Il film sulle Foibe è una cagata pazzesca

Spinto dalla curiosità, venerdì sera ho deciso di guardare “Red Land – Rosso Istria”, trasmesso su RAI 3 con squilli di tromba e fanfare al seguito.
A dire il vero, mi era capitato di vederne in precedenza alcuni spezzoni, mandatimi da certi ex amici (manco a dirlo, cattolici), nel tentativo di convincermi dell’importanza della pellicola e di farmi capire la ragione per cui, secondo loro, veniva boicottata dai “poteri forti”.
Si, talmente boicottata che è stata trasmessa sulla tv pubblica a tempo di record.
Se c’è una ragione per cui al cinema si è visto poco, è perché Red Land, il film su Norma Cossetto e le foibe (regia di Maximiliano Hernando Bruno), è un film davvero brutto, oltre che essere sostanzialmente banale propaganda.

Un B-Movie risultato di un mix tra commedia italiana anni ‘40, fiction con Beppe Fiorello e horror, in un trionfo di stereotipi, il cui clou è la figura del ferocissimo, al limite del ridicolo, partigiano Mate, ridotto ad una macchietta di sadico psicopatico avvinazzato con un perenne ghigno isterico sul volto, a capo di un gruppo di altrettanto avvinazzati, stupidi e violenti “titini”.
Una menzione va all’attore sloveno Romeo Grebensek che si è prestato a questa opera di diffamazione della Resistenza jugoslava, avallando il concetto che “slavo è comunque cattivo”, ma anche stupido.
A proposito poi del termine “titini”, usato in tutto il film, nel 1943 non era ancora usato, ma non è questo l’unico anacronismo presente, come i personaggi che si danno del lei quando all’epoca, dopo vent’anni di slogan come “a chi ti dà del lei ancora adesso non dare il voi né il tu, dagli del fesso”, il voi era in uso obbligato soprattutto tra militari e apparati del regime.

Oltre alle pessime interpretazioni, il film si basa su una serie di eventi improbabili: dopo una specie di prologo con la caccia al cervo nel bosco (il cervo in Istria è una rarità, tra l’altro) e due mani insanguinate che si agitano in una voragine, entra in scena Geraldine Chaplin, che interpreta una vecchia incartapecorita e inespressiva, che va con una nipote piuttosto stralunata fino al Magazzino 18 nel porto vecchio di Trieste, magazzino che ovviamente è accessibilissimo, (basta spingere la porta) ; inoltre il pavimento e le masserizie sono puliti e privi di polvere, e lei capita, guarda un po’, proprio davanti all’armadio della sua infanzia (simile ad una quantità di altri armadi lì conservati, ma che lei riconosce a colpo d’occhio) e recupera la bambola che aveva nascosto in un doppio fondo (bambola che peraltro, in una scena del lungo flashback che seguirà risulta essere stata pugnalata e sventrata dal perfido Mate, ma che a distanza di settant’anni era ancora miracolosamente come nuova), il che fa precipitare la vegliarda ai ricordi della sua infanzia.

E da qui parte il flashback: nella prima scena che si svolge a Padova si vede una ragazza (Norma) correre, apparentemente terrorizzata, inseguita da un marinaio in divisa, ed alla fine di questo lungo inseguimento, dopo essere finiti in una stanza dell’ateneo dove veniva discussa una tesi, sotto gli occhi tra il severo e il divertito dei docenti e del laureando, i due finiranno col baciarsi in mezzo alla strada: come se un marinaio in divisa nel 1943 (piena guerra, anche se il film non lo lascia intendere) potesse comportarsi a quel modo solo per giocare con la sua fidanzata.

