“The Wrong Place” è un film sbagliato

The Wrong Place è un documentario che indaga sull’uccisione di Andrea Rocchelli e di Andrej Mironov, due giornalisti per la cui morte è stato arrestato un militare ucraino con cittadinanza italiana, Vitaly Markiv, già volontario della famigerata Guardia Nazionale. L’uccisione dei due reporter è avvenuta nel 2014 nel corso della guerra del Donbass. Il documentario è stato realizzato da Cristiano Tinazzi con il supporto di Danilo Elia, Ruben Lagattola e Olga Tokariuk.

Locandina di The Wrong Place

Parlare di questo documentario è assai difficile, per una serie di ragioni, la prima tra tutte è che non si capisce quale sia il documentario. Finora sono circolati diversi estratti utilizzati a fini propagandistici – cioè per raccogliere fondi, il progetto conta su un crowdfunding – e per animare il dibattito politico.

Perplessità ci sono sull’uso politico di questo “documentario”, sembrerebbe che serva non tanto a informare quanto a condizionare le scelte della corte chiamata a giudicare Markiv. Se ciò venisse fatto con un serio lavoro d’inchiesta sarebbe una cosa utile e buona, ma da quel che si è visto del documentario, sembra che si punti a creare confusione per dire che non ci siano gli elementi per esprimere un giudizio. 

Tanto gli autori, quanto il partito dei Radicali Italiani e i nazionalisti ucraini in Italia, che stanno sponsorizzando il documentario, dicono di battersi per ricercare la verità, eppure nei tre anni trascorsi tra il duplice omicidio e l’arresto di Markiv non si erano impegnati in ciò. La campagna sul caso sembrerebbe essere stata attivata solo per liberare Markiv e garantire la non persecuzione dei soldati ucraini che, secondo la sentenza di primo grado, quel giorno uccisero Rocchelli e Mironov. Quello che non si tollera a Kiev non è tanto che un loro soldato sia imprigionato, quanto il fatto che si sia riconosciuto ufficialmente che le formazioni militari ucraine – sia l’esercito che le altre milizie come la Guardia Nazionale – abbiano commesso dei crimini. Ciò per l’Ucraina è una minaccia serissima, in quanto apre le porte a ulteriori indagini sui crimini che ha compiuto in questi sei anni di guerra.

Passaporto di Andrea Rocchelli

Il posto sbagliato?

La tesi del documentario è che i giornalisti uccisi si siano trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Questa affermazione è tanto inopportuna quanto grave, quei giornalisti erano nel posto giusto nel momento giusto, stavano facendo coraggiosamente il proprio lavoro di testimonianza. Stavano documentando i crimini commessi dall’esercito ucraino e per chiudergli la bocca sono stati uccisi.

Ora, che qualcuno provi a dire il contrario potrebbe essere semplicemente archiviato tra le miserie del giornalismo nostrano, però il documentario si inserisce in una mastodontica campagna internazionale promossa dal Governo ucraino e che in Italia trova sponda nel partito dei Radicali Italiani.

Nazionalisti ucraini al congresso dei Radicali Italiani (1-3 novembre 2019)

I Radicali Italiani e gli ultra-nazionalisti

L’imputato Markiv è un ultra-nazionalista, uno che frequenta pub neonazisti in Ucraina e sul cui telefono, una volta arrestato, sono state trovate foto dei suoi commilitoni con svastiche e braccia tese. Era arruolato nella famigerata Guardia Nazionale ucraina, un corpo composto anche da neonazisti.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Ad alcuni può sembrare assurdo questo accostamento, eppure non è la prima volta che i Radicali Italiani collaborano con ultra-nazionalisti, è già successo negli anni ’90 durante la guerra in Jugoslavia.

Marco Pannella in divisa militare dei fascisti ustascia croati durante la guerra in Jugoslavia

Cristiano Tinazzi e l’indipendenza del documentario

A meno di omonimie, il regista del documentario Cristiano Tinazzi sembrerebbe essere stato giornalista della rivista di estrema destra Rinascita, nonché candidato alle elezioni amministrative del 1999 con il Fronte Nazionale, partito fondato da Adriano Tilgher, l’ex dirigente di Avanguardia Nazionale, movimento neofascista protagonista di alcune delle pagine più oscure della storia repubblicana. Questi elementi di sicuro non bastano a ipotizzare una sorta di “Soccorso nero internazionale”, ma aiutano a inquadrare i termini della vicenda.

Il documentario viene spacciato per “indipendente” ma ha goduto del supporto, quantomeno tecnico, della Guardia Nazionale ucraina, il corpo paramilitare a cui apparteneva Markiv. Non può essere considerata indipendente una indagine svolta con il supporto di una delle parti in causa.

Sarebbe molto interessante avere qualche informazione anche su chi abbia contribuito economicamente al documentario, questo si poggiava su un crowdfunding che ha apportato ingenti risorse.

Il documentario sintetizza molto sommariamente dei concetti e delle ricerche svolte dagli autori, quindi non si capisce bene quale sia il metodo di lavoro e quanto siano affidabili le prove. A questo livello di sintesi è difficile sollevare delle obiezioni tecniche, in quanto, alcuni necessari passaggi potrebbero essere stati omessi nel video e sarebbe opportuno che gli autori fornissero una relazione tecnica scritta su cui poter fare le obiezioni.

Prove balistiche con la Guardia nazionale in The Wrong Place

Le prove tecniche

Dal punto di vista tecnico il video può essere sintetizzato in due tesi messe in piedi per scagionare Markiv: dalle postazioni ucraine non si vedeva il bersaglio e le armi di Markiv non erano in grado di colpire alla distanza a cui si trovavano le vittime. Entrambe le tesi sono assolutamente inconsistenti.

Per sostenere la tesi che dalle postazioni ucraine era impossibile vedere il bersaglio gli autori hanno fatto una dettagliata ricostruzione cartografica, omettendo però di inserirvi la torre di un ripetitore radio alta diverse decine di metri che svettava al centro del caposaldo degli ucraini e dalla cui sommità verosimilmente riuscivano a vedere benissimo il luogo del delitto.

Per sostenere la tesi che l’arma di Markiv non fosse in grado di colpire a quella distanza sono state fatte delle ridicole prove balistiche (gli aspetti più grotteschi sono descritti in calce). Premesso che a differenza da quanto sostenuto nel documentario le armi dei fanti ucraini a quella distanza possono uccidere, va ricordato che le vittime furono assassinate con colpi di artiglieria sparati intenzionalmente contro di loro e non a colpi di fucile. Infatti, l’accusa non è di aver sparato ai giornalisti, cosa che comunque non è possibile escludere, ma di aver partecipato attivamente ad un’azione criminale finalizzata all’uccisione di civili.

Il documentario non sembrerebbe cercare la verità, ma solo generare confusione per arrivare ad un’assoluzione per mancanza di prove. Non si può negare che il processo abbia assunto degli aspetti politici, oltretutto è giusto così: ha rotto il silenzio sui crimini delle autorità ucraine. Tuttavia, sono state proprio le istituzioni ucraine – e compagnia – a caricare ulteriormente di valenza politica il caso, a montare una enorme campagna che passa anche per gesti molto inopportuni, come la presenza in aula il ministro degli Interni dell’Ucraina, Arsen Avakov, noto per i suoi contatti con gli ambienti neonazisti ucraini. A questo punto si è costruito un caso politico-mediatico e non si può pretendere di poter tornare indietro.

