Referendum sulla conservazione dell’URSS (1991)

17 marzo 1991, pochi sanno che negli ultimi mesi di vita dell’URSS i cittadini sovietici parteciparono in massa a un referendum esprimendo la propria volontà di scongiurare la dissoluzione dell’Unione Sovietica. La vittoria del “Sì” fu schiacciante, al 77,85%. Un evento storico largamente ignorato in occidente e che smonta gran parte della narrazione dei nostri media su quel periodo, i quali cercano invece di ritrarre un popolo che si sarebbe ribellato all'”oppressione comunista”.

Quello che fa certamente riflettere è che, nonostante ogni tentativo delle politiche di Gorbachev di snaturare l’economia sovietica, promuovendo una transizione al capitalismo e spingendo il paese a ripudiare il proprio passato e le proprie conquiste, la popolazione in massa si mise a difesa di quel colossale progetto che fu l’Unione Sovietica.

Ignorando i risultati del referendum, nel dicembre dello stesso anno, Gorbachev si dimise da presidente dell’Unione Sovietica e conferì tutti i poteri al presidente della Russia, Boris Eltsin, il quale portò a compimento la sua missione e quella della cricca anticomunista che aveva scalato il partito: ammainare la bandiera sovietica dal Cremlino.

Vi riproponiamo questa interessante infografica di Rianovosti del 2011 che abbiamo tradotto e rielaborato, e alla quale abbiamo apportato anche delle correzioni ai dati delle votazioni.

Le trame della CIA in Italia: elezioni falsificate e colpi di stato

Gli Stati Uniti parlano tanto di democrazia e della sua esportazione, tanto che nel suo nome hanno causato guerre, colpi di stato e milioni di morti rivelandosi la maggiore minaccia alla pace dei popoli che da sempre vogliono liberarsi dal giogo imperialista, per poi tuonare invece contro coloro che hanno osato interferire nelle loro elezioni. Ma cosa intendono con la parola democrazia? A seguito di una ricerca riporto qui alcuni documenti che rispondono chiaramente a questa domanda più specificatamente per quanto riguarda l’Italia: Continue reading

Il film sulle Foibe è una cagata pazzesca

Spinto dalla curiosità, venerdì sera ho deciso di guardare “Red Land – Rosso Istria”, trasmesso su RAI 3 con squilli di tromba e fanfare al seguito.
A dire il vero, mi era capitato di vederne in precedenza alcuni spezzoni, mandatimi da certi ex amici (manco a dirlo, cattolici), nel tentativo di convincermi dell’importanza della pellicola e di farmi capire la ragione per cui, secondo loro, veniva boicottata dai “poteri forti”.
Si, talmente boicottata che è stata trasmessa sulla tv pubblica a tempo di record.
Se c’è una ragione per cui al cinema si è visto poco, è perché Red Land, il film su Norma Cossetto e le foibe (regia di Maximiliano Hernando Bruno), è un film davvero brutto, oltre che essere sostanzialmente banale propaganda. Continue reading

Cosa farebbe Machiavelli?

COMPAGNO MACHIAVELLI E L’ODIO DI CLASSE
L’immaginario comune di oggi sbaglia su Machiavelli – era un santo patrono della lotta di classe.

Articolo di Chris Maisano su Jacobin USA tradotto da Voxkomm https://www.jacobinmag.com/2013/06/what-would-machiavelli-do

Tengo un ritratto di Machiavelli sulla mia scrivania a lavoro – una scelta di interior design che, ho imparato, sconcerta alcuni dei miei colleghi. Recentemente un pomeriggio, ho ricevuto un e-mail da uno di loro con il titolo “Who Wants to Serve a Billionaire?” (chi vuole fare da servo a un miliardario?) Il messaggio conteneva un link a un articolo del Guardian sul crescente gruppo di multimiliardari internazionali, i loro cosiddetti “superyacht”, e i disperati britannici ed est europei che gli fanno da servi come mestiere.

