito Comunista Operaio Russo sulla guerra russo-ucraina

Sulla fase armata del conflitto tra Federazione Russa e Ucraina

Dichiarazione del Consiglio politico del Comitato centrale del RKRP-CPSU

Nella nostra analisi e nelle nostre conclusioni in queste specifiche condizioni storiche, ci basiamo sull’analisi già fatta nel corso dello sviluppo della situazione, tra cui la conferenza con i comunisti del Donbass, dell’Ucraina, della Russia nel novembre 2019 a Lugansk.

Ancora una volta, tornando al fatto del riconoscimento delle repubbliche del Donbass, notiamo che, sebbene sia avvenuto in ritardo, molto più tardi di quanto avrebbe dovuto, ma meglio tardi che mai. L’RCWP non solo ha sostenuto questo passo fin dall’inizio della proclamazione di queste repubbliche, ma ha anche chiesto che le autorità borghesi della Federazione Russa compissero questo passo come aiuto per affrontare le repubbliche popolari del Donbass contro l’aggressione fascista dei nazisti di Kiev.

Naturalmente, gli obiettivi dell’intervento militare della Federazione Russa da parte delle autorità e di Putin sono dichiarati solo come umanitari – salvare la popolazione dalle rappresaglie dei nazisti. In realtà, la fonte del conflitto è rappresentata dalle contraddizioni inter-imperialiste tra Stati Uniti, Unione Europea e Russia, in cui l’Ucraina è coinvolta. L’obiettivo dell’imperialismo statunitense – più potente al mondo – è quello di indebolire il concorrente russo ed espandere la sua influenza nello spazio di mercato europeo. Per questo si è adoperato di proposito per mettere in difficoltà non solo le autorità, ma anche i popoli di Russia e Ucraina. A tal fine, l’imperialismo è arrivato persino a incoraggiare la ripresa e l’uso a fini punitivi del fascismo ordinario sul modello di Bandera del 1941-45. Gli imperialisti stanno adempiendo ai loro compiti: il conflitto tra la Federazione Russa e l’Ucraina è entrato in una fase calda, e questo fa loro comodo. Non c’è da stupirsi che i capi degli Stati Uniti e dell’Inghilterra abbiano già dichiarato che non parteciperanno alla guerra con le loro forze armate. Lasciamo che parti del popolo sovietico, un tempo unito, combattano tra loro.

In generale, cioè da posizioni di classe, le autorità russe, così come i governanti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, non si preoccupano profondamente del popolo lavoratore – e del Donbass, e della Russia, e dell’Ucraina. Non abbiamo dubbi che i veri obiettivi dello Stato russo in questa guerra siano piuttosto imperialistici: rafforzare la posizione della Russia imperialista nella competizione del mercato mondiale. Ma, poiché questa lotta oggi aiuta in qualche misura il popolo del Donbass a respingere il fascismo di Bandera, i comunisti di questa parte non negano, ma permettono e sostengono quanto viene condotto contro il fascismo nel Donbass e in Ucraina. E si oppongono categoricamente alle azioni del loro governo, quando, sotto la copertura della lotta al fascismo, si risolvono le questioni dell’espansione e del rafforzamento dell’imperialismo russo e dei suoi alleati.

Finché l’intervento armato della Russia contribuirà a salvare la popolazione del Donbass dalle rappresaglie dei punitori, non ci opporremo a questo obiettivo. In particolare, consideriamo accettabile se, a causa delle circostanze, sarà necessario usare la forza contro il regime fascista di Kiev, nella misura in cui ciò sarà nell’interesse del popolo lavoratore.

Allo stesso tempo, naturalmente, non è esclusa la possibilità che la campagna militare di assistenza al Donbass da parte della Russia, guidata dall’antisovietico Putin, si sviluppi in una vera e propria guerra completamente predatoria, quando, con il pretesto di aiutare il Donbass, le autorità russe iniziano a risolvere i loro problemi e le truppe iniziano semplicemente a occupare altre regioni dell’Ucraina. La considereremo una guerra di conquista, di imperialismo, e non sosterremo né l’uno né l’altro imperialista. In ogni caso, non saranno i padroni a morire da entrambe le parti, ma i lavoratori. Morire per i fratelli della classe è degno. Morire e uccidere per gli interessi dei padroni è stupido, criminale e inaccettabile.

In ogni caso, ribadiamo con fermezza la nostra posizione comune con i comunisti del Donbass e dell’Ucraina: porre fine ai conflitti fratricidi, alle ricadute del fascismo, alla minaccia di una guerra locale che degeneri in una guerra mondiale su larga scala, è possibile solo sulla via del socialismo. La lotta comune dei lavoratori contro la borghesia di tutti i Paesi è la principale linea strategica dei nostri partiti.

Proletari di tutti i Paesi, unitevi!


Tradotto da Red Patriot. Testo originale.

Statement of the Russian Communist Workers Party (Bolshevik) on the Russo-Ukrainian war

On the armed phase of the conflict between the Russian Federation and Ukraine

Statement of the Political Council of the Central Committee of the RKRP-CPSU

In our analysis and conclusions in these specific historical conditions, we rely on the analysis already made in the course of the development of the situation, incl. at a conference with the communists of Donbass, Ukraine, Russia in November 2019 in Lugansk.

Once again, returning to the fact of recognition of the republics of Donbass, we note that although it happened late, much later than it should have, but better late than never. The RCWP not only supported this step from the very beginning of the proclamation of these republics, but also demanded that the bourgeois authorities of the Russian Federation take this step as help in confronting the people’s republics of Donbass against fascist aggression by the Kiev Nazis.