Nota tecnica sul documentario

Come prima cosa bisogna ricordare che le vittime sono state uccise con colpi di mortaio sparati da una postazione ucraina e che gli vennero sparati anche numerosi colpi di fucile e mitragliatrice. A Markiv viene contestato di aver partecipato attivamente all’azione finalizzata all’uccisione di civili e non necessariamente di aver premuto il grilletto dell’arma che li ha colpiti.

Il documentario sostiene che la postazione di Markiv fosse troppo lontana per riuscire a centrare un bersaglio con un AK-74. Ciò è parzialmente vero, a quella distanza quell’arma può tranquillamente uccidere, però è molto difficile centrare il bersaglio: anche con una buona ottica si tratta di una distanza estremamente elevata per riuscire a colpire una persona. Ma dato che i soldati ucraini si trovavano dentro delle trincee e che non avevano problemi di munizioni, è plausibile che si siano messi a sparare in una direzione un gran quantitativo di colpi, sperando che qualcuno colpisse il bersaglio. Il video non fa un buon servigio a Markiv quando dice che le vittime non erano visibili in quanto coperte dalla vegetazione: è assolutamente vietato sparare a bersagli che non si vedono, il tiro indiscriminato è un reato.

Vista della ferrovia con un’ottica dalla collina in The Wrong Place

Viene fatta una minuziosa ricostruzione del terreno per dimostrare che dalla posizione degli ucraini (non solo da quella di Markiv) fosse impossibile vedere le vittime che si trovavano in un fosso. Inoltre, la visuale era parzialmente ostruita da un treno usato a mo’ di barricata. Non si dispone di elementi per mettere in discussione la bontà della ricostruzione cartografica, ma si può tranquillamente dire che l’uso che se ne fa si basa su una premessa assurda. Come si evince dalle immagini, le posizioni ucraine si trovavano su di una collina sulla quale spicca un’altissima torre radio (verosimilmente un ripetitore televisivo). Dalla cima della torre si possono certamente osservare tutte le posizioni ribelli fino alle retrovie. Pare inverosimile che gli ucraini non avessero sfruttato quel prezioso punto di osservazione posizionandoci almeno un soldato e/o una telecamera. Quindi, quando si parla di visuale, andrebbe presa in considerazione l’esistenza della torre. Ovviamente gli ucraini non ammetteranno mai di averla usata (anche se è inverosimile che non lo abbiano fatto) in quanto non stanno cooperando con le indagini.

Collina Karachun e traliccio in The Wrong Place

La ricostruzione cartografica mette in luce che ci fosse una differenza di quota tra le posizioni ucraine e le vittime. Sebbene si tratti di una ricostruzione molto puntigliosa, si omette di dire quale sia questa differenza di quota (da contro-inchieste giornalistiche sembrerebbe una novantina di metri). Non si tratta di un dettaglio trascurabile, perché ciò influisce sulle gittate e quindi potrebbe allargare lo spettro delle possibili armi utilizzabili. Un esempio può aiutare a capire: si ha un sasso pesante, lo si riesce a tirare fino a 10 metri di distanza. Ora, mettiamo di tirare lo stesso sasso da sopra un palazzo, questo riuscirà ad arrivare ben oltre i 10 metri di distanza sul terreno. Questa banale osservazione vale per qualsiasi oggetto che viene lanciato, anche per i proiettili: una piccola differenza di quota aumenta la gittata delle armi.

Bisogna però capire dove si trovasse Markiv il giorno del fatto. Da quanto si evince nel documentario, quella sulla collina dovrebbe essere una sorta di base da cui dipendono diverse posizioni, come fortificazioni o trincee. Nel documentario si dice che Markiv si trovava in una delle postazioni più lontana dalle vittime, a 1860 metri, e per dimostrarlo si fa vedere un video girato con il telefonino di Markiv. Il video in questione però è di giugno, cioè diversi giorni dopo il fatto e di norma i soldati di una base non stanno mai nella stessa posizione, c’è una rotazione costante: per questa ragione durante le indagini sono stati anche richiesti i verbali sulle rotazioni, mai fornite da parte ucraina. Il 24 maggio, Markiv si sarebbe potuto anche trovare in una postazione più vicina. In conclusione il video girato con il telefonino non dimostra nulla ad eccezione del fatto che Markiv si trovasse effettivamente su quella collina.

Foto di Markiv sulla collina nel giorno dell’uccisione di Rocchelli

Si deve anche confutare la tesi – sostenuta nel documentario – che le armi individuali presenti nella posizione di Markiv non fossero in grado di colpire le vittime. Per sostenere questa assurda tesi (confutata anche dalle specifiche tecniche fornite dai produttori delle armi) gli autori svolgono delle prove balistiche, effettuate in un poligono della Guardia Nazionale dell’Ucraina, che verosimilmente mette anche a disposizione le armi. Si tratta cioè del corpo a cui appartiene Markiv, che quindi non ha alcun interesse a dimostrarne la colpevolezza. Nelle prove si sostiene che un tiratore non sia in grado di colpire un bersaglio da quella distanza. Ma se armi e munizioni sono fornite dalla Guardia Nazionale, la prova perde di credibilità: basterebbe che questi abbiano fornito armi o munizioni inadeguate per centrare i bersagli e/o con sufficiente forza. Basterebbe cioè aver dato armi con la canna consumata, queste perdono di precisione e di “forza”: il proiettile va lontano e va preciso per una serie di forze che agiscono su di lui, le principali, tolta la forza di gravità e l’attrito, sono la spinta data dalla carica e la rotazione data dalla rigatura della canna. La rigatura della canna è fondamentale, questa fa ruotare il proiettile lungo il proprio asse, lo fa essere stabile e andar lontano. Se la canna è consumata, o sabotata, il proiettile non va lontano e non andrà mai preciso. Discorso analogo vale per le munizioni. Se viene fornita una munizione sabotata, il colpo non andrà lontano e/o preciso.  

Detto ciò, al poligono si fa la prova di colpire la sagoma di un’automobile posta a 1,5 km e lo si fa con 3 armi: AK-74 (fucile d’assalto), PKM (mitragliatrice) e Dragunov (fucile di precisione). Verosimilmente quelle sono le armi di cui disponeva la squadra di Markiv, ma potrebbero aver anche avuto armi di posizione come AGS o razzi, e pare difficile che non ci fosse neanche un Utyos, con il quale si può distruggere un’automobile da quella distanza.