Il film sarebbe ufficialmente (così ha scritto Fausto Biloslavo sul Giornale) ispirato al diario redatto da un cugino di Norma Cossetto, Giuseppe, che lo scrisse a 96 anni nel 2016, poco prima di morire (quindi a distanza di settant’anni dagli eventi), ma in realtà dei diari di Cossetto nel film non c’è nulla.
Praticamente tutta la storia è inventata di sana pianta, sono inseriti personaggi che non risultano nelle memorie dell’epoca, ed altri personaggi appaiono con nomi cambiati (il professor Ambrosini, interpretato da Franco Nero, prestatosi ad interpretare un dispensatore di luoghi comuni, dovrebbe essere il professore D’Ambrosi di Cittanova, che aveva aiutato la vera Norma Cossetto per la sua tesi, ma non si comprende il motivo di cambiare il nome e la residenza di questo personaggio, se non per inserire una sorta di “coscienza” nel paese in cui si svolgono i fatti).
Non sono esistiti, inoltre (non ne fa cenno nessuno dei testimoni dell’epoca) i componenti della famiglia di Carlo Visentrin che secondo il film si trovava a Trieste con Cossetto padre, ed i cui figli maggiori vengono descritti come i traditori che si uniscono ai partigiani comunisti e “titini”: Angelo, un ragazzone poco sveglio che scrive slogan comunisti in un diario che nasconde sotto il materasso, sembra praticamente plagiato dalla sorella Adria, perfida amica d’infanzia di Norma, che le lavorerà contro; e verrà ammazzato perché, pentitosi, voleva impedire ai “titini” di portare via i prigionieri per “infoibarli”.
La famigerata “Operazione nubifragio” (Wolkenbruch), con la quale la Wehrmacht prese il controllo dei territori italiani di Istria e Dalmazia dopo l’8 settembre 1943, che causò migliaia di morti, nel film viene vagamente descritta con un incontro tra gerarchi nazisti. Le relative immagini, lungi dal presentare le colonne blindate e corazzate che devastarono l’Istria ed i suoi abitanti, rappresentano sparuti manipoli di militari nazisti che si muovono a piedi entrando nei villaggi di soppiatto per non farsi scorgere dagli abitanti.

Il film non rende giustizia nemmeno a Norma Cossetto, che sarà anche stata una fanatica fascista (non lo si sa per certo), ma comunque non era una ragazzina trasognata ed a volte vagamente isterica come Selene Gandini la rende al pubblico, ma una donna di 23 anni (all’epoca a 23 anni le donne erano ben più che adulte, sia che fossero contadine analfabete, sia che fossero acculturate come Norma), che aveva lasciato la casa paterna per andare a studiare a Gorizia già nella prima adolescenza, ed a Padova, dove frequentava l’università era attiva in vari campi, sportivi ed associativi; inoltre aveva avuto un’esperienza di insegnante nel liceo di Pisino pur non essendo ancora laureata. Una donna volitiva, che forse proprio per questo suo atteggiamento disinvolto ed indipendente aveva potuto mettersi in mostra al di là del fatto di avere avuto un padre fascista.
Ma alla fine la figura di Norma Cossetto invece di essere centrale nel film sembra quasi una figura di contorno, che di fatto appare poche volte nel corso di tutta la vicenda.

Nessun inquadramento storico viene fornito nel film, a parte le poche didascalie che parlano dell’arresto di Mussolini e dell’armistizio, senza una continuità di tempi, con solo un breve accenno a “la guerra è finita” quando, l’8 settembre, la popolazione va in piazza a bere (tanto per cambiare) e festeggiare.
L’Istria sembra essere un’isola lontana dal mondo, tranquilla e senza problemi almeno finché non arrivano i “titini”, cioè il gruppo di croati locali cui si era aggiunto Mate, inviato appositamente da Dubrovnik (come se i “titini” avessero solo psicolabili sadici tra i loro comandanti; ma è ovvio che il comunista è cattivo e se è slavo è ancora peggio), ed al quale molti dei coloni si oppongono dicendo che loro sono sempre stati trattati bene dai Cossetto; così il feroce comandante col ghigno ordina anche la loro esecuzione e lo stupro delle loro mogli e figlie (stupri che si sentono in sottofondo mentre Mate tracanna vino spiegando il suo progetto di eliminazione degli italiani dall’Istria: progetto che ribadisce del resto ogni volta che parla con un italiano, sia il professore che non vuole collaborare, sia Angelo ed Adria che devono comprendere che come collaboratori non dureranno a lungo, dato che sono italiani).