Of course, the goals of the military intervention of the Russian Federation by the authorities and Putin are only declared as humanitarian – saving people from the reprisals of the Nazis. In fact, the source of the conflict is the inter-imperialist contradictions between the US, the EU and Russia, in which Ukraine is drawn. The goal of the most powerful US imperialism in the world is to weaken the Russian competitor and expand its influence in the European market space. Why did they purposefully work to pit not only the authorities, but also the peoples of Russia and Ukraine. To this end, imperialism even went so far as to encourage the revival and use for punitive purposes of ordinary fascism of the Bandera model of 1941-45. The imperialists are fulfilling their tasks – the conflict between the Russian Federation and Ukraine has entered a hot phase, and this suits them perfectly. No wonder the heads of the United States and England have already stated that they are not going to participate in the war with their armed forces. Let parts of the once united Soviet people fight among themselves.

By and large, i.e. from class positions, the Russian authorities, as well as the rulers of the US and the EU, do not care deeply about the working people – and Donbass, and Russia, and Ukraine. We have no doubts that the true aims of the Russian state in this war are quite imperialistic – to strengthen the position of imperialist Russia in world market competition. But, since this struggle today to some extent helps the people of Donbass to repulse Bandera fascism, the communists in this part of it do not deny, but allow and support as much as it is waged against fascism in the Donbass and Ukraine. And they categorically oppose the actions of their government, when, under the cover of the fight against fascism, the issues of expansion and strengthening of Russian imperialism and its allies will be resolved.

As long as Russia’s armed intervention helps save people in the Donbass from reprisals by punishers, we will not oppose this goal. In particular, we consider it acceptable if, due to circumstances, it is necessary to use force against the fascist Kiev regime, insofar as this will be in the interests of the working people.

At the same time, of course, the possibility of the military campaign of assistance to the Donbass from Russia, led by the anti-Soviet Putin, developing into a truly completely predatory war, when, under the pretext of helping the Donbass, the Russian authorities begin to resolve their issues, and the troops simply begin to occupy other regions of Ukraine, is not ruled out. We will regard this as a war of conquest, imperialism, and we will not support either one or the other imperialist. In any case, it will not be the masters who die on both sides, but the workers. To die for brothers in the class is worthy. And to die and kill for the interests of the masters is stupid, criminal and unacceptable.

In any case, we firmly reaffirm our common position with the communists of Donbass and Ukraine: to put an end to fratricidal conflicts, to the relapses of fascism, to the threat of a local war escalating into a full-scale world war, is possible only on the path of socialism. The common struggle of the working people against the bourgeoisie of all countries is the main strategic line of our parties.

Proletarians of all countries – unite!


Translated by Red Patriot from the original.

Alexey Navalny e i nazisti russi

Ripercorriamo insieme le tappe del percorso politico di Alexey Navalny, per i liberali diventato oggi un simbolo della lotta per i diritti e per la democrazia in Russia e nel mondo. Cominceremo da quando era uno degli organizzatori delle marce neonaziste, passeremo per le campagne politiche contro gli immigrati, ai messaggi xenofobi e al supporto delle violenze del movimento anti-immigrazione russo, fra i più feroci al mondo, responsabile di centinaia di omicidi a sfondo razziale.


FONTI

Navalny chiede di far svolgere la Russian March del 2006 https://www.svoboda.org/a/269476.html

Richiesta di espulsione dei georgiani dalla Russia
https://www.theatlantic.com/international/archive/2013/07/is-aleksei-navalny-a-liberal-or-a-nationalist/278186/

Marcia Russa 2010

Marcia Russa 2011

Al Jazeera – Marcia Russa 2011

Euronews – Marcia Russa 2011

Campagna xeonofoba “Stop feeding the Caucasus”

Intervento dal palco di Navalny insieme ai neonazisti

Video razzista caricato sul canale di Narod

Al Jazeera – Raid punitivi contro gli immigrati del 2013

Supporto di Navalny ai raid punitivi

Russia Responds to Anti-Migrant Riots by Arresting Migrants

I commilitoni ubriachi di Vitaly Markiv si vantano di bombardare i civili

L’antenna TV nel video svela che questi sono i commilitoni di Vitaly Markiv, stazionati sul Karachun.

Un video rivela pesanti nuovi elementi contro i suoi commilitoni. Il nazionalista, nel processo che lo ha riguardato e che lo ha visto condannato a 24 anni in primo grado per concorso in omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli (assassinato sotto i bombardamenti delle forze ucraine) e poi assolto in secondo grado, ha sempre dichiarato che le truppe ucraine arroccate sulla collina Karachun non attaccavano mai i civili e che mai attaccavano per primi, sostenendo che da “regole d’ingaggio” potevano solamente rispondere al fuoco dei ribelli. Markiv e i suoi commilitoni non sono famosi per la loro sincerità e questo video ne è la conferma, in quanto contraddice le loro dichiarazioni.

https://www.youtube.com/watch?v=J_M16w7mvRs

È il 2015, alcuni miliziani della Repubblica Popolare di Donetsk recuperano un video, girato un anno prima, dai dispositivi trovati sul corpo di un soldato ucraino. Il video fece all’epoca molto clamore, nei cinque minuti di ripresa di un momento di riposo delle truppe ucraine, i soldati ubriachi confessano diversi crimini di guerra tra brindisi e risate: “Bombardiamo qualche negozio!” e ancora “Bombardiamo senza coordinate!”, “Slovjansk era una bella città, peccato che sarà rasa al suolo”. Le riprese sono fatte con un cellulare da una posizione intorno alla città di Slavjansk, che nel 2014 è sotto il controllo dei ribelli e non è stata ancora sfollata. I civili sostenevano ampiamente i ribelli, le truppe ucraine infatti temevano che qualsiasi persona fosse un separatista, come dichiarerà lo stesso Markiv, e venivano quindi attaccati dalle truppe filo-governative.

Il nuovo elemento che aggrava la posizione del nazionalista e dei suoi commilitoni è che i soldati che si lasciano andare alle confessioni nel video sono proprio stanziati nella base di Vitaly Markiv. Infatti c’è un dettaglio nel video che è sfuggito ai più: i soldati, come lo stesso Markiv, difendono proprio quella torre televisiva che era situata sul Karachun, la torre che i ribelli volevano colpire per ammutolire la propaganda filo-governativa che veniva diffusa per tutta la regione.