Anche se le armi e munizioni fossero buone, la prova è assolutamente inficiata dalla scelta della posizione di tiro: il tetto di un camion fuoristrada. Va detto che in zone pianeggianti (come quella in cui si trova il poligono usato per la prova) è buona norma sparare da posizioni sopraelevate, in questo modo i proiettili hanno necessariamente una traiettoria orientata verso il basso e andranno ad impattare il terreno senza vagare incontrollati per la pianura; ma per fare ciò, soprattutto in casi di tiri a distanza elevata, si usano delle altane, cioè delle delle stabili piattaforme e non il tetto di un veicolo. Quello che si vede nel video è un camion fuoristrada, con un profilo e con delle sospensioni molto alte, cioè un qualcosa che oscilla a ogni minima sollecitazione. Per capire di cosa si parli, basti fare una prova: guardare come si muove un bus ogni volta che sale un passeggero. Si tratta di un piccolo movimento, a volte quasi impercettibile, ma un movimento che c’è e che è amplificato sul tetto del veicolo (per via del braccio della leva). Si tratta di movimenti nell’ordine dei centimetri, che di sicuro non danno problemi quando si spara a breve distanza, ma che impediscono di colpire un bersaglio a lunga distanza. Sparando a 1,5 km lo spostamento di un solo centimetro della base di appoggio si traduce in un errore di circa 24 metri. Le oscillazioni del camion ci possono essere anche solo per il vento o a causa degli spostamenti degli altri passeggeri: nel video si vede chiaramente che sul tetto del camion non c’è solo l’operatore che spara, ma anche altre persone e non è dato sapere se ce ne fossero ulteriori all’interno del camion.

Anche nell’ipotesi che il tiratore cercasse davvero di fare centro, che avesse le competenze per farlo, che gli strumenti (armi e munizioni) fossero perfettamente funzionanti, da quella postazione di tiro traballante è assolutamente improbabile centrare un bersaglio a quella distanza. Quindi, chi cerca di dimostrare qualcosa facendo una prova del genere potrebbe essere incompetente o in malafede. 

Va anche detto che lascia molto perplessi il fatto che durante le prove di tiro gli operatori usassero dei guanti, per poter sparare a quelle distanze serve avere tutta la sensibilità possibile quantomeno sul dito indice. Infatti spesso i guanti militari hanno l’indice che si può scoprire.

Andando nel dettaglio delle varie armi usate nel test, ci sono riserve su ognuna di esse. Nella prova con l’AK-74 riescono a colpire la sagoma posta a 1,5 km: un buon risultato, non banale (con quell’arma si tratta di un colpo molto difficile, verosimilmente imputabile al caso). Però dicono che il proiettile non abbia la forza per passare un pezzo di compensato di quelli usati per trasportare la frutta. Se il proiettile non ha oltrepassato il bersaglio è sicuramente perché c’era qualcosa che non andava nell’arma e/o nella munizione. Se qualcuno non fosse persuaso di ciò si potrebbe invitare ad una controprova: farlo posizionare dietro un compensato posto a 1,5 km di distanza rispetto ad uno che tira con una buona arma e buone munizioni.

Prove balistiche col supporto della Guardia Nazionale in The Wrong Place

Nella prova con la mitragliatrice PKM si vedono dei dettagli che sollevano molte perplessità. In primo luogo il rinculo di quell’arma avrà sicuramente fatto muovere il tetto del camion rendendo quasi impossibile colpire il bersaglio. Secondo, sebbene si veda una scena in cui l’arma spara in automatico – cioè come deve sparare – ce n’è un’altra in cui viene caricata una cinta che ha una cartuccia sì e una no. Ciò è sicuramente fatto per poter sparare con l’arma in una sorta di “funzione manuale”, cioè per sparare solo un colpo per volta. Quindi non si capisce se con la mitragliatrice abbiano sparato colpi singoli o raffica, ma in ogni caso non si può verosimilmente colpire il bersaglio in quelle condizioni: se hanno sparato a raffica il camion traballava, se hanno sparato colpi singoli devono aver utilizzato il mirino, che a quelle distanze è molto difficile da adoperare su quell’arma. Nella mitragliatrice il mirino è comodo per bersagli fissi e/o a breve distanza, in tutti gli altri casi è più facile usare i colpi traccianti. Di norma la PKM è armata con cinghie in cui sono messe serie da 5 colpi: 4 normali e un tracciante. Il tracciante è un proiettile che lascia dietro di sé una scia di fuoco e fumo, serve a vedere dove vanno i colpi e quindi a indirizzare i successivi. Questa cosa funziona bene solo sparando a raffica, la scia dei colpi indica in che direzione orientare il fuoco. La scia di un 7,62×54 – la cartuccia usata dalla PKM – non dovrebbe arrivare a 1,5 km, ma di sicuro con i traccianti si può capire dove sono diretti i colpi e correggere il tiro fino a centrare il bersaglio. Per riuscire a colpire il bersaglio avrebbero dovuto posizionare la mitragliatrice su un supporto stabile e utilizzarla in automatico con l’uso di colpi traccianti. Se l’operatore che utilizza la mitragliatrice è un soldato ben addestrato, da una buona postazione di tiro, con buone condizioni meteo e di visibilità, con una buona arma e munizioni, senza condizioni di particolare stress a 1,5 km con una PKM se non colpisce un’automobile ferma, allora ha un problema.

Prova balistica con Dragunov in The Wrong Place

Infine, è stata effettuata una prova con un Dragunov e anche in questo caso non è stato colpito il bersaglio. Se con un Dragunov un tiratore scelto non colpisce un’automobile ferma a 1,5 km il problema che ha è molto serio. Tuttavia anche in questo caso c’è da tenere in conto il rischio di sabotaggio, cioè non è detto che l’operatore mancasse intenzionalmente il bersaglio o che non avesse le competenze per colpirlo (anche se si tratta di qualcuno che ha accettato di tirare a quella distanza da una piattaforma traballante), bisogna cioè ricordarsi che l’arma è stata fornita dalla Guardia Nazionale. Oltre a esserci l’evenienza di avere la canna o le munizioni fallate, potrebbe anche essere che gli organi di mira – quindi, in questo specifico caso, una mira telescopica – non fossero correttamente tarati. Per starare una mira telescopica basta girare una vitarella, discorso analogo vale per gli altri mirini. Se chi ha sparato con il Dragunov a 1,5 km – cioè un colpo difficile, a lunga distanza – non ha provato l’arma anche con molti colpi a distanza crescente, non può sapere se l’ottica sia stata correttamente tarata. 

In definitiva, le prove al poligono sono sicuramente viziate dalla posizione di tiro e potrebbero essere viziate dalla bontà delle armi e/o munizioni, in quanto danno delle risultanze inverosimili.

Articolo di Alberto Fazolo per Contropiano del 18/10/2020.

StopFake ha contatti coi nazisti e fa il fact-checking per conto di Facebook

Katerina Sergatskova è una giornalista ucraina che quest’estate è stata costretta a fuggire dal proprio paese, minacciata di morte, perché aveva condotto un’inchiesta sui contatti tra l’estrema destra e l’organizzazione StopFake.org, la quale è partner di Facebook per il fact-checking. Nelle stanze segrete dei bottoni del social network, dove si decide quale pagina oscurare o a quale sito limitare la diffusione dei contenuti, potrebbero esserci le persone meno adatte per quel ruolo. Non riguarda solo l’Ucraina, StopFake ha anche una filiale italiana. Pensiamo quindi che ai nostri lettori possa interessare questa notizia passata in sordina nel nostro Paese. Riportiamo l’articolo della Sergatskova, che l’ha costretta alla fuga, pubblicato su Zaborona, tradotto in italiano con l’aiuto di Dmitri Kovalevich. In fondo faremo un breve report sulla situazione in Italia e sulla reazione della stessa StopFake a questa vicenda.

