I comunisti russi chiedono la chiusura del museo della vergogna “Centro Eltsin”

La deputata della Duma Anastasia Udaltsova propone di chiudere il “Centro Eltsin” e di rimuovere il nome di Eltsin dai nomi di biblioteche, musei e altre strutture.

La deputata della Duma del Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) e del Fronte di Sinistra, Anastasia Udaltsova, ha lanciato un’ampia campagna pubblica per “de-eltsinizzare” la Russia, per la quale propone ai cittadini di inviare una lettera in massa alla Duma al seguente indirizzo: udaltsova@duma.gov.ru:

Secondo le informazioni ufficiali, nel 2022 è prevista l’apertura di una sede del Centro Eltsin nel quartiere Dolgorukov-Bobrinsky di Mosca, in via Malaya Nikitskaya. In precedenza, nel 2015, era stato inaugurato il Centro Eltsin a Ekaterinburg. Va ricordato che il regno del presidente Boris Eltsin è una delle pagine più terribili della storia della nostra Madrepatria. Eltsin è stato tra i principali promotori della distruzione dell’Unione Sovietica, che ha portato all’impoverimento totale della popolazione, a sanguinosi conflitti interetnici (il conflitto con l’Ucraina ne è un esempio eclatante), alla distruzione di un numero enorme di imprese industriali e agricole, al colossale declino in tutte le sfere sociali della nostra società. Come risultato delle riforme liberali durante la presidenza Eltsin, la Russia ha subito una catastrofe demografica, il cosiddetto calo “naturale” della popolazione di 9,4 milioni di persone tra il 1992 e il 2001, migliaia di villaggi, paesi e città sono stati cancellati dalla mappa.

Tuttavia, nonostante tutti questi terribili risultati del periodo Eltsin, centinaia di milioni di rubli vengono stanziati ogni anno dal bilancio per la manutenzione del Centro Eltsin di Ekaterinburg, il che significa che la manutenzione e l’assistenza di questo centro sono fatte principalmente a spese dei contribuenti, cioè di voi e di me! Allo stesso tempo, a parte l’elogio perverso del periodo di Eltsin nella nostra storia, anche nei tempi difficili di oggi per la Russia il Centro Eltsin è attivamente impegnato in attività antisovietiche e naturalmente antirusse. Gli ambasciatori di Stati ostili vi tengono riunioni e personalità filo-occidentali tengono conferenze. In sostanza, un centro che promuove le idee del tradimento nazionalista opera ora in Russia a spese dello Stato, il che è categoricamente inaccettabile.

In considerazione di tutto ciò, chiedo che vengano adottate misure di risposta parlamentare per:

1. Bloccare l’apertura di una filiale del “Centro Eltsin” a Mosca.

2. Chiudere il Centro Eltsin di Ekaterinburg, incorporando nell’edificio una sede del Museo di Storia Russa o un altro luogo culturale o sociale.

3. Eliminare il nome di Boris Eltsin dai nomi dei musei statali, delle biblioteche e di altre strutture pubbliche e culturali.

Nome e Numero di telefono del contatto”.

Insieme ad altri deputati comunisti, Anastasia Udaltsova intende presentare questi appelli dei cittadini sotto forma di richieste di deputato alle autorità esecutive federali, e sono previsti vari eventi sociali e politici (azioni per strada, discussioni pubbliche, ecc.) a sostegno dell’iniziativa. È tempo di ripulire la Russia dalla sporcizia di Eltsin. Il nome di Eltsin non deve disonorare il nostro Paese!


Tradotto da LeftFront.

Slavoj Žižek, un apologeta del capitalismo travestito da “filosofo marxista”

Articolo di Nikos Mottas, caporedattore di “In Defense of Communism”.

Il minimo che dobbiamo all’Ucraina è il pieno sostegno, e per farlo abbiamo bisogno di una NATO più forte […] Oggi non si può essere di sinistra se non si sostiene inequivocabilmente l’Ucraina” (The Guardian, 21 giugno 2022).

Chi è l’autore di queste parole? È il segretario della NATO Jens Stoltenberg? O il cancelliere tedesco Olaf Scholz? Forse il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez? Nessuno di loro. La frase appartiene a una celebrità dell’intellighenzia di sinistra contemporanea. Il tanto pubblicizzato filosofo “marxista hegeliano” Slavoj Žižek.

L’opinione di Žižek sull’Ucraina sarebbe del tutto insignificante se il pensatore e teorico culturale sloveno non avesse ricevuto così tanta pubblicità dai media occidentali, affermandosi come uno dei “più importanti intellettuali viventi”. Da oltre due decenni, Žižek occupa una posizione di rilievo non solo nella stampa borghese, ma anche nei più prestigiosi istituti accademici e think tank in Europa e negli Stati Uniti.

La realtà è che Slavoj Žižek è l’incarnazione del ciarlatanismo pseudo-marxista che, attraverso analisi magniloquenti, espressioni filosofiche incoerenti e spesso contraddittorie ed espressioni pompose, cerca di “imbiancare” il sistema di sfruttamento stesso.

Non è un caso che il ciarlatano che ora chiede una “NATO più forte” per difendere l’Ucraina, sia lo stesso che nel 1999 era uno schietto sostenitore dell’intervento imperialista della NATO e del bombardamento della Jugoslavia. Nel suo articolo intitolato “La NATO, la mano sinistra di Dio”, Žižek scriveva tra l’altro:

“Oggi possiamo vedere che il paradosso del bombardamento della Jugoslavia non è quello di cui si sono lamentati i pacifisti occidentali – che la NATO ha scatenato proprio la pulizia etnica che avrebbe dovuto prevenire. No, il vero problema è l’ideologia del vittimismo: va benissimo aiutare gli albanesi indifesi contro i mostri serbi, ma in nessun caso si deve permettere loro di liberarsi da questa impotenza, di affermarsi come soggetto politico sovrano e indipendente […] Ma non è stata solo la NATO a depoliticizzare il conflitto. Lo hanno fatto anche i suoi oppositori della pseudo-sinistra. Per loro, il bombardamento della Jugoslavia ha rappresentato l’ultimo atto dello smembramento della Jugoslavia di Tito. Ha rappresentato la fine di una promessa, il crollo di un’utopia di socialismo multietnico e autentico nella confusione di una guerra etnica. Anche un filosofo politico così acuto come Alain Badiou continua a sostenere che tutte le parti sono ugualmente colpevoli. Ci sono state pulizie etniche da tutte le parti, dice, tra i serbi, gli sloveni e i bosniaci. […] Mi sembra che questo rappresenti una nostalgia di sinistra per la Jugoslavia perduta. L’ironia è che questa nostalgia considera la Serbia di Slobovan Milosevic come il successore di quello Stato da sogno, cioè esattamente la forza che ha ucciso così efficacemente la vecchia Jugoslavia” (lacan.com/zizek-nato.html, 29 giugno 1999).

Slavoj, il sostenitore dichiarato dell’orrendo crimine della NATO in Jugoslavia, non era abbastanza soddisfatto della barbarie scatenata contro il popolo serbo. Voleva ancora più bombe: «Quindi, proprio come uomo di sinistra, la mia risposta al dilemma “Bomba o no?” è: non ci sono ancora abbastanza bombe, e sono arrivate TROPPO TARDI» (Slavoj Žižek, Against the Double Blackmail, New Left Review, 04/1999).

Quattro anni dopo il crimine in Jugoslavia, nel 2003, il “filosofo” sloveno sottolineava durante un’intervista: Con orrore di molti esponenti della sinistra, persino io ho mostrato una certa comprensione per i bombardamenti della NATO sulla ex-Jugoslavia. Mi dispiace, ma questo bombardamento ha fermato un conflitto terribile“. (Left Business Observer #105, agosto 2003).

Quando Slavoj Žižek non appoggia gli interventi imperialisti della NATO, si lancia in grandiosi discorsi su questioni sociali, politiche e filosofiche. Nel 2012, intervenendo a un evento organizzato da SYRIZA, l’allora nascente partito socialdemocratico greco, l’intellettuale sloveno arrivò a difendere l’opportunismo! Ecco cosa disse: “Sapete, c’è anche un opportunismo di principio, un opportunismo di principi. Quando si dice che la situazione è persa, che non possiamo fare nulla, perché tradiremmo i nostri principi, questa sembra essere una posizione di principio, ma in realtà è la forma estrema di opportunismo“.

Nel 2012, Žižek ha sostenuto apertamente SYRIZA partecipando a eventi politici congiunti con Alexis Tsipras, mentre non ha esitato a scatenare calunnie contro il KKE dicendo che “è il partito delle persone che sono ancora vive perché hanno dimenticato di morire“. È lo stesso ciarlatano che, dopo gli attacchi terroristici di Parigi del 2015, ha suggerito che l’antidoto allo stallo del capitalismo globale è la militarizzazione della società: “I movimenti di base democraticamente motivati sono apparentemente destinati al fallimento, quindi forse è meglio rompere il circolo vizioso del capitalismo globale attraverso la ‘militarizzazione’, che significa sospendere il potere delle economie autoregolate.” (Slavoj Žižek: In the Wake of Paris Attacks the Left Must Embrace Its Radical Western Roots, inthesetimes.com, 16 novembre 2015).

Un anno dopo, nel 2016, il fiammeggiante pensatore ha appoggiato il miliardario ultra-reazionario Donald Trump per la presidenza degli Stati Uniti, definendolo un “liberale centrista”. Più di recente, è stato visto in gruppi politici al fianco di altri autoproclamati “marxisti erratici”, come l’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis.

No, Slavoj Žižek non è né un marxista né un filosofo radicale. Non è un pazzo che esprime assurdità solo perché vuole attirare l’attenzione. Al contrario, è un colto apologeta della barbarie capitalista e un consapevole anticomunista. In quanto tale, vilipende il socialismo del XX secolo, attacca spudoratamente Lenin e promuove, apertamente o velatamente, l’alleanza imperialista assassina della NATO. Anche quando finge di difendere il comunismo, Žižek lo fa solo a parole, come questione teorica astratta, separandola deliberatamente dal suo campo di applicazione sociale e politico.

Allora, cosa rappresenta Slavoj Žižek? La risposta l’ha fornita lui stesso. “In breve, ciò che i liberali sensibili vogliono è una rivoluzione decaffeinata, una rivoluzione che non puzza di rivoluzione”, ha scritto una volta. Questo è esattamente ciò che Žižek e altri “intellettuali marxisti” ampiamente pubblicizzati dai media borghesi (come A. Badiou, A. Negri, T. Eagleton, ecc.) sono: camerieri ideologici di una “rivoluzione decaffeinata” e i migliori apologeti del sistema di sfruttamento capitalistico.

Russia, il Partito Comunista vuole tornare alla pianificazione statale ma basata sull’intelligenza artificiale

La proposta del Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) di introdurre un sistema automatizzato di gestione dell’economia basato sull’intelligenza artificiale trova immediatamente l’opposizione delle autorità della Federazione Russa come il Ministero dell’Economia, il Ministero dell’Industria e del Commercio, il Servizio Statale Federale di Statistica e il Servizio Federale delle Dogane.

La risposta del Ministero dello Sviluppo economico, dal Rosstat, dal Servizio fiscale federale, dal Servizio doganale federale e dal Ministero dell’Industria e del Commercio è stata che utilizzare l’esperienza del Comitato di pianificazione statale dell’URSS (Gosplan) nella gestione economica sarebbe irragionevole nella Russia di oggi.

Alla fine di marzo, Gennady Zyuganov, il presidente del Comitato centrale del PCFR, ha inviato una lettera al Primo Ministro Mikhail Mishustin proponendo di prendere in considerazione una tecnologia per migliorare l’efficienza delle decisioni di gestione dell’economia, sviluppata dalla “Scuola scientifica di pianificazione strategica di N. I. Veduta” (Nikolai Veduta era un economista cibernetico sovietico).