Nel frattempo però il nostro “eroe dell’Ucraina”, a seguito dell’assoluzione in secondo grado nel processo, sembra essere scappato in patria, difeso dal ministro degli interni di estrema destra Arsen Avakov. In attesa del verdetto della cassazione e in vista dei nuovi elementi contro i soldati filo-governativi non è da escludere che il nostro “eroe” non faccia più rientro in Italia, per la gioia di tutti quei personaggi e quelle organizzazioni politiche italiane che si sono spesi per la sua liberazione.

Nazionalisti ucraini al congresso dei Radicali Italiani (1-3 novembre 2019)

Come l’Ucraina vuole influenzare il processo a Vitaly Markiv

I primi di novembre si concluderà il processo di secondo grado sull’assassinio del fotoreporter Andrea Rocchelli, ucciso nel 2014 insieme a Andrei Mironov, un altro giornalista russo, durante la guerra del Donbass nell’Ucraina orientale. Il condannato a 24 anni di carcere in primo grado è un nazionalista e sergente ucraino Vitaly Markiv, accusato di aver concorso nell’omicidio del fotoreporter, il quale sarebbe stato bombardato con l’artiglieria da una base posta sopra una collina presidiata dalle truppe filo-governative.

Dall’assassinio avvenuto il 24 maggio 2014 fino all’arresto dell’ucraino nel luglio 2017, per tre anni, il caso è rimasto lontano dai riflettori della stampa, pochi oltre la famiglia del fotoreporter sembravano occuparsi della vicenda. Solo quando i carabinieri  hanno arrestato Markiv mentre rientrava in Italia per le vacanze, tutta una serie di personaggi e organizzazioni filo-ucraine in Italia e nella stessa Ucraina hanno cominciato ad attivarsi per raccontare la propria verità sul caso.

Procediamo con ordine, partendo dall’imputato. Vitaly Markiv, cittadino italiano (oltre che ucraino) che viveva a Tolentino con la famiglia, ha deciso di arruolarsi volontariamente nella Guardia nazionale dell’Ucraina nel momento stesso in cui il governo ucraino ha dato il via alle azioni repressive nel Donbass contro le rivolte indipendentiste della popolazione locale. Markiv è un frequentatore del Porter Pub di Kiev, un locale neonazista dove vengono esposte celtiche e simboli nazisti delle formazioni militari ucraine di estrema destra. Sui dispositivi che aveva addosso al momento dell’arresto gli sono state ritrovate alcune fotografie che testimoniano crimini di guerra delle truppe filo-governative, come il maltrattamento e l’uccisione di prigionieri, e figurano anche i suoi commilitoni mentre fanno saluti romani sventolando una bandiera nazista.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Fra i primi a muoversi in Ucraina per chiedere la scarcerazione del soldato Markiv ci sono alcune organizzazioni neonaziste, come il gruppo S14, e il “Corpo Nazionale”, ovvero il progetto politico del Battaglione Azov, che organizzano delle proteste di fronte all’ambasciata d’Italia a Kiev. Oltre a loro c’è tutto lo Stato ucraino, con il ministro degli interni Arsen Avakov in prima linea, personaggio noto per aver messo in mano ai neonazisti la gestione di alcuni dipartimenti di polizia, a impegnarsi con una grande campagna nazionale e internazionale per salvare il soldato Markiv dalle grinfie della giustizia italiana.

Militanti neonazisti del gruppo S14 di fronte l’ambasciata d’Italia a Kiev

Le acque in Italia hanno cominciato a smuoversi intorno al 2019, quando, dopo la sentenza di condanna emessa dalla corte di Assise di Pavia nei confronti di Markiv, un gruppo di giornalisti a cui fa capo Cristiano Tinazzi, non accettando il verdetto, decide di produrre un documentario chiamato “The Wrong Place”.

Dichiarandosi assolutamente super partes, il gruppo si prefigge – sulla carta – l’obiettivo di ricostruire l’assassinio di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov da un punto di vista indipendente. Il titolo non avrà molto successo, l’allusione palese al fatto che quei giornalisti si trovassero nel posto sbagliato, ovvero a documentare una guerra, si è rivoltata subito contro la stessa produzione, scatenando le ire sia della famiglia Rocchelli, sia della nipote del giornalista russo ucciso. Il titolo è stato cambiato da qualche giorno in “Crossfire”, fuoco incrociato.

Passiamo al regista: Tinazzi è stato candidato nel 1999 nelle liste del Fronte Nazionale, partito neofascista di Adriano Tilgher. Negli anni successivi le frequentazioni neofasciste o ambigue sembrano essere andate avanti, come testimoniano le interviste fatte alla band ZetaZeroAlfa o la collaborazione col giornale Rinascita.

20 anni fa frequentava ambienti di estrema destra, ora nel suo documentario lo ritroviamo in un poligono di tiro della Guardia nazionale dell’Ucraina, una formazione militare nella quale sono persino integrate formazioni neonaziste come il Battaglione Azov. E che ci fa Tinazzi in un poligono di tiro insieme al corpo militare accusato di aver assassinato Rocchelli? Da quello che si nota dal trailer del documentario, starebbe producendo le “prove” che dimostrerebbero che dalla collina dove erano asserragliate le truppe filo-governative non era possibile vedere né colpire con armi da fuoco il gruppo di giornalisti. 

Non mi soffermerò molto sulle obiezioni dal punto di vista tecnico, che tra l’altro ne sono già state sollevate abbastanza sui test compiuti nel documentario. A ogni modo, secondo le ricostruzioni della sentenza di primo grado confermate dal procuratore generale in Corte d’assise d’appello, l’assassinio sarebbe avvenuto per mezzo dei mortai e non si capisce quindi per quale ragione si facciano test balistici con armi da fuoco. Inoltre è lo stesso ministro degli esteri Avakov a dichiarare che, dalla collina dove erano posizionate le truppe filo-governative, i loro cecchini avevano “ripulito” la zona intorno alle carrozze del treno, luogo dove è avvenuto l’omicidio di Rocchelli, ed è perciò certificato che dalla collina era possibile colpire a quella distanza persino con armi da fuoco, oltre che con i mortai. 