Facebook blocca le critiche ai neonazisti – si è scoperto che i “verificatori” ucraini del social network sono loro amici intimi.

Traduzione dell’articolo di Katerina Sergatskova e Samuil Proskuryakov per Zaborona del 3/7/2020.

Inizio 2020, Facebook decide di collaborare con due organizzazioni ucraine per contrastare fake news e disinformazione – oltre a VoxCheck, il social network opta per StopFake – un progetto su internet che denuncia la propaganda russa dal 2014. Questa decisione appare quantomeno ambigua, poiché i membri di StopFake hanno rapporti di amicizia con noti personaggi dell’estrema destra ucraina, compresi alcuni condannati per omicidio. Un giornalista di Zaborona, Samuil Proskuryakov, spiega perché l’impiego di StopFake per il fact-checking potrebbe ipoteticamente essere un problema.

Questa storia inizia il 2 giugno, quando Zaborona pubblica un articolo su Denis Nikitin, un ultras russo di una squadra di calcio, fondatore di un famoso marchio di estrema destra, White Rex, e uno dei principali neonazisti in Europa, che ha vissuto in Ucraina negli ultimi anni.

In serata è stato fatto un post sulla nostra pagina Facebook ufficiale con il link all’articolo, il quale è stato apprezzato dai lettori di Zaborona – è stato attivamente discusso e ripubblicato. Tuttavia, a 18 ore dalla pubblicazione, il post è scomparso dalla pagina, il nostro moderatore è stato bannato e la monetizzazione della nostra pagina pubblica è stata limitata. Non sapevamo cosa stesse succedendo, ma volevamo scoprirlo e ripristinare il post. Quindi alcuni dei nostri lettori hanno cominciato a sospettare che dietro questa manovra ci fosse il nuovo partner di fack-checking di Facebook in Ucraina: il progetto online StopFake. E sebbene il social network in seguito abbia spiegato che il post è stato cancellato per errore e lo ha ripristinato il giorno successivo, abbiamo scoperto molte cose interessanti.

Foto dei post della pagina Facebook di Zaborona

Cos’è StopFake?

Questo progetto è stato creato nel 2014 da studenti e insegnanti della Kyiv-Mohyla School of Journalism. StopFake si prefige il compito di scoprire fake news e gode della fiducia di molti dei principali media occidentali. Nel 2016, il progetto è stato incluso nell’elenco del Financial Times “New Europe 100”, un elenco di persone e organizzazioni che si impegnano per cambiare la società in meglio. Gli sponsor di StopFake [NdT: solo nel 2019 hanno ricevuto in totale circa 474.045 euro] includono il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Ceca, l’Ambasciata britannica in Ucraina, il National Endowment for Democracy finanziato dagli Stati Uniti e la International Renaissance Foundation [NdT: fondata dal “filantropo” George Soros].

Il 27 marzo 2020, StopFake è diventato membro del programma di fack-checking di Facebook, in questo modo aiuterebbe il social network nella lotta contro fake news e disinformazione. Funziona più o meno in questo modo: se un loro attivista contrassegna un’informazione come una fake news, ne riduce la diffusione del post e riduce al minimo il numero di visualizzazioni. Dopo aver taggato un post, Facebook avverte le persone che lo vedono, o che vogliono condividerlo, che le informazioni non sono accurate. Inoltre, le pagine e i siti che producono regolarmente fake news perdono la capacità di monetizzare i contenuti e inserire annunci.

Marko Suprun di StopFake e la lista finanziatori del progetto

StopFake e l’estrema destra

Il comunicato stampa di Facebook, in cui veniva ufficializzata la collaborazione con le organizzazioni partner ucraine, veniva rilanciato su Twitter dal giornalista Christopher Miller della statunitense BuzzFeed, sottolineando che la lotta alla disinformazione è buona, ma solo in teoria. Secondo lui, la partecipazione di StopFake al processo di fact-checking dovrebbe essere motivo di preoccupazione. “Yevhen Fedchenko di StopFake [NdT: uno dei fondatori e redattore capo del progetto, direttore della Kyiv-Mohyla School of Journalism] si oppone alla libertà di stampa e alla libertà di informazione di coloro che criticano il governo [NdT: ucraino] o che non usano la lingua che piace a lui”, ha detto Miller.

Yevhen Fedchenko ha sostenuto pubblicamente alcune figure di estrema destra. Ad esempio, nel 2018, ha criticato “Hromadske TV” per il post sulla detenzione da parte dei membri [nazisti] del gruppo S14 di un miliziano brasiliano, Rafael Lusvargi, che ha combattuto a fianco dei separatisti nel Donbass. Hromadske ha definito il gruppo “neonazista”, motivo per cui il S14 ha intentato una causa “in difesa dell’onore, della dignità e della reputazione”. Nell’agosto 2019, il tribunale ha accolto la causa del gruppo di estrema destra.

Fedchenko ha dichiarato su Twitter che uno dei “neo-nazisti”, Oleksandr Voitko, che ha arrestato Lusvargi, era un veterano della guerra nel Donbass, un giornalista di Canale 5, laureato e insegnante presso la Kyiv-Mohyla School of Journalism. Il corrispondente del quotidiano francese Le Figaro, Stefan Sioan, ha risposto che Fedchenko stava cercando di ammorbidire l’immagine del S14 solo perché il suo collega Voitko era un membro dell’organizzazione.

Ci sono stati anche altri casi. Nel 2016 sono stati pubblicati sul sito web Myrotvorets (“Il Pacificatore”) i dati di oltre quattromila giornalisti accreditati dalla “Repubblica Popolare di Lugansk” e della “Repubblica Popolare di Doneck”. Myrotvorets è un progetto nato nel 2014 per contrastare i separatisti e i loro sostenitori. Uno dei fondatori del progetto fu l’allora consigliere e ora viceministro degli interni ucraino Anton Gerashchenko. La pubblicazione di questi giornalisti, inclusi i rappresentanti dei principali media mondiali (ad esempio Associated Press, AFP, Al Jazeera), ha scatenato uno scandalo internazionale. Dopotutto, il sito ha pubblicato non solo nomi e cognomi, ma anche telefoni cellulari, indirizzi e-mail e alcuni dati del passaporto. Molti giornalisti hanno ricevuto minacce a causa della “collaborazione con i terroristi”, sebbene l’accreditamento nelle repubbliche non riconosciute sia un passo necessario per giornalisti e reporter che vogliono coprire ciò che stia accadendo lì.

Nel conflitto menzionato, Fedchenko si è schierato con Myrotvorets. Ha affermato che la responsabilità della pubblicazione dei dati ricade esclusivamente sui media stessi. “Prima che i giornalisti pubblicassero le informazioni sulla fuga di notizie, nessuno sapeva del sito web di Myrotvorets”, ha detto Fedchenko, aggiungendo che lo scandalo sembrava “insignificante e senza importanza, solo gonfiato da molti giornalisti”.