Si basa sulla funzione di un bilancio intersettoriale dispiegato (noto anche come metodo input-output). Il bilancio intersettoriale è uno strumento statistico fondamentale, che aggrega dove e come vengono utilizzati i beni e i servizi nell’economia. Era uno degli strumenti del Gosplan dell’URSS e veniva utilizzato come base per le previsioni e la pianificazione economica nazionale. Ora, utilizzando un moderno bilancio intersettoriale, è possibile ripensare l’esperienza del Gosplan nelle condizioni della digitalizzazione e portare la gestione economica a un nuovo livello, suggerisce la lettera.

Secondo Gennady Zyuganov, il gestore del sistema dovrebbe essere la “New Economic Cybernetics Systems and Technologies” (Новые экономические кибернетические системы и технологии), che si propone di creare appositamente per questo scopo. Dovrà fornire l’accesso ai dati primari sull’economia nazionale, compresi i dati personali (in particolare, i database del Servizio fiscale federale, del Rosstat, del Servizio doganale federale e altri). In questo modo si creerebbe “un unico database affidabile e aggiornato di informazioni economiche”, si legge nel documento.

Il PCFR ha chiesto più volte il ritorno al sistema di pianificazione statale. “Tutti i tentativi di andare avanti senza il Gosplan sono destinati a dolorosi fallimenti, cinici sprechi, inefficienza e inattività, mascherati da un inutile clamore”, ha dichiarato il partito nel luglio 2020.

Le autorità di Uzbekistan, Bielorussia e Kazakistan, così come le riviste statistiche straniere, hanno già espresso interesse per il sistema proposto, ha dichiarato Elena Veduta (figlia dell’economista sovietico Veduta). La risposta negativa delle autorità è che non sono interessate a creare catene produttive e logistiche in una situazione di crisi e a cambiare radicalmente gli approcci esistenti, che sono in gran parte finalizzati all’arricchimento personale dei funzionari.

Nel loro feedback, le autorità hanno presentato molti argomenti per spiegare perché non sostengono l’iniziativa del PCFR. Le principali sono le seguenti:

  1. Le previsioni automatiche basate su un bilancio intersettoriale non sono applicabili a un’economia di mercato e nemmeno nell’URSS sono state pienamente attuate.
  2. I funzionari sostengono che, sebbene il PCFR nelle sue proposte si appelli all’esperienza dell’URSS, l’automazione dei processi di previsione in termini di formazione di un equilibrio intersettoriale non è mai stata attuata, nemmeno nell’ambito dei progetti realizzati dal Comitato di Pianificazione Statale dell’URSS nel 1975-1985, date tutte le risorse materiali e umane disponibili all’epoca, ha dichiarato il Primo Vice Ministro dello Sviluppo Economico Ilya Torosov nella sua risposta all’iniziativa. Le iniziative erano state prese in considerazione, ma non effettivamente attuate.
  3. Inoltre, il modello in questione non consentiva lo sviluppo dell’iniziativa delle entità economiche e non era applicabile all’odierna economia di mercato, ha dichiarato Torosov.
  4. La sua opinione è sostenuta da Sergey Egorenko, vice capo del Rosstat, il quale sostiene che il modello di bilancio dinamico interindustriale sarebbe presentato dagli sviluppatori come uno strumento con informazioni costantemente aggiornate e accumulate, ma la pratica di lunga data del Rosstat di preparare tabelle input-output (la più recente è del 2019) suggerisce che i metodi di bilanciamento matematico creerebbero errori inaccettabili in senso economico. Ciò sarebbe dovuto all’imperfezione e all’eterogeneità delle informazioni in entrata.
  5. I funzionari affermano inoltre che dare alla “New Economic Cybernetics Systems and Technologies” l’accesso a dati statistici, dipartimentali e personali contraddice la legge russa.
  6. Molti dati sui contribuenti ricevuti dall’autorità fiscale sono un segreto fiscale, e alcuni dati sono già disponibili al pubblico, ha detto il vice capo del Servizio fiscale federale, Vitaly Kolesnikov, nella sua risposta. La contabilità principale delle entità commerciali è un segreto commerciale, ha dichiarato Egorenko.
  7. Le risorse informative delle autorità doganali sono formate sulla base dei documenti e delle informazioni presentate durante le operazioni doganali e hanno un accesso limitato, ha dichiarato il vice capo del Servizio federale delle dogane Vladimir Ivin. Dare alla “New Economic Cybernetics Systems and Technologies” i diritti di accesso a tutte le informazioni comporta il rischio di una loro distribuzione non autorizzata e di un loro utilizzo a fini di concorrenza sleale, oltre che di una possibile divulgazione di dati personali, ha dichiarato.
  8. Il modo proposto per la formazione della base informativa aumenterà l’onere per le imprese a tutti i livelli e per le agenzie governative, ha dichiarato il vice capo del Rosstat. Ad esempio, la contabilità (si propone anche di renderla parte del database), non contiene indicatori già pronti che possano essere utilizzati per costruire un bilancio intersettoriale (poiché le organizzazioni utilizzano software diversi per questo scopo, spesso incompatibili). Anche il formato per la rendicontazione del bilancio regionale non è unificato. La revisione richiederà notevoli risorse umane e finanziarie, ha dichiarato Egorenko.
  9. Inoltre, un certo numero di aziende e di imprenditori privati non tengono affatto registri contabili dettagliati perché ciò non è richiesto, ad esempio, dal sistema fiscale semplificato, ha dichiarato il Rosstat nel suo feedback.
  10. Allo stesso tempo, molte delle funzionalità proposte sono già state implementate nei sistemi informativi esistenti. Così, il GAS “Governance” contiene un sistema informativo federale di pianificazione strategica e un modulo di monitoraggio degli obiettivi di sviluppo nazionale e il portale “E-Budget” aggrega informazioni sui programmi governativi e sulle loro componenti strutturali, ha dichiarato il vice capo del Ministero dello Sviluppo Economico. Alcune delle funzioni proposte sono già svolte dal Sistema Informativo Statale dell’Industria (GISI), supervisionato dal Ministero dell’Industria e del Commercio, ha dichiarato il Vice Ministro dell’Industria e del Commercio Vasili Shpak. Ha inoltre ricordato che l’agenzia sta lavorando per modificare la procedura esistente per l’erogazione delle misure di sostegno statale attraverso il passaggio al modello digitale.