Il rapporto è un documento indelebile del nostro tempo, è una testimonianza delle fortune rapidamente divergenti dell’1% e del resto di noi in tutto il mondo. “Queste sono persone abituate a ottenere ciò che vogliono”, ci ricorda il giornalista, “e, come datori di lavoro, tendono ad essere estremamente esigenti”. Continue reading

Aleksej Markov: una guerra fatta di occasioni mancate

I poeti e bardi Andrej Sciroglazov e Galina Sciapkina hanno incontrato e conversato con il comandante del battaglione della Milizia popolare della LNR Alexei Markov.

Articolo apparso su Literaturnaia Gazeta http://www.lgz.ru/article/-4-6676-30-01-2019/voyna-upushchennykh-vozmozhnostey/ Traduzione a cura del Comitato Ucraina Antifascista di Bologna https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo/ con il supporto di Riccardo Sotgia Alena Afanasyeva

Con il comandante della leggendaria «Prizrak» – [fantasma, NdT], (prima comandata da Mozgovoi) ci siamo conosciuti più di due anni fa, quando per la prima volta siamo capitati in Donbass. Partecipammo ad un festival e ci invitarono a parlare a Kirovsk, a ridosso del fronte. Ricordo come in sala si ascoltasse con attenzione, solo di tanto in tanto si sentiva un sussurro – i nostri ragazzi traducevano per i volontari stranieri le canzoni e i discorsi.

Dopo il concerto ci furono dei piccoli incontri, ci siamo trovati al tavolo accanto ad un interlocutore molto intelligente, che si presentò come Aleksei. Venimmo a sapere che si trattava di un siberiano, programmatore, un civile a tutti gli effetti (anche se l’istituto aveva un dipartimento militare). Si trovava in Donbass “chiamato dal cuore”, come molti altri volontari “fantasma”. Al momento di congedarci da lui, quasi per caso si è scoperto che avevamo parlato con il comandante di battaglione Markov… Continue reading

Benedetta Sabene attacca il “femminismo” alla Freeda

Il femminismo mainstream oggi tocca per il 90% tematiche come bodyshaming, peli, accettazione di sé, girl power, libertà di gestire il proprio corpo. Il tutto meglio se condito con un po’ di spot pubblicitari, come fanno pagine come Freeda. Perché qualsiasi cosa possa fare profitto, nel sistema capitalistico, va spremuta il più possibile: basti pensare a Beyoncè, paladina delle lotte femministe, che paga pochi centesimi le lavoratrici che producono in Sri Lanka i capi della sua linea di abbigliamento.

La realtà che vivono ogni giorno la maggior parte delle donne, però, è molto diversa da quella su cui questo tipo di femminismo mette l’accento: precarietà, licenziamenti, impossibilità di potersi fare una famiglia, sfruttamento. E nel resto del mondo la situazione è anche peggiore. Eppure tutto questo non sembra interessarci. Perché?
Perché fa molto più comodo creare artificialmente una sorta di “solidarietà femminile”, piuttosto che rendere le donne consapevoli dei rapporti di forza economici esistenti in questa società: un’operaia srilankese NON ha nulla in comune con la sua padrona Beyoncè. Ma ha tutto in comune con il suo collega uomo, sfruttato e malpagato quanto lei.

Il più grande paradosso del femminismo commerciale è proprio questo: lottare per l’uguaglianza di genere senza lottare per l’uguaglianza sociale. Lottare, quindi, per un’emancipazione che non ci potrà mai essere in un sistema economico basato proprio sullo sfruttamento e sull’oppressione. Con l’aggravante di trasformare le lotte in profitto.

– Bendetta Sabene

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Benedetta Sabene attacks “Freeda femminism”

Today’s mainstream feminism is for the 90% about themes as bodyshaming, hair, self-acceptance, girl power, freedom to manage one’s own body. All better if seasoned with a few commercials, as many well-known FB pages do (as the italian Freeda, for example – link). In the capitalist system, anything that can make a profit must be squeezed as much as possible: just think about Beyoncè, a champion of feminist fights, who pays a few cents the women working in Sri Lanka to produce the items of her clothing line.