Tweet di Christopher Miller e Yevhen Fedchenko

Christopher Miller ha anche scritto che il Regno Unito avrebbe tagliato i fondi per StopFake” a causa delle preoccupazioni circa la capacità di verificare fatti e commenti pubblici da parte di un co-fondatore di Fedchenko, che attacca i giornalisti e la libertà di stampa”.

Zaborona ha parzialmente confutato queste informazioni: Il servizio stampa dell’Ambasciata britannica in Ucraina ci ha detto di aver sostenuto StopFake dal 2015 al 2018, e che sono “orgogliosi dei risultati che ha ottenuto finora”. Cambiare i partner del progetto da un anno all’altro è una pratica comune: StopFake, secondo il servizio stampa, ha svolto il suo lavoro come pianificato ed è venuta meno la necessità del suo supporto, anche se l’ambasciata collabora con l’organizzazione in altre aree.
Gli esperti di StopFake continuano a lavorare con il Progetto di alfabetizzazione mediatica “Study and Distinguish”, implementato dall’International Research and Exchanges Board (IREX) con il supporto delle ambasciate britannica e statunitense in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e della Scienza dell’Ucraina. Il Regno Unito sostiene attività e programmi contro la disinformazione volti a sviluppare l’alfabetizzazione mediatica in Ucraina e in tutta la regione, ha affermato il servizio stampa.

Marko Suprun e i “fratelli”

Il volto principale di StopFake è Marko Suprun, marito dell’ex Ministro della Sanità Ulyana Suprun. La versione inglese del canale Youtube del progetto è costituita quasi interamente da video con la sua partecipazione. Suprun analizza le fake news russe, in particolare quelle sul fascismo “dilagante” in Ucraina. Ma lo stesso Marko Suprun si trova spesso in compagnia di personaggi di estrema destra.

Nel settembre 2017 Suprun è stato invitato a un evento del Congresso Nazionalista della Gioventù. Lì ha raccontato cosa lo ha spinto a trasferirsi dal Canada all’Ucraina e di come “sbarazzarsi del complesso di inferiorità”.

Due uomini paffuti erano sul palco accanto a Marko. Il primo è il fondatore del famoso marchio di abbigliamento di estrema destra SvaStone e il leader della band musicale di estrema destra Sokyra Peruna, Arseniy Bilodub. Il secondo è il frontman del gruppo rock “Komu Vnyz” Andriy Sereda, che una volta ha detto che lui, Marko Suprun e Bilodub sono diventati “fratelli” attraverso il rituale cosacco della “fratellanza”, che prevede il salasso. Pertanto, sul sito “Komu Vnyz” i tre partecipanti dell’incontro sono indicati come “fratelli”.

Arseniy Bilodub sulla sinistra, Andriy Sereda al centro (notare la croce celtica tatuata sulla mano) e Marko Suprun sulla destra

I “Sokyra Peruna” sono una delle band più popolari negli ambienti di estrema destra. La loro canzone “Six Million Words of Lies” nega l’Olocausto. La traccia “August 17” è dedicata al giorno della morte del nazista Rudolf Hess. Nel 2018, Zaborona ha realizzato un reportage fotografico del concerto per l’anniversario di “Sokyra Peruna” dove si notano bandiere naziste e una svastica. Secondo questo rapporto, la polizia ha aperto un procedimento penale. Abbiamo usato le foto di quel concerto per l’inchiesta su un neo-nazista, Denis Nikitin, e il nostro post su questa inchiesta è stato rimosso da Facebook dalla pagina Zaborona qualche tempo dopo la pubblicazione sul social.

Gli stessi membri di “Sokyra Peruna” definiscono la loro musica come Rock White Power. Questo filone musicale promuove il razzismo, l’antisemitismo e l’omofobia attraverso testi e scenografia. Secondo gli esperti della Commissione australiana sui diritti umani, è uno strumento importante del movimento neonazista internazionale per generare introiti e reclutare nuovi sostenitori.

Andriy Sereda a un evento del partito di estrema destra Svoboda

L’ex batterista dei “Sokyra Peruna”, Dmitry Volkov, una volta venne condannato per aver partecipato al pogrom della sinagoga di Brodsky a Kiev. Ai concerti della band partecipò nel 2017 un cittadino russo, Alexander Skachkov, che è stato recentemente arrestato dai servizi speciali ucraini perché promuoveva le idee del terrorista australiano Brenton Tarrant.

In un’intervista, Andriy Sereda, il frontman dei Komu Vnyz, ha ammesso di considerarsi un “antisemita selettivo“. Alla celebrazione del 20° anniversario della festa di estrema destra Svoboda nel 2011, questo musicista ha detto che la terra ucraina era la “madre della razza ariana”. Ha concluso il suo discorso con un gesto molto simile a un saluto nazista. Ha un tatuaggio sulla mano, una croce celtica, che viene utilizzato dagli skinhead, razzisti e neonazisti per indicare la superiorità della razza bianca. Questo simbolo compare anche nelle foto dalla sala prove della band.

Arseniy Bilodub e Andriy Sereda sono i “patriarchi” della scena musicale dell’estrema destra ucraina. “Sokyra Peruna” e “Komu Vnyz” sono amici di lunga data, si sono esibiti in numerosi festival “patriottici” e concerti con altre band di destra, inclusa la band black metal russa “M8L8TH“. Il nome sta per “Martello di Hitler”, dove la sostituzione della lettera “o” nel nome con il numero “8” si riferisce allo slogan neonazista “Heil Hitler!” (La lettera “H” è l’ottava dell’alfabeto latino).

Il giornalista di Bellingcat Michael Callborn è stato uno dei primi a mettere in luce i legami di Marko Suprun con noti personaggi di estrema destra. Crede che si debba chiedere al management di Facebook perché il loro partner “comunica con i neonazisti”.

Marko Suprun e S14

Il 23 gennaio 2020, è apparsa una foto sulla pagina Instagram dei Sokyra Peruna, scattata durante la proiezione del film ucraino “Nashi Kotyky”. Marko Suprun è accompagnato non solo da Arseniy Bilodub, ma anche di Diana Vinogradova (Kamlyuk). All’inizio degli anni 2000 Kamlyuk e un gruppo di suoi amici hanno aggredito un cittadino nigeriano, lo hanno preso a calci e la sua amica ha pugnalato l’uomo nigeriano con un coltello. Il nigeriano è morto per le ferite riportate. Alla domanda sui motivi dell’aggressione , L’amica di Diana ha risposto: “Non mi piacciono i negri.” Kamlyuk è stata condannata a 4,5 anni di carcere. Dietro le sbarre, ha scritto poesie per Sokyra Peruna, e quando è stata scarcerata, ha recitato una poesia antisemita durante il Maidan a Kiev [NdT: le manifestazioni di Euromaidan nel 2013-2014].