Ispirato all’articolo di Rline del 19 maggio 2022

Dichiarazione del Partito Comunista Operaio Russo sulla guerra russo-ucraina

Sulla fase armata del conflitto tra Federazione Russa e Ucraina

Dichiarazione del Consiglio politico del Comitato centrale del RKRP-CPSU

Nella nostra analisi e nelle nostre conclusioni in queste specifiche condizioni storiche, ci basiamo sull’analisi già fatta nel corso dello sviluppo della situazione, tra cui la conferenza con i comunisti del Donbass, dell’Ucraina, della Russia nel novembre 2019 a Lugansk.

Ancora una volta, tornando al fatto del riconoscimento delle repubbliche del Donbass, notiamo che, sebbene sia avvenuto in ritardo, molto più tardi di quanto avrebbe dovuto, ma meglio tardi che mai. L’RCWP non solo ha sostenuto questo passo fin dall’inizio della proclamazione di queste repubbliche, ma ha anche chiesto che le autorità borghesi della Federazione Russa compissero questo passo come aiuto per affrontare le repubbliche popolari del Donbass contro l’aggressione fascista dei nazisti di Kiev.

Naturalmente, gli obiettivi dell’intervento militare della Federazione Russa da parte delle autorità e di Putin sono dichiarati solo come umanitari – salvare la popolazione dalle rappresaglie dei nazisti. In realtà, la fonte del conflitto è rappresentata dalle contraddizioni inter-imperialiste tra Stati Uniti, Unione Europea e Russia, in cui l’Ucraina è coinvolta. L’obiettivo dell’imperialismo statunitense – più potente al mondo – è quello di indebolire il concorrente russo ed espandere la sua influenza nello spazio di mercato europeo. Per questo si è adoperato di proposito per mettere in difficoltà non solo le autorità, ma anche i popoli di Russia e Ucraina. A tal fine, l’imperialismo è arrivato persino a incoraggiare la ripresa e l’uso a fini punitivi del fascismo ordinario sul modello di Bandera del 1941-45. Gli imperialisti stanno adempiendo ai loro compiti: il conflitto tra la Federazione Russa e l’Ucraina è entrato in una fase calda, e questo fa loro comodo. Non c’è da stupirsi che i capi degli Stati Uniti e dell’Inghilterra abbiano già dichiarato che non parteciperanno alla guerra con le loro forze armate. Lasciamo che parti del popolo sovietico, un tempo unito, combattano tra loro.

In generale, cioè da posizioni di classe, le autorità russe, così come i governanti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, non si preoccupano profondamente del popolo lavoratore – e del Donbass, e della Russia, e dell’Ucraina. Non abbiamo dubbi che i veri obiettivi dello Stato russo in questa guerra siano piuttosto imperialistici: rafforzare la posizione della Russia imperialista nella competizione del mercato mondiale. Ma, poiché questa lotta oggi aiuta in qualche misura il popolo del Donbass a respingere il fascismo di Bandera, i comunisti di questa parte non negano, ma permettono e sostengono quanto viene condotto contro il fascismo nel Donbass e in Ucraina. E si oppongono categoricamente alle azioni del loro governo, quando, sotto la copertura della lotta al fascismo, si risolvono le questioni dell’espansione e del rafforzamento dell’imperialismo russo e dei suoi alleati.

Finché l’intervento armato della Russia contribuirà a salvare la popolazione del Donbass dalle rappresaglie dei punitori, non ci opporremo a questo obiettivo. In particolare, consideriamo accettabile se, a causa delle circostanze, sarà necessario usare la forza contro il regime fascista di Kiev, nella misura in cui ciò sarà nell’interesse del popolo lavoratore.

Allo stesso tempo, naturalmente, non è esclusa la possibilità che la campagna militare di assistenza al Donbass da parte della Russia, guidata dall’antisovietico Putin, si sviluppi in una vera e propria guerra completamente predatoria, quando, con il pretesto di aiutare il Donbass, le autorità russe iniziano a risolvere i loro problemi e le truppe iniziano semplicemente a occupare altre regioni dell’Ucraina. La considereremo una guerra di conquista, di imperialismo, e non sosterremo né l’uno né l’altro imperialista. In ogni caso, non saranno i padroni a morire da entrambe le parti, ma i lavoratori. Morire per i fratelli della classe è degno. Morire e uccidere per gli interessi dei padroni è stupido, criminale e inaccettabile.

In ogni caso, ribadiamo con fermezza la nostra posizione comune con i comunisti del Donbass e dell’Ucraina: porre fine ai conflitti fratricidi, alle ricadute del fascismo, alla minaccia di una guerra locale che degeneri in una guerra mondiale su larga scala, è possibile solo sulla via del socialismo. La lotta comune dei lavoratori contro la borghesia di tutti i Paesi è la principale linea strategica dei nostri partiti.

Proletari di tutti i Paesi, unitevi!


Tradotto da Red Patriot. Testo originale.

Statement of the Russian Communist Workers Party (Bolshevik) on the Russo-Ukrainian war

On the armed phase of the conflict between the Russian Federation and Ukraine

Statement of the Political Council of the Central Committee of the RKRP-CPSU

In our analysis and conclusions in these specific historical conditions, we rely on the analysis already made in the course of the development of the situation, incl. at a conference with the communists of Donbass, Ukraine, Russia in November 2019 in Lugansk.

Once again, returning to the fact of recognition of the republics of Donbass, we note that although it happened late, much later than it should have, but better late than never. The RCWP not only supported this step from the very beginning of the proclamation of these republics, but also demanded that the bourgeois authorities of the Russian Federation take this step as help in confronting the people’s republics of Donbass against fascist aggression by the Kiev Nazis.