Sarà sempre Avakov a dichiarare che un gruppo di giornalisti si è rivolto a lui per occuparsi del caso Rocchelli, e che gli fornirà tutta l’assistenza necessaria. Nel documentario, gli autori non hanno mancato di ringraziare la guardia nazionale Ucraina per la collaborazione, però solo nella versione ucraina, nella versione italiana il ringraziamento è stato curiosamente rimosso. Un documentario, come dire, veramente indipendente e che non ha nulla da nascondere.

Ringraziamento alla Guardia nazionale d’Ucraina e a Hromadske Tv nei titoli di coda del documentario

Tra gli altri collaboratori del progetto c’è Olga Tokariuk, una giornalista ucraina che gira molto per l’Italia, che ha lavorato anche per Hromadske Tv, anch’esso inserito fra i ringraziamenti del documentario, un giornale online ucraino schierato sulla linea filo-governativa che vanta anche qualche piccolo scandalo, come l’aver tagliato l’intervista in diretta a Tanya Lokshina, membro di Human Rights Watch, perché si rifiutava di accusare la Russia per i morti civili nel conflitto del Donbass.

La Tokariuk, durante una presentazione del documentario afferma: “Nel nostro team italo-ucraino non abbiamo divergenze ideologiche […] Tinazzi sa molto bene che i separatisti sono criminali, che commettevano crimini nel Donbass […] lui sa bene chi è l’agressore in Ucraina e chi è la vittima”. Quindi pare di trovarsi di fronte, più che a un gruppo di giornalisti a caccia della verità, a una task-force coesa dal punto di vista ideologico che cerca di avvalorare la tesi secondo cui i separatisti sono criminali e sui quali bisogna far ricadere la colpa dell’assassinio per scagionare il nazionalista ucraino. 

Markiv è un esempio di dignità per me”, dice la Tokariuk durante le fasi del processo nel 2018, “tiene la testa alta nonostante le assurde accuse”. Il documentario non era ancora stato girato e già aveva preso una posizione netta, curioso modo di approcciare la vicenda da un punto di vista indipendente.

Un altro collaboratore del documentario è il giornalista Danilo Elia, che si è occupato delle vicende ucraine sin da Euromaidan da una posizione velatamente filo-golpista. Risulta chiaro negli articoli dove, in una certa maniera, cerca di “umanizzare” le formazioni estremiste ucraine, come quando si fece una birra con i neonazisti di Pravy Sektor, mentre non esita a descrivere i ribelli come “uomini armati che scorrazzano per le strade […] Rubano, bevono, sparano. Terrorizzano la popolazione”. La Tokariuk lo ha detto, nessuna divergenza ideologica nel team.

Militanti neonazisti di Pravy Sektor

A livello internazionale arriva supporto e riconoscimento al progetto da diversi singoli e organizzazioni. Leggendo la lista dei patrocinanti si nota la Open Dialogue Foundation, una ONG che ha base in Polonia e che opera anche in Ucraina. Nel 2013 supportò Euromaidan e tutt’ora supporta apertamente l’esercito ucraino.

Post della Open Dialogue Foundation per il Giorno del difensore dell’Ucraina

Abbiamo poi la fondazione Justice for Journalists, che ha assegnato 40.000 euro per la produzione del documentario, una ONG fondata dell’ex oligarca russo Mikhail Khodorkovsky, ora milionario, che vive a Londra. Proprio quel milionario che durante Euromaidan incitava la folla per un’Ucraina democratica, la stessa Ucraina che qualche mese dopo avvierà una guerra civile in Europa, bombardando la propria popolazione con l’aviazione.

Tra i sostenitori in Italia del progetto ci sono soprattutto i Radicali Italiani di Emma Bonino, che dietro la condanna di Vitaly Markiv vedono il “condizionamento del regime russo sulla politica e sulla società italiana”. Lo scorso anno un gruppo di nazionalisti ucraini si è iscritto al partito grazie a questa convergenza di vedute. Tra questi c’è Oles Horodetskyy, la stessa persona che venne espulsa dall’aula durante il processo perché da dietro l’avvocato ucraino per tre volte suggeriva le risposte ai commilitoni di Markiv chiamati a testimoniare. Tra parentesi, si contraddiranno molteplici volte.

Si uniscono all’operazione “Salvate il soldato Markiv”, promuovendo sui social il documentario, anche altre organizzazioni, non strettamente collegate con la produzione. Per esempio c’è Fabio Prevedello, presidente dell’Associazione Europea Italia-Ucraina Maidan, che definisceamico” Cristiano Tinazzi e “amica” Olga Tokariuk. Questa associazione nel 2019 è finita in uno scandalo nella provincia di Reggio Emilia, che gli è valso l’allontanamento dai progetti culturali dell’Istituto antifascista Alcide Cervi. Cosa avevano fatto? L’organizzazione di Prevedello, oltre a raccogliere fondi e comprare equipaggiamento da inviare ai battaglioni filo-governativi, era stata scoperta a vendere nei propri banchetti, qui in Italia, libri e gadget riconducibili ai neonazisti di Pravy Sektor.

A sinistra, magliette e gadget di Pravy Sektor e i libri di Stepan Bandera. A destra, raccolta fondi per l’esercito.