Insieme a Marko Suprun, nella foto c’è Oleksandr Voitko, uno dei leader del gruppo di estrema destra S14. Nel 2018, il S14 ha disperso gli insediamenti rom a Lysa Hora a Kiev, bruciando le loro tende e le loro cose. In un video pubblicato pochi giorni dopo da LB.ua, gli estremisti di destra lanciavano pietre contro i rom e li ricoprivano di gas lacrimogeni, spingendoli per strada.

Ci sono anche molti membri del S14 coinvolti in casi di reati gravi. In particolare, Andriy Medvedko e Denys Polishchuk sono accusati di aver ucciso Oles Buzyna, ex redattore capo del quotidiano Segodnya e scrittore filo-russo. Entrambi i sospettati del “caso Buzyna” sono stati rilasciati; Polishchuk è stato rilasciato su cauzione di 5 milioni di grivne.

Nel novembre 2017, il Terrorism Research & Analysis Consortium TRAC, che studia il terrorismo e la violenza politica, ha pubblicato un articolo sul S14, ma esso non è stato incluso nell’elenco dei gruppi terroristici, anche se si è interessato all’organizzazione.

Marko Suprun insieme alla nazista Diana Vynogradova-Kamluk

Marko Suprun e Pravyj Sektor

Marko Suprun è stato a lungo amico di Dmytro Savchenko, un portavoce del partito di estrema destra Pravyj Sektor (Settore Destro). Quest’ultimo è anche il fondatore della casa editrice “Iron Father”, dove l’ideologo del “nazional-anarchismo cristiano” Dmytro Korchynsky pubblica le sue opere. Ci sono anche un mucchio di foto con i simboli del “Carpathian Sich”, sulla pagina Facebook di Iron Father, un gruppo aggressivo di estrema destra i cui membri attaccano le persone LGBT, le femministe e le persone con disabilità mentali.

Nel febbraio 2018, Suprun e Savchenko hanno celebrato insieme il 30° anniversario della band “Komu Vnyz” a Kiev, a cui ha partecipato anche Dmytro Korchynsky. Un anno dopo, Dmytro Savchenko e Arseniy Bilodub sono apparsi davanti al tribunale amministrativo distrettuale di Kiev, dove doveva essere preso in considerazione il caso della rimozione del ministro ad interim della Sanità Ulyana Suprun. Savchenko ha scattato una foto insieme a Marko e Bilodub.

Dmytro Savchenko ha scontato 10 anni per aver compiuto un atto terroristico: ha piazzato una bomba al mercato Troieschyna a Kiev, uccidendo un uomo. È stato rilasciato insieme ad altri “prigionieri politici” nel 2014 [NdT: dopo EuroMaidan], ma non gli è stata concessa l’amnistia. Non ha ammesso la sua colpa.

Dmytro Savchenko alla presentazione di un libro su Mussolini

Cosa dicono gli esperti

Con chi Marko Suprun è amico sono affari suoi. È un’altra questione se questo influisce sul suo lavoro in StopFake, un progetto giornalistico che dovrebbe essere il più obiettivo e imparziale possibile.

Il ricercatore sui movimenti di estrema destra Anton Shekhovtsov, osserva che negli ultimi anni StopFake è diventato “politicizzato”. Il giornalista di BuzzFeed Christopher Miller non ha dubbi sul fatto che i contatti con l’ambiente di estrema destra influenzino le posizioni di Yevhen Fedchenko e Marko Suprun sulla copertura da parte di StopFake.

Dice Miller a Zaborona:

Il co-fondatore di StopFake, Yevhen Fedchenko, considera le critiche ai gruppi di estrema destra da parte di giornalisti internazionali e ucraini come ‘notizie false’ e ‘echi della propaganda russa’. Il ruolo di Suprun in StopFake, quando Poroshenko era al potere e sua moglie fungeva da ministro della salute, può anche essere visto come un conflitto di interessi, poiché il progetto aderiva alla posizione del governo su tutte le questioni.

In particolare, StopFake ha risposto alla notizia di Strana.ua sulla formazione municipale di Kiev “Guardia municipale”, secondo la quale “l’estrema destra controllerà i documenti nel trasporto di Kiev” durante la quarantena, con una pubblicazione altrettanto dubbia, che ripercorre il tentativo di ammorbidire l’immagine della Guardia Municipale. StopFake ha smentito l’accusa di “Strana.ua” su una serie di persecuzioni contro i rom da parte della Guardia Municipale di Kiev. Nella pubblicazione di “Strana.ua” il giornale ha solo scritto degli attacchi ai rom in termini generali e ha fatto riferimento al commento del capo della polizia di pattuglia Yuri Zozulia: «Non possiamo lavorare con persone che professano odio razziale».

Conclude Vyacheslav Likhachev, ricercatore sull’estrema destra e coordinatore del National Minorities Monitoring Group:

La capacità di controllare la ‘visibilità’ dei contenuti è una grande tentazione e forti simpatie personali e politiche possono essere motivo di abuso. Ad esempio, perché non contrassegnare come falso (per motivi di amicizia) un post, che ricorda che Diana Vinogradova (Kamlyuk) è stata condannata per complicità in un omicidio razzista, se lei stessa afferma che si trattava di “persecuzione politica”? Perché non aiutare Dmytro Savchenko a mostrare meno notizie sui suoi dieci anni di prigione, compiuti dopo un tentativo fallito di avviare una “guerra razziale sacra” a Troyeschina, durante la quale è morto un addetto alle pulizie?

└ Fine della traduzione dell’articolo


La risposta di StopFake

Qualche giorno dopo è arrivata la risposta di StopFake, con la quale si respinge ogni accusa, sostenendo che se i responsabili di StopFake sono stati fotografati di fianco – in molte diverse occasioni, aggiungeremmo noi – a estremisti di destra, ciò non provi nulla sulla fede politica degli attivisti. I giornalisti di Zaborona vengono appellati quindi come aggressivi, non professionali, e vengono tacciati di essere parte di un attacco coordinato dai media gestiti da Mosca.

StopFake in Italia e Mauro Voerzio

Anche la filiale italiana di StopFake rilascia un comunicato sull’argomento, ne riportiamo degli estratti:

Da alcune settimane il progetto StopFake è sotto attacco mediatico. L’uso della consueta narrativa ucraini=nazisti ha rivelato da subito che si trattava di una azione di guerra ibrida e non di un campagna diffamatoria a bassa intensità. Altro elemento che evidenziava lo shit storm in arrivo è che non si è attaccato il progetto ma le persone che lo compongono, nella fattispecie il direttore del progetto Evghen Fedchenko e Marko Suprun (marito dell’ex ministro della salute). E’ chiaro che quando si attaccano le persone a livello personale, significa che non è possibile attaccare la bontà del progetto. Si cerca quindi di discreditarne gli autori perché così facendo si discredita di conseguenza anche tutto il progetto.

L’attacco è stato coordinato, partito dall’interno (Ucraina), come nelle migliori tradizioni del reflexive control, e supportato da attori esterni quali Russia, USA, ma anche l’immancabile Italia con Fulvio Scaglione.

L’attacco frontale (e con gran dispiego di mezzi) arriva poche settimane dopo che StopFake è stato riconosciuto da Facebook come uno dei 54 partner internazionali per la lotta contro le fakenews, piattaforma social su cui sappiamo circolare la maggior parte della disinformazione mondiale.