Of course, the goals of the military intervention of the Russian Federation by the authorities and Putin are only declared as humanitarian – saving people from the reprisals of the Nazis. In fact, the source of the conflict is the inter-imperialist contradictions between the US, the EU and Russia, in which Ukraine is drawn. The goal of the most powerful US imperialism in the world is to weaken the Russian competitor and expand its influence in the European market space. Why did they purposefully work to pit not only the authorities, but also the peoples of Russia and Ukraine. To this end, imperialism even went so far as to encourage the revival and use for punitive purposes of ordinary fascism of the Bandera model of 1941-45. The imperialists are fulfilling their tasks – the conflict between the Russian Federation and Ukraine has entered a hot phase, and this suits them perfectly. No wonder the heads of the United States and England have already stated that they are not going to participate in the war with their armed forces. Let parts of the once united Soviet people fight among themselves.

By and large, i.e. from class positions, the Russian authorities, as well as the rulers of the US and the EU, do not care deeply about the working people – and Donbass, and Russia, and Ukraine. We have no doubts that the true aims of the Russian state in this war are quite imperialistic – to strengthen the position of imperialist Russia in world market competition. But, since this struggle today to some extent helps the people of Donbass to repulse Bandera fascism, the communists in this part of it do not deny, but allow and support as much as it is waged against fascism in the Donbass and Ukraine. And they categorically oppose the actions of their government, when, under the cover of the fight against fascism, the issues of expansion and strengthening of Russian imperialism and its allies will be resolved.

As long as Russia’s armed intervention helps save people in the Donbass from reprisals by punishers, we will not oppose this goal. In particular, we consider it acceptable if, due to circumstances, it is necessary to use force against the fascist Kiev regime, insofar as this will be in the interests of the working people.

At the same time, of course, the possibility of the military campaign of assistance to the Donbass from Russia, led by the anti-Soviet Putin, developing into a truly completely predatory war, when, under the pretext of helping the Donbass, the Russian authorities begin to resolve their issues, and the troops simply begin to occupy other regions of Ukraine, is not ruled out. We will regard this as a war of conquest, imperialism, and we will not support either one or the other imperialist. In any case, it will not be the masters who die on both sides, but the workers. To die for brothers in the class is worthy. And to die and kill for the interests of the masters is stupid, criminal and unacceptable.

In any case, we firmly reaffirm our common position with the communists of Donbass and Ukraine: to put an end to fratricidal conflicts, to the relapses of fascism, to the threat of a local war escalating into a full-scale world war, is possible only on the path of socialism. The common struggle of the working people against the bourgeoisie of all countries is the main strategic line of our parties.

Proletarians of all countries – unite!


Translated by Red Patriot from the original.

Il comunista Danil Vershina è morto in battaglia

La sezione regionale di Pskov del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) piange profondamente il giovane comunista, morto durante il servizio militare in Ucraina.

In un giorno di marzo del 2019, un giovane è entrato modestamente nel comitato cittadino di Velikoluksky del Partito Comunista della Federazione Russa e si è rivolto al primo segretario N.A. Chuvaylov:

— “Voglio entrare a far parte del Partito Comunista della Federazione Russa. Ora mi sto laureando alla Velikoluksky State Academy of Physical Culture and Sports. Mi chiamo Danil Sergeevich Vershina, originario della vicina regione di Tver.” Si è diplomato al liceo con il massimo dei voti.

– “Hai pensato bene alla tua scelta? Dopotutto, diventare comunista in questo momento significa assumersi enormi obblighi e rinunciare a molto. Rimandiamo questa conversazione e incontriamoci più in là.”

– “Bene. Ci vediamo!” E un sorriso luminoso illuminò il suo volto.

Due settimane dopo, si fermò di nuovo davanti a Chuvailov con i documenti del partito completati. E il 22 aprile, il compleanno di V.I. Lenin, presso il monumento al leader della rivoluzione proletaria, lo studente Danil Vershina è stato solennemente presentato con una tessera del partito. L’intera natura di Danil era la protesta contro il sistema esistente e allo stesso tempo il grande amore per la sua Patria. Ha studiato le opere di K. Marx, V.I. Lenin, la storia della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre e della Grande Guerra Patriottica, ha cercato di contribuire allo sviluppo del suo paese natale, guidato dalle idee di V.I. Lenin.

– “Il giovane si è distinto per diligenza e determinazione, ha partecipato costantemente agli eventi del partito, ai subbotnik, alle manifestazioni. Comunicare con lui ha sempre lasciato sentimenti elevati,” – ha riferito un membro del Comitato cittadino di Pskov del Partito Comunista E.R. Saidov. – Dopo essersi diplomato al liceo, Danil ha legato la sua vita al servizio militare e si è arruolato nelle forze speciali aviotrasportate. Scelse la via più nobile della vita: servire il suo paese natale e lo percorse degnamente fino alla fine, adempiendo al dovere di difendere la Patria nella lotta contro il nazismo ucraino. Danil non si è nascosto dietro le spalle dei suoi compagni, è diventato un vero eroe e ha scritto il suo nome nella storia della Patria, lasciando un segno breve ma luminoso nei nostri cuori. Il 7 giugno avrebbe compiuto 24 anni.

Oleg Dementiev, corrispondente della “Pravda”. Velikie Luki, regione di Pskov.