The reality that most women live every day, however, is very different from the on which this type of feminism puts the emphasis on: precariousness, layoffs, inability to have a family, exploitation. And in the rest of the world the situation is even worse. Yet, all this does not seem to interest us. Why is that?

Because it is much more convenient to artificially create a sort of “female solidarity”, rather than making women aware of the economic power relations existing in this society: a Sri Lankan female worker has NOTHING in common with her boss Beyoncè. But she has EVERYTHING in common with her fellow man, as much exploited and badly paid as she is.

The big paradox of commercial feminism is precisely this: fighting for gender equality without fighting for social equality. To fight, therefore, for an emancipation that can never be found in an economic system precisely based on exploitation and oppression. With the aggravating feature of transforming struggles into profit.

– Benedetta Sabene

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Fuori dalla mischia: uno sguardo oltre l’ideologia no-border

Immigrazione – una tematica difficile quanto centrale nelle discussioni politiche di oggi giorno. Quando se ne parla sembrerebbe che la maggior parte delle volte le persone abbiano già investito in posizioni assolute, difficilmente discutibili e dove il pregiudizio alle critiche è frequente – tutti fattori per cui avere un dialogo è conseguentemente difficile se non impossibile. Argomento tosto si, ma non per questo dovremmo essere timidi nell’avere discussioni e cercare di elaborare soluzioni ai problemi che tale fenomeno comporta.

Quando si parla di confini, siamo solitamente indotti a fare riferimento a quelli di natura fisica (come quelli nazionali che dividono gli Stati), la politica di oggi, inoltre, alimenta spesso un immaginario fatto di reticolati, muri, filo spinato, etc. È bene, tuttavia, tenere a mente che non esistono solo confini di questo tipo. Oggi Il termine border, infatti, fa riferimento tanto ai confini di natura fisica quanto a confini di altra natura che potremmo definire di capitale, confini economici, insomma, che vengono solitamente regolati dagli accordi presi in particolare sul commercio e come nell’esempio dei mercati finanziari. Il NAFTA (North American Free Trade Agreement) abbatte il confine per capitale tra gli USA, il Canada ed il Messico, costringendo le attività economiche di quest’ultimo (in particolare l’agricoltura) a competere direttamente con tutto il nord America. Già che ci siamo, definiamo anche i due motivi diversi (ma spesso sovrapposti) per il quale esistono le migrazioni di massa: povertà, e guerra; quindi abbiamo migranti tanto per motivazioni economiche quanto rifugiati fuggiti da conflitti. Continue reading

Chi insulta i gilet gialli insulta anche mio padre

Édouard Louis è uno dei più brillanti giovani romanzieri francesi, enfatizza il suo lavoro sulle umiliazioni quotidiane e la brutalità della vita nella Francia rurale. Critico del governo di Emmanuel Macron, è stato un fervente sostenitore delle proteste dei “gilet jaunes” o “gilet gialli” che hanno attraversato il paese nelle ultime settimane, scatenate da una serie di tensioni sull’aumento del prezzo del carburante. In particolare, lo scrittore ha combattuto i tentativi dei media di etichettare i manifestanti come “idioti di campagna” o stupidi oppositori del progresso. In questo testo, originariamente pubblicato su Les Inrockuptibles, Louis proclama che “coloro che insultano i gilet jaunes stanno insultando persone come mio padre“.


È da qualche giorno ormai che cerco di scrivere un testo su e per i gilet jaunes, ma non ci riesco. Qualcosa nell’estrema violenza e nel disprezzo di classe che sta martellando questo movimento mi lascia paralizzato. Perché in un certo senso sento di essere personalmente preso di mira.

È difficile per me descrivere lo shock che ho provato quando ho visto le prime immagini dei gilet jaunes. Nelle foto che accompagnano gli articoli ho visto corpi che quasi mai compaiono nello spazio pubblico e mediatico – corpi sofferenti devastati dal lavoro, dalla fatica, dalla fame, dall’umiliazione permanente di chi è dominato dal dominante, dall’esclusione sociale e geografica. Ho visto corpi stanchi e mani stanche, schiene rotte e volti esausti. Continue reading