Probabilmente questo attacco è un messaggio a coloro che avrebbero voluto supportare finanziariamente il nostro progetto, ovvero “guarda che il tuo nome sarà associato ai Nazisti!!“, o a quelle forze politiche che stanno cominciando ad interessarsi di disinformazione.

Nonostante questo, per gli agenti della disinformazione russa in Italia rimaniamo dei nazisti come le facce rosse e rubiconde che affollavano l’aula di Pavia.

Siamo tutti dotati di libero arbitrio, sta a noi scegliere da che parte stare.

Il responsabile di StopFake in Italia è il reporter di guerra e monitor presso la missione europea EUMM in Georgia, Mauro Voerzio.

Mauro Voerzio, responsabile di StopFake in Italia

Nell’estate del 2015, in piena guerra del Donbass, Mauro Voerzio aveva lanciato il “Progetto JEEP“, una raccolta fondi per comprare appunto una jeep carica di rifornimenti da inviare al battaglione neonazista S14 che era impiegato nel conflitto. Stando ai dati pubblici reperibili sui social network, Voerzio ricondivide i manifesti per la candidatura politica di un membro dell’organizzazione politica di estrema destra ucraina Svoboda. Nella descrizione del post si tiene a specificare che l’uomo ha militato nel gruppo neonazista S14 (la stessa pagina del battaglione ricondivide un intervento, durante un loro evento, del neonazista Andriy Sereda di cui parla la Sergatskova). Voerzio, inoltre, rilancia fotografie di persone che sfoggiano l’abbigliamento di estrema destra SvaStone, foto dei veterani collaborazionisti massacratori di ebrei durante seconda guerra mondiale, e foto dei militanti del “Corpo Nazionale”, l’organizzazione politica dei neonazisti del Battaglione Azov, i quali sono accusati di crimini di guerra e tortura dal report OSCE del 2016. Tutte tematiche già evidenziate dalla Sergatskova nel suo articolo su StopFake in Ucraina.

Mauro Voerzio ricondivide Svoboda (a sinistra), i veterani collaborazionisti (in basso), SvaStone (a destra) e Battaglione Azov (in alto a destra)

Voerzio ha collaborato e spesso anche con l’Associazione Europea Italia-Ucraina Maidan di Fabio Prevedello, la quale è stata allontanata nel 2019 dai progetti culturali di Casa Cervi, tramite un comunicato dell’Istituto Alcide Cervi in cui si ribadisce che la discriminante irrinunciabile per partecipare alle attività della struttura è l’antifascismo.

Istituto Alcide Cervi allontana da Casa Cervi l’Associazione Italia-Ucraina Maidan nel 2019

Tornando al comunicato, StopFake Italia allude anche alla possibile compromissione dei rapporti con alcuni possibili nuovi finanziatori del progetto, a causa dell’inchiesta della Sergatskova. Voerzio si riferisce ai rapporti da poco instaurati con Lia Quartapelle del Partito Democratico, partito con il quale aveva già cominciato a collaborare ai tempi di Euromaidan nel 2013-2014, con Gianni Pittella e successivamente con Matteo Cazzulani.

Salvate il soldato Markiv

Nell’ultima parte del comunicato, StopFake accenna a un’aula di Pavia. Il riferimento è al processo in corso in Italia al soldato ucraino Vitaly Markiv, condannato in primo grado a 24 anni di carcere per concorso di colpa in omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli, che stava documentando le sofferenze della popolazione nella guerra del Donbass nel 2014.

Tra gli aspetti più controversi del soldato Markiv, a parte la frequentazione di locali nazisti carpita dalle intercettazioni ambientali, a parte un piano di evasione scoperto dalla polizia carceraria che gli è valso il trasferimento nel carcere di Opera, spiccano le foto trovate dalla polizia nel suo cellulare: prigionieri incappucciati e con catene al collo, chiusi nel portabagagli di un’auto, prigionieri incappucciati e gettati in quelle che sembrerebbero fosse comuni, e poi ancora bandiere naziste insieme a saluti romani e tanti sorrisi dei suoi commilitoni.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Markiv, che è difeso dall’avvocato Raffaele Della Valle, ha l’appoggio di Emma Bonino e dei Radicali Italiani, motivo per il quale qualche esponente nazionalista della comunità ucraina – sempre conoscente di Voerzio – si è tesserato nel partito per ringraziare i sinceri democratici dell’aiuto. Oltre a questi, infine, Markiv gode del supporto di StopFake e di Mauro Voerzio, che si sono schierati sin dall’inizio per la sua completa innocenza.

Oles Horodetskyy si tessera nei Radicali Italiani. In mano ha la bandiera dei nazionalisti ucraini di Stepan Bandera, rossa e nera.

Anche in patria rivogliono indietro il soldato Markiv, sono stati infatti diversi i sit-in organizzati dai nazisti ucraini di S14 o dal Battaglione Azov sotto l’Ambasciata d’Italia in Kiev per chiedere il suo rilascio in questi anni di custodia cautelare in attesa della conclusione del processo.

Estremisti di destra manifestano per Markiv di fronte l’ambasciata italiana a Kiev, 24 luglio 2017

Conclusioni

L’articolo della Sergatskova riporta evidenze sui contatti tra alcuni attivisti di spicco di StopFake e i nazisti ucraini che non possono certamente essere ignorate se parliamo di un’organizzazione che collabora con il più grande social network del mondo. Quanto alla situazione italiana, anche noi ci siamo limitati a riportare dati pubblici, che abbiamo salvato e resi consultabili su Internet Archive.

Auguriamo a Katerina di poter tornare quanto prima a casa sua e in sicurezza, anche se ci rendiamo conto che in Ucraina attualmente è quasi impossibile fare informazione imparziale, se non garantendosi minacce, aggressioni o peggio, dalle bande naziste fuori controllo o istituzionalizzate nel paese partorito dal colpo di stato di Euromaidan.

Docente espulso dalla Lituania per aver criticato i massacratori di ebrei

Il docente di storia spagnolo Miquel Puertas, dell’Università Vytautas Magnus di Kaunas, in Lituania, aveva criticato le onorificenze conferite ai collaborazionisti lituani da parte delle istituzioni. È stato prontamente arrestato il 25 agosto e infine messo su un volo e rimpatriato in Spagna il 3 settembre.

Le sue critiche erano rivolte a personaggi come Jonas Noreika (catturato e giustiziato dai sovietici nel 1947), responsabile dell’uccisione di circa duemila ebrei in quello che diventerà noto come il massacro di Plungė. I nazionalisti lituani si appropriarono persino degli averi delle vittime. Nel 1997, Jonas Noreika è stato insignito postumo dell’Ordine della Croce di Vytis, per la “Difesa eroica della libertà e dell’indipendenza della Lituania”.

Targa commemorativa al collaboratore nazista Jonas Noreika, Biblioteca dell’Accademia delle scienze di Vilnius.