Articolo tradotto da Gazeta Pravda

Russia: La vigilia della Grande Guerra

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L’IMPERO

L’Impero russo era retto da una monarchia assoluta e imperatore era lo zar. La tradizione democratica era assente: fino al 1905 il dispotismo zarista soffocava ogni tipo di libertà individuale e collettiva; esistevano però delle assemblee basate sui distretti e sui governatorati, dette zemstva. Create nel 1864 dallo zar Alessandro II, gli zemstva erano eletti a suffragio ristretto, i loro poteri erano limitati alle questioni locali e non potevano convocarsi autonomamente; l’influenza della nobiltà era prevalente, giacché il potere decisionale nelle assemblee era diviso proporzionalmente a seconda degli interessi economici che ciascun membro doveva difendere. Lo zar governava per decreti (gli ukazi) e i ministri erano responsabili unicamente verso di lui, nominandoli egli stesso: il contenuto dei decreti non era discusso in nessuna istituzione e ciò rendeva incontrollabili le decisioni dello zar. Il suo governo era coadiuvato dalla burocrazia, dalla polizia politica, dall’esercito e dalla Chiesa ortodossa: questi erano i pilastri su cui si reggeva il regime.

IL DOMINIO STRANIERO

Le più importanti banche russe erano dipendenti dai capitali stranieri. Complessivamente, i capitali stranieri delle grandi banche di Pietroburgo erano controllate per il 55% da azionisti francesi, il 35% da tedeschi, il 10% da inglesi. Il 60% delle azioni della banca più importante, la Banca russo-asiatica, che dominava il settore petrolifero, quello del tabacco e quello metallurgico, erano di proprietà francese mentre i tedeschi controllavano il commercio estero russo e detenevano un terzo del capitale della Banca internazionale del commercio, che controllava le industrie della meccanica, i cantieri navali, il settore aureo e del carbon fossile e le industrie elettriche. Inoltre, il governo zarista nel 1914 aveva contratto un prestito di 10miliardi di franchi oro dalle banche francesi, con un tasso d’interesse tra il 6 e il 7%.

LA FABBRICA

L’industrializzazione si sviluppò tardi e nel 1914 la produzione, in rapporto alla popolazione, era ancora bassa: lo storico francese Jean Elleinsten, ad esempio, fa notare che la produzione di acciaio è di 4milioni di tonnellate mentre gli USA ne producevano 32milioni, la Germania 16milioni, la Gran Bretagna 9milioni e la Francia poco meno di 6. Unica eccezione era rappresentata dalla produzione di petrolio, di cui occupava il secondo posto nella graduatoria mondiale grazie ai giacimenti petroliferi di Baku.
Lo sviluppo industriale non fu lineare e non avvenne per merito della borghesia nazionale; il profitto estremamente elevato e i bassi costi della manodopera attirarono gli investitori stranieri: l’85% delle miniere, il 50% del settore mettallurgico, un terzo dell’industria tessile, alcune industrie elettriche e chimiche erano in mano alla borghesia occidentale, soprattutto francese e tedesca, i quali erano proprietari rispettivamente del 35% e del 21% dei capitali stranieri investiti.
Esistevano poi dei trust e dei cartelli, che monopolizzavano gran parte della produzione: nel settore metallurgico, ad esempio, il Prodameta gestiva un terzo delle risorse umane dell’intero settore e i tre quarti delle vendite, la società era diretta da grandi banche europee, tra le quali, le più importanti erano quelle francesi e belghe: l’Union parisienne, la Société génerale, il Crédit lyonnais, la Banque de Paris et des Pays-Bas; fondato dalla banca Rothschild di Parigi, il Nobmaz era operativo nell’industria del petrolio e si occupava di quasi della metà dei trasporti, del 15% della produzione e del 75% delle vendite; la Royal Dutch Shell invece controllava il 20% del settore della raffineria.

LE CAMPAGNE

All’arretratezza dell’apparato statale russo corrispondeva un’economia basata essenzialmente su un’agricoltura che non aveva conosciuto, se non in minima parte, lo sviluppo capitalistico ed era organizzata ancora in latifondi: non esagerano alcuni storici quando affermano che «In questa Russia, al pari dei suoi fiumi maestosi, i secoli parevano scorrere più lentamente. Per la maggior parte della nazione, il Medioevo dura ancora. Lutero è ancora nel suo convento e Voltaire, l’amico di Caterina, non è nato. E’ rimasta al XV secolo, per non dire al XIII.» La riforma agraria del ministro Stolypin non intaccò il latifondo di origine nobiliare e, come spesso accade nelle epoche di transizione, il vecchio e il nuovo coesistettero: le sue iniziative nelle campagne incentivarono la concentrazione di capitale nei latifondi più importanti, innescando una trasformazione imprenditoriale degli stessi, vero obiettivo della riforma.
È così che si consolidò il nuovo strato di contadini ricchi, i kulaki. Questi, più usurai che imprenditori, si arricchirono alle spese degli altri contadini, dal momento che possedevano più terre e più mezzi per lavorarle.
Secondo le stime di Lenin, nel 1913 i kulaki rappresentavano l’11,4%, mentre i contadini, operai agricoli e artigiani erano il 70,2%. In media, nel 1914 ogni famiglia contadina disponeva di tre desjatine, quando per soddisfare i loro bisogni necessitavano di una quantità di terra sei volte superiore. Avendo meno terra da coltivare, il loro livello di vita è diminuito: il tasso di mortalità si aggirava fra il 25 e il 30% e alla fame si aggiungevano le epidemie.

LA VITA

Nelle città, nella maggior parte dei casi, le case erano costruite in legno; l’elettricità era assente, le strade non erano lastricate e pochissime possedevano una rete fognaria.
Il nutrimento era in genere modesto: farina di patate, zuppa di cavoli (šči), un po’ di pane e del tè. La carne si mangiava raramente, la domenica nelle regioni più ricche, nella maggior parte dei casi soltanto nei giorni di festa.
Il consumo dell’alcool era aumentato e lo Stato ne aveva il monopolio: il 27% delle entrate statali provenivano dall’imposta sulla vodka.
Anche la situazione sanitaria era disastrosa: nel 1910 si verificarono 185mila casi di colera in tutto l’Impero; 225mila casi di malaria nel governatorato di Samara e 167mila in quello di Saratov; 400mila casi di scabbia nel governatorato di Vjatka.
Oltre alla penuria e all’alcoolismo, un’altra piaga era rappresentata dall’analfabetismo: altissimo anche in città, tra la popolazione rurale toccava cifre del 90%.