E ancora, a fare fuoco di supporto mediatico per il documentario, arriva anche l’organizzazione ucraina StopFake.org, che lavora a stretto giro con Facebook ed esegue il fact-checking per gli articoli caricati dagli utenti sul social network. Questa organizzazione è finita in uno scandalo internazionale nel momento in cui una giornalista, Katerina Sergatskova, tutt’altro che orientata verso il mondo russo, ha deciso di compiere un’indagine sui vertici dell’organizzazione, rivelando un torbido intreccio di conoscenze tra StopFake e l’area neonazista ucraina. Una volta pubblica la sua inchiesta, la giornalista è stata minacciata di morte da una folla di utenti di estrema destra che l’accusavano di essere un agente del Cremlino e che hanno poi diffuso online l’indirizzo, foto di casa, e persino la foto del figlio 5 anni. Katerina a quel punto è stata così costretta a fuggire dal Paese. 

La filiale italiana di StopFake è gestita da Mauro Voerzio, un reporter di guerra che viene ospitato volentieri dai Radicali Italiani. Come si può osservare dal materiale da lui rilasciato, ha dato copertura mediatica alle operazioni del gruppo neonazista S14, e ricondivide la candidatura degli esponenti politici del Battaglione Azov. Senza sorprese, ovviamente sul caso Markiv è perfettamente allineato con le argomentazioni del team “privo di divergenze ideologiche.

Oles Horodetskyy, il suggeritore espulso dall’aula di cui parlavamo prima, è il presidente dell’Associazione cristiana degli ucraini in Italia e membro del comitato nazionale dei Radicali Italiani. Sempre presente dentro e fuori le aule del tribunale, ha organizzato presidi insieme a gruppi della comunità ucraina per manifestare il loro dissenso per l’arresto di Markiv. Oles è fra quelli che più si sta spendendo per promuovere questo documentario, ed è la persona che sembra avere contatti con Anton Gerashchenko, il consigliere del ministro Avakov, che partecipa anche alle presentazioni del documentario sia in Italia, con i Radicali Italiani, sia in Ucraina. Quindi, una delle parti in causa sponsorizza il “documentario indipendente”, ennesimo aspetto curioso di questa vicenda.

A sinistra Horodetskyy e Tinazzi. A destra Horodetskyy e Gerashchenko.

Oles Horodetskyy, Mauro Voerzio e Fabio Prevedello, che si conoscevano da Euromaidan quando organizzavano o partecipavano ai presidi di supporto dall’Italia, continueranno a incontrarsi agli eventi dei Radicali Italiani o durante il processo a Vitaly Markiv.

A sinistra, Oles Horodetskyy e Mauro Voerzio. A destra, Oles Horodetskyy e Fabio Prevedello.

Stando a quanto scritto e riportato, credo si possa con molta difficoltà parlare di questo documentario come un progetto indipendente e super partes. Diversi autori, le organizzazioni che gravitano loro intorno e quelle che gli danno supporto mediatico, sembrerebbero essere già schierati dalla parte dell’imputato e della guardia nazionale, per non parlare dei contatti che alcuni di questi hanno con lo Stato ucraino. Non ci sono i requisiti minimi per poter condurre una ricerca della verità, ammesso che ve ne sia un’altra rispetto a quella emersa dalla precisa ricostruzione esposta nella sentenza di primo grado e ribadita dalla procura generale e dalle parti civili in corte di assise di Appello.

Articolo di Valerio Gentili per Contropiano del 30/10/2020.

“The Wrong Place” è un film sbagliato

The Wrong Place è un documentario che indaga sull’uccisione di Andrea Rocchelli e di Andrej Mironov, due giornalisti per la cui morte è stato arrestato un militare ucraino con cittadinanza italiana, Vitaly Markiv, già volontario della famigerata Guardia Nazionale. L’uccisione dei due reporter è avvenuta nel 2014 nel corso della guerra del Donbass. Il documentario è stato realizzato da Cristiano Tinazzi con il supporto di Danilo Elia, Ruben Lagattola e Olga Tokariuk.

Locandina di The Wrong Place

Parlare di questo documentario è assai difficile, per una serie di ragioni, la prima tra tutte è che non si capisce quale sia il documentario. Finora sono circolati diversi estratti utilizzati a fini propagandistici – cioè per raccogliere fondi, il progetto conta su un crowdfunding – e per animare il dibattito politico.

Perplessità ci sono sull’uso politico di questo “documentario”, sembrerebbe che serva non tanto a informare quanto a condizionare le scelte della corte chiamata a giudicare Markiv. Se ciò venisse fatto con un serio lavoro d’inchiesta sarebbe una cosa utile e buona, ma da quel che si è visto del documentario, sembra che si punti a creare confusione per dire che non ci siano gli elementi per esprimere un giudizio. 

Tanto gli autori, quanto il partito dei Radicali Italiani e i nazionalisti ucraini in Italia, che stanno sponsorizzando il documentario, dicono di battersi per ricercare la verità, eppure nei tre anni trascorsi tra il duplice omicidio e l’arresto di Markiv non si erano impegnati in ciò. La campagna sul caso sembrerebbe essere stata attivata solo per liberare Markiv e garantire la non persecuzione dei soldati ucraini che, secondo la sentenza di primo grado, quel giorno uccisero Rocchelli e Mironov. Quello che non si tollera a Kiev non è tanto che un loro soldato sia imprigionato, quanto il fatto che si sia riconosciuto ufficialmente che le formazioni militari ucraine – sia l’esercito che le altre milizie come la Guardia Nazionale – abbiano commesso dei crimini. Ciò per l’Ucraina è una minaccia serissima, in quanto apre le porte a ulteriori indagini sui crimini che ha compiuto in questi sei anni di guerra.

Passaporto di Andrea Rocchelli

Il posto sbagliato?

La tesi del documentario è che i giornalisti uccisi si siano trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Questa affermazione è tanto inopportuna quanto grave, quei giornalisti erano nel posto giusto nel momento giusto, stavano facendo coraggiosamente il proprio lavoro di testimonianza. Stavano documentando i crimini commessi dall’esercito ucraino e per chiudergli la bocca sono stati uccisi.

Ora, che qualcuno provi a dire il contrario potrebbe essere semplicemente archiviato tra le miserie del giornalismo nostrano, però il documentario si inserisce in una mastodontica campagna internazionale promossa dal Governo ucraino e che in Italia trova sponda nel partito dei Radicali Italiani.