Da film d’azione di bassa lega invece la scena dell’irruzione “titina” nella caserma allo scopo di prelevare armi, con quel po’ po’ di assalto con tanto di armi automatiche, gas e pistole che sembrano avere un numero infinito di pallottole come nei videogames.
Questa è l’ennesima dimostrazione della ferocia “titina”, ferocia che appare anche in un’altra scena orripilante, in cui si vede il prete del luogo impiccato alle corde delle campane. Va detto che l’unico parroco ad essere impiccato fu quello di Canfanaro. E fu impiccato dai tedeschi. Il che fa pensare che la sceneggiatura sia stata scritta in perfetta coscienza di mistificazione storica.

Patetiche le interpretazioni dei militari, col generale Esposito (che tenne la piazza di Trieste durante tutta la guerra, anche sotto occupazione nazista) che sembra un vecchietto che non riesce a decidersi su cosa fare.

Abbiamo poi il partigiano Giorgio, interpretato dallo stesso regista, disertore aggressivo ed impulsivo, che si unisce ai “titini” per antifascismo, innamorato segreto di Norma, che sarà (per ordine di Mate) costretto ad arrestare, accompagnato da un manipolo di “croati”. Anche qui la fiction contraddice la storia, dato che la sorella di Norma, Licia, dichiarò più volte che Giorgio era venuto da solo in motocicletta a casa loro e che Norma lo seguì di propria volontà (cosa scritta peraltro anche nel “diario” del cugino Giuseppe, cui si sarebbe ispirato il film).

Alla fine ciò che resta della storia di Norma Cossetto sono lo stupro (prolungato in modo insopportabile) e l’infoibamento, cui avrebbe assistito Giulia, la ragazzina della bambola, che non si comprende come abbia potuto raggiungere da sola e presumibilmente a piedi la foiba, distante una decina di chilometri dal villaggio senza essere vista dai partigiani.

Notiamo ancora che la foiba vista dall’esterno ha un’apertura piuttosto ristretta, mentre nelle scene girate all’interno tale apertura sembra non solo molto più grande, ma la cavità sembra svilupparsi in orizzontale e non in verticale (cosa questa già vista nell’orribile precedente dal titolo “Il cuore nel pozzo” del 2005, altro prodotto di propaganda neofascista).
Nella (lunghissima e lugubre) scena che mostra gli infoibati precipitare nell’abisso, quando tocca a Norma essere gettata dentro la discesa sembra non finire mai, ma appare evidente che il luogo dove è stato girato il tutto è un ghiaione di montagna e non una cavità sotterranea; né si comprende come dopo una caduta di tanti metri alla fine la ragazza sia ancora viva; e qui riappaiono le mani insanguinate della scena iniziale, momento di collegamento col “presente”, ossia l’apparizione della Giulia ormai anziana accompagnata dalla nipotegiunte, non si sa come, dal Magazzino 18 alla foiba in mezzo all’Istria.
Qui si chiude il film, con una scena orribile: dopo che Giulia avrà gettato con espressione astiosa la bambola dentro la foiba, si vedranno nuovamente le mani insanguinate di Norma Cossetto che chiedono aiuto.

Nonostante si tratti di un lavoro brutto sotto tutti i punti di vista, lungo, noioso, recitato male, privo di coerenza e di inquadramento storico, i recensori dei giornali ne hanno parlato bene, senza entrare nel merito del film, ma per il solo motivo che tratta un argomento “scomodo” di cui “non si è mai parlato prima”. E se questi sono i presupposti, possiamo ben capire, data l’ignoranza totale su questi argomenti storici, quanto male potrà fare questo film all’opinione pubblica e soprattutto tra i giovani (si parla di proiettarlo nelle scuole), che in coda riporta informazioni “storiche” completamente false: non furono un migliaio gli infoibati nel settembre 1943, non furono settemila quelli dopo la fine della guerra.

Ma è più facile veicolare bufale scrivendole in coda ad un film che diffondere informazioni tramite libri storici seri, che vengono tacciati di “negazionismo” dagli stessi propagandisti di bassa lega che diffondono falsità erigendosi a paladini di una verità che non esiste.

Articolo di Marco Leoni
Titolo di Voxkomm

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