CONDIZIONI LAVORATIVE

In Russia coesistevano quindi un mondo rurale arretrato e una importante industria.
Su 170milioni di abitanti, il numero degli operai industriali era molto basso: circa tre milioni, ai quali si devono aggiungere i contadini-operai, cioè coloro che lavoravano sia nei campi che in officina, i ferrovieri e 4milioni di artigiani rurali (i kustari), per un totale di 18milioni di lavoratori salariati.
Molto spesso, le leggi sul lavoro erano assenti o non venivano rispettate: la giornata lavorativa, soltanto sulla carta, era limitata a 10 ore; il divieto del lavoro notturno per donne e ragazzi non era rispettato; le tutele dagli incidenti sul lavoro erano quasi inesistenti. Inoltre, le condizioni di vita, di nutrimento e di igiene permettevano a pochi di raggiungere l’età da pensione, che comunque non era contemplata. I salari erano inferiori rispetto a quelli dell’Europa occidentale e la retribuzione variava a seconda della regione, del sesso e dell’età: a Pietrogrado la media era di 323 rubli all’anno, a Kiev di 191 mentre in molte regioni si continuava ad utilizzare il pagamento in natura (il Truck system). All’aumento del costo della vita, poi, non corrispondeva mai un uguale aumento del salario: se nel 1912 i primi aumentarono del 6,3%, i secondi soltanto dell’1%.

IL SINDACATO

I sindacati rimasero illegali fino al 1906 e anche quando questi furono autorizzati, il governatore della provincia e il sindaco avevano il diritto di scioglierli temporaneamente e il governo di sopprimerli: fra il 1906 e il 1910 furono sciolti 550 sindacati, arrestati 900 operai per “attività illegali” e 400 deportati in Siberia.

LA CULTURA

L’arretratezza culturale russa è esemplificativa delle discriminazioni sociali volute dallo zarismo: all’insegnamento primario avevano accesso 6milioni di studenti (33% dei ragazzi e il 14% delle ragazze) mentre quello secondario contava solamente 206mila studenti; soltanto i figli della nobiltà e della grande borghesia avevano accesso agli studi, dimostrazione secondo la quale, per il governo zarista fosse «necessario allontanare dalle scuole secondarie gli allievi ai quali le condizioni familiari non permettano di giungere al ginnasio e, più oltre, all’università.» La stessa circolare precisava che sarebbe stato anche possibile «eliminare dai ginnasi i figli di cocchieri, di lacché, di cuochi, di lavandaie, di piccoli mercanti e di altre persone della stessa specie», per non «sradicare questi ragazzi dal loro ambiente, con l’esclusione, forse, di qualcuno dotato di capacità eccezionali, e di portarli, come una lunga esperienza ha dimostrato, a disdegnare i loro parenti, ad essere scontenti della loro condizione e a rivoltarsi contro le ineguaglianze sociali che esistono e sono inevitabili per la natura delle cose.»
Le università, che nel 1914 avevano soltanto 36mila studenti, e i ginnasi, erano strettamente controllate dalle autorità (la loro autonomia fu soppressa nel 1884) ed era quasi assente lo studio delle scienze fisiche e naturali; si calcola che le persone che superavano l’insegnamento primario erano pari a 1.500.000, ossia meno dell’1% della popolazione.

CONCLUSIONI

Questo quadro, per certi versi ancora medievale, faceva della Russia una sorta di semicolonia ed è evidente come i capitalisti russi fossero subordinati a quelli stranieri. Ciò spiega anche l’arretratezza delle strutture politiche dell’Impero: la borghesia russa infatti non aveva la forza per modernizzare il sistema di governo e renderlo più adatto allo sviluppo del capitalismo, poiché non possedeva esperienza di governo e anzi dovrà presto fronteggiare il movimento operaio, incrementato di numero in seguito alla proletarizzazione degli strati medi conseguente allo sviluppo dell’industria e nel quale avranno sempre più diffusione le teorie rivoluzionarie che porteranno la borghesia russa ad allearsi con la nobilità. Alla vigilia della Grande Guerra, quindi, la rivoluzione tornò a minacciare il plurisecolare Impero dei Romanov: nel 1912 scioperarono 1milione di lavoratori e l’anno successivo 1milione e 272mila; particolarmente tragica fu la sorte toccata agli operai delle miniere d’oro della Lena, in Siberia, dove la gendarmeria aprì il fuoco nell’aprile del ’12, causando centinaia di morti. Comunque, la rivoluzione del 1905 aveva già dimostrato che lo zarismo era impossibilitato a mantenere il suo assolutismo che durava dal medioevo, e la Grande Guerra accelerò la crisi di potere e della società russa del primo novecento: la borghesia sottomessa, gli operai sfruttati, i contadini senza terra e le decine di nazionalità oppresse, cominciarono a muovere contro lo zarismo causandone, infine, il suo brutale collasso.

Comitato per il Donbass Antinazista

Ukrainian “fact checkers” censor information in the West

We translated this article from Italian because we believe that, even after the case of StopFake.org, too many Ukrainian fact-checking organizations are working for Facebook, to censor negative information about Ukraine in the West.


On April 2, 2022, I posted on Facebook a video showing the woman, corresponding to the Ukrainian blogger “Marianna V.“, who appeared in all the media (pregnant) and described as a “survivor of the Russian bombing of the Mariupol hospital“.

The woman who speaks in Russian in the video (alternative link) says that in reality the story of the aerial bombing was a staged one.

In short, he explains how the hospital was actually occupied by Ukrainian troops and that it was not the subject of any deliberate aerial bombardment. Outside the building, says the woman, a grenade had exploded; this was used as an excuse to organize a show with photographers and cameramen, including an Associated Press employee. The woman clarifies that all this happened against her will, having expressly requested not to be taken back.

The day after publication, probably on the recommendation of some FB user, the preview of the video I posted was obscured with the words “False information – The same false information was checked in another post by fact-checkers. There may be small differences. Independent fact-checkers say that this information has no basis in fact“.