Nazionalisti ucraini al congresso dei Radicali Italiani (1-3 novembre 2019)

I Radicali Italiani e gli ultra-nazionalisti

L’imputato Markiv è un ultra-nazionalista, uno che frequenta pub neonazisti in Ucraina e sul cui telefono, una volta arrestato, sono state trovate foto dei suoi commilitoni con svastiche e braccia tese. Era arruolato nella famigerata Guardia Nazionale ucraina, un corpo composto anche da neonazisti.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Ad alcuni può sembrare assurdo questo accostamento, eppure non è la prima volta che i Radicali Italiani collaborano con ultra-nazionalisti, è già successo negli anni ’90 durante la guerra in Jugoslavia.

Marco Pannella in divisa militare dei fascisti ustascia croati durante la guerra in Jugoslavia

Cristiano Tinazzi e l’indipendenza del documentario

A meno di omonimie, il regista del documentario Cristiano Tinazzi sembrerebbe essere stato giornalista della rivista di estrema destra Rinascita, nonché candidato alle elezioni amministrative del 1999 con il Fronte Nazionale, partito fondato da Adriano Tilgher, l’ex dirigente di Avanguardia Nazionale, movimento neofascista protagonista di alcune delle pagine più oscure della storia repubblicana. Questi elementi di sicuro non bastano a ipotizzare una sorta di “Soccorso nero internazionale”, ma aiutano a inquadrare i termini della vicenda.

Il documentario viene spacciato per “indipendente” ma ha goduto del supporto, quantomeno tecnico, della Guardia Nazionale ucraina, il corpo paramilitare a cui apparteneva Markiv. Non può essere considerata indipendente una indagine svolta con il supporto di una delle parti in causa.

Sarebbe molto interessante avere qualche informazione anche su chi abbia contribuito economicamente al documentario, questo si poggiava su un crowdfunding che ha apportato ingenti risorse.

Il documentario sintetizza molto sommariamente dei concetti e delle ricerche svolte dagli autori, quindi non si capisce bene quale sia il metodo di lavoro e quanto siano affidabili le prove. A questo livello di sintesi è difficile sollevare delle obiezioni tecniche, in quanto, alcuni necessari passaggi potrebbero essere stati omessi nel video e sarebbe opportuno che gli autori fornissero una relazione tecnica scritta su cui poter fare le obiezioni.

Prove balistiche con la Guardia nazionale in The Wrong Place

Le prove tecniche

Dal punto di vista tecnico il video può essere sintetizzato in due tesi messe in piedi per scagionare Markiv: dalle postazioni ucraine non si vedeva il bersaglio e le armi di Markiv non erano in grado di colpire alla distanza a cui si trovavano le vittime. Entrambe le tesi sono assolutamente inconsistenti.

Per sostenere la tesi che dalle postazioni ucraine era impossibile vedere il bersaglio gli autori hanno fatto una dettagliata ricostruzione cartografica, omettendo però di inserirvi la torre di un ripetitore radio alta diverse decine di metri che svettava al centro del caposaldo degli ucraini e dalla cui sommità verosimilmente riuscivano a vedere benissimo il luogo del delitto.

Per sostenere la tesi che l’arma di Markiv non fosse in grado di colpire a quella distanza sono state fatte delle ridicole prove balistiche (gli aspetti più grotteschi sono descritti in calce). Premesso che a differenza da quanto sostenuto nel documentario le armi dei fanti ucraini a quella distanza possono uccidere, va ricordato che le vittime furono assassinate con colpi di artiglieria sparati intenzionalmente contro di loro e non a colpi di fucile. Infatti, l’accusa non è di aver sparato ai giornalisti, cosa che comunque non è possibile escludere, ma di aver partecipato attivamente ad un’azione criminale finalizzata all’uccisione di civili.

Il documentario non sembrerebbe cercare la verità, ma solo generare confusione per arrivare ad un’assoluzione per mancanza di prove. Non si può negare che il processo abbia assunto degli aspetti politici, oltretutto è giusto così: ha rotto il silenzio sui crimini delle autorità ucraine. Tuttavia, sono state proprio le istituzioni ucraine – e compagnia – a caricare ulteriormente di valenza politica il caso, a montare una enorme campagna che passa anche per gesti molto inopportuni, come la presenza in aula il ministro degli Interni dell’Ucraina, Arsen Avakov, noto per i suoi contatti con gli ambienti neonazisti ucraini. A questo punto si è costruito un caso politico-mediatico e non si può pretendere di poter tornare indietro.

Nota tecnica sul documentario

Come prima cosa bisogna ricordare che le vittime sono state uccise con colpi di mortaio sparati da una postazione ucraina e che gli vennero sparati anche numerosi colpi di fucile e mitragliatrice. A Markiv viene contestato di aver partecipato attivamente all’azione finalizzata all’uccisione di civili e non necessariamente di aver premuto il grilletto dell’arma che li ha colpiti.

Il documentario sostiene che la postazione di Markiv fosse troppo lontana per riuscire a centrare un bersaglio con un AK-74. Ciò è parzialmente vero, a quella distanza quell’arma può tranquillamente uccidere, però è molto difficile centrare il bersaglio: anche con una buona ottica si tratta di una distanza estremamente elevata per riuscire a colpire una persona. Ma dato che i soldati ucraini si trovavano dentro delle trincee e che non avevano problemi di munizioni, è plausibile che si siano messi a sparare in una direzione un gran quantitativo di colpi, sperando che qualcuno colpisse il bersaglio. Il video non fa un buon servigio a Markiv quando dice che le vittime non erano visibili in quanto coperte dalla vegetazione: è assolutamente vietato sparare a bersagli che non si vedono, il tiro indiscriminato è un reato.

Vista della ferrovia con un’ottica dalla collina in The Wrong Place

Viene fatta una minuziosa ricostruzione del terreno per dimostrare che dalla posizione degli ucraini (non solo da quella di Markiv) fosse impossibile vedere le vittime che si trovavano in un fosso. Inoltre, la visuale era parzialmente ostruita da un treno usato a mo’ di barricata. Non si dispone di elementi per mettere in discussione la bontà della ricostruzione cartografica, ma si può tranquillamente dire che l’uso che se ne fa si basa su una premessa assurda. Come si evince dalle immagini, le posizioni ucraine si trovavano su di una collina sulla quale spicca un’altissima torre radio (verosimilmente un ripetitore televisivo). Dalla cima della torre si possono certamente osservare tutte le posizioni ribelli fino alle retrovie. Pare inverosimile che gli ucraini non avessero sfruttato quel prezioso punto di osservazione posizionandoci almeno un soldato e/o una telecamera. Quindi, quando si parla di visuale, andrebbe presa in considerazione l’esistenza della torre. Ovviamente gli ucraini non ammetteranno mai di averla usata (anche se è inverosimile che non lo abbiano fatto) in quanto non stanno cooperando con le indagini.

Collina Karachun e traliccio in The Wrong Place

La ricostruzione cartografica mette in luce che ci fosse una differenza di quota tra le posizioni ucraine e le vittime. Sebbene si tratti di una ricostruzione molto puntigliosa, si omette di dire quale sia questa differenza di quota (da contro-inchieste giornalistiche sembrerebbe una novantina di metri). Non si tratta di un dettaglio trascurabile, perché ciò influisce sulle gittate e quindi potrebbe allargare lo spettro delle possibili armi utilizzabili. Un esempio può aiutare a capire: si ha un sasso pesante, lo si riesce a tirare fino a 10 metri di distanza. Ora, mettiamo di tirare lo stesso sasso da sopra un palazzo, questo riuscirà ad arrivare ben oltre i 10 metri di distanza sul terreno. Questa banale osservazione vale per qualsiasi oggetto che viene lanciato, anche per i proiettili: una piccola differenza di quota aumenta la gittata delle armi.

Bisogna però capire dove si trovasse Markiv il giorno del fatto. Da quanto si evince nel documentario, quella sulla collina dovrebbe essere una sorta di base da cui dipendono diverse posizioni, come fortificazioni o trincee. Nel documentario si dice che Markiv si trovava in una delle postazioni più lontana dalle vittime, a 1860 metri, e per dimostrarlo si fa vedere un video girato con il telefonino di Markiv. Il video in questione però è di giugno, cioè diversi giorni dopo il fatto e di norma i soldati di una base non stanno mai nella stessa posizione, c’è una rotazione costante: per questa ragione durante le indagini sono stati anche richiesti i verbali sulle rotazioni, mai fornite da parte ucraina. Il 24 maggio, Markiv si sarebbe potuto anche trovare in una postazione più vicina. In conclusione il video girato con il telefonino non dimostra nulla ad eccezione del fatto che Markiv si trovasse effettivamente su quella collina.

Foto di Markiv sulla collina nel giorno dell’uccisione di Rocchelli

Si deve anche confutare la tesi – sostenuta nel documentario – che le armi individuali presenti nella posizione di Markiv non fossero in grado di colpire le vittime. Per sostenere questa assurda tesi (confutata anche dalle specifiche tecniche fornite dai produttori delle armi) gli autori svolgono delle prove balistiche, effettuate in un poligono della Guardia Nazionale dell’Ucraina, che verosimilmente mette anche a disposizione le armi. Si tratta cioè del corpo a cui appartiene Markiv, che quindi non ha alcun interesse a dimostrarne la colpevolezza. Nelle prove si sostiene che un tiratore non sia in grado di colpire un bersaglio da quella distanza. Ma se armi e munizioni sono fornite dalla Guardia Nazionale, la prova perde di credibilità: basterebbe che questi abbiano fornito armi o munizioni inadeguate per centrare i bersagli e/o con sufficiente forza. Basterebbe cioè aver dato armi con la canna consumata, queste perdono di precisione e di “forza”: il proiettile va lontano e va preciso per una serie di forze che agiscono su di lui, le principali, tolta la forza di gravità e l’attrito, sono la spinta data dalla carica e la rotazione data dalla rigatura della canna. La rigatura della canna è fondamentale, questa fa ruotare il proiettile lungo il proprio asse, lo fa essere stabile e andar lontano. Se la canna è consumata, o sabotata, il proiettile non va lontano e non andrà mai preciso. Discorso analogo vale per le munizioni. Se viene fornita una munizione sabotata, il colpo non andrà lontano e/o preciso.  

Detto ciò, al poligono si fa la prova di colpire la sagoma di un’automobile posta a 1,5 km e lo si fa con 3 armi: AK-74 (fucile d’assalto), PKM (mitragliatrice) e Dragunov (fucile di precisione). Verosimilmente quelle sono le armi di cui disponeva la squadra di Markiv, ma potrebbero aver anche avuto armi di posizione come AGS o razzi, e pare difficile che non ci fosse neanche un Utyos, con il quale si può distruggere un’automobile da quella distanza.

Anche se le armi e munizioni fossero buone, la prova è assolutamente inficiata dalla scelta della posizione di tiro: il tetto di un camion fuoristrada. Va detto che in zone pianeggianti (come quella in cui si trova il poligono usato per la prova) è buona norma sparare da posizioni sopraelevate, in questo modo i proiettili hanno necessariamente una traiettoria orientata verso il basso e andranno ad impattare il terreno senza vagare incontrollati per la pianura; ma per fare ciò, soprattutto in casi di tiri a distanza elevata, si usano delle altane, cioè delle delle stabili piattaforme e non il tetto di un veicolo. Quello che si vede nel video è un camion fuoristrada, con un profilo e con delle sospensioni molto alte, cioè un qualcosa che oscilla a ogni minima sollecitazione. Per capire di cosa si parli, basti fare una prova: guardare come si muove un bus ogni volta che sale un passeggero. Si tratta di un piccolo movimento, a volte quasi impercettibile, ma un movimento che c’è e che è amplificato sul tetto del veicolo (per via del braccio della leva). Si tratta di movimenti nell’ordine dei centimetri, che di sicuro non danno problemi quando si spara a breve distanza, ma che impediscono di colpire un bersaglio a lunga distanza. Sparando a 1,5 km lo spostamento di un solo centimetro della base di appoggio si traduce in un errore di circa 24 metri. Le oscillazioni del camion ci possono essere anche solo per il vento o a causa degli spostamenti degli altri passeggeri: nel video si vede chiaramente che sul tetto del camion non c’è solo l’operatore che spara, ma anche altre persone e non è dato sapere se ce ne fossero ulteriori all’interno del camion.