Let’s take a step back: that the woman in question was the blogger is indisputable and no one has ever been able to deny it. Indeed the Western media, on the sole basis of what was stated by the Ukrainian press agencies, claimed after the spread of the video that the woman (to be honest by many newspapers even died after giving birth), had been kidnapped by the Russians and the corollary it was that her statements were therefore not spontaneous.

Having made this necessary premise, no one, I repeat, can question the veracity of the video itself.

Now let’s go back to the dimmed preview. By clicking on the option “See why” I am aware of the fact that the aforementioned independent fact-checkers are actually a Ukrainian site called “Ukrainian.leadstories” which among other things as a motivation for the attribution of the wording “false information” reports a case that is not related to the post.

In a nutshell, this site mentions another Ukrainian girl and the story of the Mariupol theater: I add that the article is also embarrassing because it does not even have third-party sources, but it mentions the government authorities of Mariupol and a pro-govt telegram channel which in any case does not provide multimedia material and no evidence of the facts.

The site in question more specifically refers to a girl (in the image below) who is not the blogger but a completely different person, stating that she did not witness the detonation or the launch of a bomb on a theater in Mariupol on March 16. So reporting a story related to a character who has nothing to do with the blogger Marianna of “my” post, but by assimilation arguing that the video information posted by me, as by many on internet, is false.

And here is how a Tribunal without judges, lawyers or the possibility of appeal, even Ukrainian fact-chekers, who seem to have very little impartiality, in the role of “accusers/censors” issue final judgment by making Facebook declare a real video as false information, implicitly delegitimizing my person as well.


Translated article from L’Antidiplomatico. 5 April 2022.

Alexey Navalny e i nazisti russi

Ripercorriamo insieme le tappe del percorso politico di Alexey Navalny, per i liberali diventato oggi un simbolo della lotta per i diritti e per la democrazia in Russia e nel mondo. Cominceremo da quando era uno degli organizzatori delle marce neonaziste, passeremo per le campagne politiche contro gli immigrati, ai messaggi xenofobi e al supporto delle violenze del movimento anti-immigrazione russo, fra i più feroci al mondo, responsabile di centinaia di omicidi a sfondo razziale.


FONTI

Navalny chiede di far svolgere la Russian March del 2006 https://www.svoboda.org/a/269476.html

Richiesta di espulsione dei georgiani dalla Russia
https://www.theatlantic.com/international/archive/2013/07/is-aleksei-navalny-a-liberal-or-a-nationalist/278186/

Marcia Russa 2010

Marcia Russa 2011

Al Jazeera – Marcia Russa 2011

Euronews – Marcia Russa 2011

Campagna xeonofoba “Stop feeding the Caucasus”

Intervento dal palco di Navalny insieme ai neonazisti

Video razzista caricato sul canale di Narod

Al Jazeera – Raid punitivi contro gli immigrati del 2013

Supporto di Navalny ai raid punitivi

Russia Responds to Anti-Migrant Riots by Arresting Migrants

I commilitoni ubriachi di Vitaly Markiv si vantano di bombardare i civili

L’antenna TV nel video svela che questi sono i commilitoni di Vitaly Markiv, stazionati sul Karachun.

Un video rivela pesanti nuovi elementi contro i suoi commilitoni. Il nazionalista, nel processo che lo ha riguardato e che lo ha visto condannato a 24 anni in primo grado per concorso in omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli (assassinato sotto i bombardamenti delle forze ucraine) e poi assolto in secondo grado, ha sempre dichiarato che le truppe ucraine arroccate sulla collina Karachun non attaccavano mai i civili e che mai attaccavano per primi, sostenendo che da “regole d’ingaggio” potevano solamente rispondere al fuoco dei ribelli. Markiv e i suoi commilitoni non sono famosi per la loro sincerità e questo video ne è la conferma, in quanto contraddice le loro dichiarazioni.

https://www.youtube.com/watch?v=J_M16w7mvRs

È il 2015, alcuni miliziani della Repubblica Popolare di Donetsk recuperano un video, girato un anno prima, dai dispositivi trovati sul corpo di un soldato ucraino. Il video fece all’epoca molto clamore, nei cinque minuti di ripresa di un momento di riposo delle truppe ucraine, i soldati ubriachi confessano diversi crimini di guerra tra brindisi e risate: “Bombardiamo qualche negozio!” e ancora “Bombardiamo senza coordinate!”, “Slovjansk era una bella città, peccato che sarà rasa al suolo”. Le riprese sono fatte con un cellulare da una posizione intorno alla città di Slavjansk, che nel 2014 è sotto il controllo dei ribelli e non è stata ancora sfollata. I civili sostenevano ampiamente i ribelli, le truppe ucraine infatti temevano che qualsiasi persona fosse un separatista, come dichiarerà lo stesso Markiv, e venivano quindi attaccati dalle truppe filo-governative.

Il nuovo elemento che aggrava la posizione del nazionalista e dei suoi commilitoni è che i soldati che si lasciano andare alle confessioni nel video sono proprio stanziati nella base di Vitaly Markiv. Infatti c’è un dettaglio nel video che è sfuggito ai più: i soldati, come lo stesso Markiv, difendono proprio quella torre televisiva che era situata sul Karachun, la torre che i ribelli volevano colpire per ammutolire la propaganda filo-governativa che veniva diffusa per tutta la regione.

Nel frattempo però il nostro “eroe dell’Ucraina”, a seguito dell’assoluzione in secondo grado nel processo, sembra essere scappato in patria, difeso dal ministro degli interni di estrema destra Arsen Avakov. In attesa del verdetto della cassazione e in vista dei nuovi elementi contro i soldati filo-governativi non è da escludere che il nostro “eroe” non faccia più rientro in Italia, per la gioia di tutti quei personaggi e quelle organizzazioni politiche italiane che si sono spesi per la sua liberazione.

Nazionalisti ucraini al congresso dei Radicali Italiani (1-3 novembre 2019)