Anche nell’ipotesi che il tiratore cercasse davvero di fare centro, che avesse le competenze per farlo, che gli strumenti (armi e munizioni) fossero perfettamente funzionanti, da quella postazione di tiro traballante è assolutamente improbabile centrare un bersaglio a quella distanza. Quindi, chi cerca di dimostrare qualcosa facendo una prova del genere potrebbe essere incompetente o in malafede. 

Va anche detto che lascia molto perplessi il fatto che durante le prove di tiro gli operatori usassero dei guanti, per poter sparare a quelle distanze serve avere tutta la sensibilità possibile quantomeno sul dito indice. Infatti spesso i guanti militari hanno l’indice che si può scoprire.

Andando nel dettaglio delle varie armi usate nel test, ci sono riserve su ognuna di esse. Nella prova con l’AK-74 riescono a colpire la sagoma posta a 1,5 km: un buon risultato, non banale (con quell’arma si tratta di un colpo molto difficile, verosimilmente imputabile al caso). Però dicono che il proiettile non abbia la forza per passare un pezzo di compensato di quelli usati per trasportare la frutta. Se il proiettile non ha oltrepassato il bersaglio è sicuramente perché c’era qualcosa che non andava nell’arma e/o nella munizione. Se qualcuno non fosse persuaso di ciò si potrebbe invitare ad una controprova: farlo posizionare dietro un compensato posto a 1,5 km di distanza rispetto ad uno che tira con una buona arma e buone munizioni.

Prove balistiche col supporto della Guardia Nazionale in The Wrong Place

Nella prova con la mitragliatrice PKM si vedono dei dettagli che sollevano molte perplessità. In primo luogo il rinculo di quell’arma avrà sicuramente fatto muovere il tetto del camion rendendo quasi impossibile colpire il bersaglio. Secondo, sebbene si veda una scena in cui l’arma spara in automatico – cioè come deve sparare – ce n’è un’altra in cui viene caricata una cinta che ha una cartuccia sì e una no. Ciò è sicuramente fatto per poter sparare con l’arma in una sorta di “funzione manuale”, cioè per sparare solo un colpo per volta. Quindi non si capisce se con la mitragliatrice abbiano sparato colpi singoli o raffica, ma in ogni caso non si può verosimilmente colpire il bersaglio in quelle condizioni: se hanno sparato a raffica il camion traballava, se hanno sparato colpi singoli devono aver utilizzato il mirino, che a quelle distanze è molto difficile da adoperare su quell’arma. Nella mitragliatrice il mirino è comodo per bersagli fissi e/o a breve distanza, in tutti gli altri casi è più facile usare i colpi traccianti. Di norma la PKM è armata con cinghie in cui sono messe serie da 5 colpi: 4 normali e un tracciante. Il tracciante è un proiettile che lascia dietro di sé una scia di fuoco e fumo, serve a vedere dove vanno i colpi e quindi a indirizzare i successivi. Questa cosa funziona bene solo sparando a raffica, la scia dei colpi indica in che direzione orientare il fuoco. La scia di un 7,62×54 – la cartuccia usata dalla PKM – non dovrebbe arrivare a 1,5 km, ma di sicuro con i traccianti si può capire dove sono diretti i colpi e correggere il tiro fino a centrare il bersaglio. Per riuscire a colpire il bersaglio avrebbero dovuto posizionare la mitragliatrice su un supporto stabile e utilizzarla in automatico con l’uso di colpi traccianti. Se l’operatore che utilizza la mitragliatrice è un soldato ben addestrato, da una buona postazione di tiro, con buone condizioni meteo e di visibilità, con una buona arma e munizioni, senza condizioni di particolare stress a 1,5 km con una PKM se non colpisce un’automobile ferma, allora ha un problema.

Prova balistica con Dragunov in The Wrong Place

Infine, è stata effettuata una prova con un Dragunov e anche in questo caso non è stato colpito il bersaglio. Se con un Dragunov un tiratore scelto non colpisce un’automobile ferma a 1,5 km il problema che ha è molto serio. Tuttavia anche in questo caso c’è da tenere in conto il rischio di sabotaggio, cioè non è detto che l’operatore mancasse intenzionalmente il bersaglio o che non avesse le competenze per colpirlo (anche se si tratta di qualcuno che ha accettato di tirare a quella distanza da una piattaforma traballante), bisogna cioè ricordarsi che l’arma è stata fornita dalla Guardia Nazionale. Oltre a esserci l’evenienza di avere la canna o le munizioni fallate, potrebbe anche essere che gli organi di mira – quindi, in questo specifico caso, una mira telescopica – non fossero correttamente tarati. Per starare una mira telescopica basta girare una vitarella, discorso analogo vale per gli altri mirini. Se chi ha sparato con il Dragunov a 1,5 km – cioè un colpo difficile, a lunga distanza – non ha provato l’arma anche con molti colpi a distanza crescente, non può sapere se l’ottica sia stata correttamente tarata. 

In definitiva, le prove al poligono sono sicuramente viziate dalla posizione di tiro e potrebbero essere viziate dalla bontà delle armi e/o munizioni, in quanto danno delle risultanze inverosimili.

Articolo di Alberto Fazolo per Contropiano del 18/10/2020.