 

La bandiera bianca e rossa delle rivolte bielorusse: simbolo di collaborazionisti nazisti e controrivoluzionari

Una caratteristica delle recenti proteste bielorusse è l’uso da parte dei manifestanti di una bandiera bianco-rossa. Poco dopo l’annuncio del risultato delle elezioni del 9 agosto, le strade di Minsk sono state inondate di manifestanti sostenuti dall’opposizione che sventolavano queste bandiere.

Ma qual è il vero significato della bandiera bianco-rossa bielorussa e qual è la storia dietro di essa?

Quella bandiera è stata utilizzata per la prima volta dall’anti-bolscevica Repubblica Popolare Bielorussa (Biełaruskaja Narodnaja Respublika – BNR), la quale ebbe breve vita: durò tra il marzo 1918 e il febbraio 1919. Durante il periodo tra le due guerre mondiali, è stata utilizzata occasionalmente da organizzazioni politiche, come il partito conservatore Democrazia Cristiana Bielorussa (1927), ma anche da organizzazioni non politiche.

Tuttavia, la bandiera bianco-rossa è emersa di nuovo durante la seconda guerra mondiale, come simbolo dell’amministrazione nazista in Bielorussia, apparendo anche sulle toppe del braccio dei collaborazionisti nazisti bielorussi che si erano offerti volontari nell’esercito tedesco e nelle SS. Inoltre, la bandiera fu usata dal “Consiglio Centrale Bielorusso”, uno Stato collaborazionista e antisovietico esistito tra il 1943 e il 1944.

Quanto affermiamo sopra è confermato da una pletora di documenti e immagini risalenti alla seconda guerra mondiale.

“Consiglio Centrale Bielorusso” – bandiera bielorussa bianca e rossa con la svastica.

Le principali domande che sorgono sono: i manifestanti in Bielorussia – in particolare le giovani generazioni – che sventolano la bandiera bianco-rossa, conoscono il vero significato di questo simbolo?

Sanno che la bandiera, sotto la quale protestano, è stata ampiamente utilizzata da collaborazionisti, traditori e codardi che hanno servito gli invasori nazisti?

Si rendono conto che sventolando la bandiera bianco-rossa tradiscono la memoria dei loro nonni e bisnonni che combatterono contro i nazisti?

Comparazione delle bandiere sventolate dai manifestanti e dai collaborazionisti bielorussi

La stessa bandiera bianco-rossa è stata usata di nuovo nei primi anni ’90, dopo la dissoluzione dell’URSS, come simbolo anti-sovietico e anticomunista dai controrivoluzionari bielorussi.

Non è una coincidenza che i fascisti ucraini e polacchi sostengano apertamente il movimento di opposizione bielorusso. Soprattutto nel caso dell’Ucraina, sappiamo tutti a cosa ha portato il Maidan di Kiev del 2014, sponsorizzato da Unione Europea e la NATO, e come i neonazisti abbiano acquisito posizioni nel governo successivo alla rivolta.

La Bielorussia non deve diventare una nuova Ucraina. I giovani della Bielorussia non devono cadere vittime delle false promesse fatte dall’opposizione sostenuta dalle potenze straniere.

La bandiera bielorussa bianco-rossa nelle loro mani non è solo un insulto per l’orgoglioso passato del paese, ma anche un segno preoccupante per il suo futuro.

Articolo tradotto da In Defense of Communism

Giornalista indaga su presunti rapporti tra nazisti e StopFake.org, costretta a fuggire da Kiev

Katerina Sergatskova, 32 anni, cittadina ucraina di origini russe, è editrice del giornale Zaborona, che si è spesso concentrato su questioni ignorate dai media ucraini, tra cui il nazionalismo e l’estrema destra. Il 3 luglio, la Sergatskova è stata co-autrice di un’indagine relativa ai collegamenti tra gruppi neonazisti e StopFake.org, una ONG ucraina che lavora come partner di Facebook per il fact-checking.

La giornalista Katerina Sergatskova

Il rapporto descriveva in dettaglio diversi casi di comparsa in pubblico di alcuni volti noti di StopFake accanto a musicisti appartenenti a gruppi white-power, negazionisti dell’Olocausto. L’aver scoperto tali collegamenti gli sarebbe valsa la rimozione [da Facebook] di un precedente articolo di Zaborona sull’attivista di estrema destra Denis Nikitin.

StopFake ha risposto alle accuse affermando di non essere mai stata autorizzata a bloccare i materiali e ha respinto le accuse definendole “una cospirazione filo-russa”.

L’articolo ha inoltre suscitato una reazione immediata da parte della destra, sia pubblicamente sui social media che privatamente, nei messaggi inviati alla giornalista.

Sabato, Roman Skrypin, un famoso giornalista nazionalista, ha pubblicato le foto della Sergatskova e di suo figlio di cinque anni, insieme alle fotografie di quella che credeva fosse la sua casa, accusandola di essere un agente del Cremlino, una descrizione che gli amici della giornalista considerano assurda.

Nei commenti di risposta sotto al post su Facebook di Skrypin, gli utenti hanno rivolto ogni tipo di minaccia alla Sergatskova e hanno rivelato dettagli sul suo indirizzo di casa. Il post originale su Facebook e i commenti delle figure di estrema destra sono stati eliminati a seguito di molteplici reclami. Ma ulteriori post offensivi dello stesso giornalista rimangono intoccati. “Mi bloccate un post”, ha scritto Skyrpin, “e ne scriverò altri 10”.

Sergatskova ha lasciato la capitale ucraina con la sua famiglia lunedì sera, temendo per la propria vita. Queste paure non sono in contrasto con le storie di estrema violenza che hanno coinvolto l’estrema destra ucraina e con i sospetti sui legami tra gruppi neonazisti e le forze dell’ordine.

Nel 2015, Oles Buzyna, un giornalista e scrittore filo-russo è stato assassinato il giorno dopo che il suo indirizzo era trapelato, insieme a quello di altre centinaia di giornalisti, da Myrotvorets, un sito web collegato con il Ministero dell’Interno ucraino.

Un anno dopo, il giornalista Pavel Sheremet viene assassinato nella sua auto nel centro di Kiev. Finora l’indagine ufficiale non è riuscita a indicare sospetti convincenti, anche se un’altra indagine condotta dai suoi colleghi concludeva che i servizi di sicurezza ucraini avrebbero potuto sapere qualcosa al riguardo.

Sergatskova ha dichiarato a The Independent di aver denunciato le minacce alla polizia, ma che non si aspetta una reale protezione da parte loro.

“Non ci sentiamo al sicuro e i burocrati tacciono, come puoi sentirti sicura sapendo quanto strettamente l’estrema destra è collegata alla polizia e ai servizi di sicurezza?”

Anton Shekhovtsov, docente esterno all’Università di Vienna, ed esperto di movimenti di estrema destra nell’Europa orientale, ritiene che lo stato ucraino non “respinga sistematicamente” i movimenti nazionalisti. A volte è stato difficile distinguere la partecipazione attiva in un’organizzazione nazionalista, rispetto all’infiltrazione, ha detto.

“Non è sempre chiaro se il governo stia facendo qualcosa, ma si infiltrano e smantellano alcune delle organizzazioni più estreme”

L’estrema destra ucraina è composta da diversi gruppi: “I gruppi in cui è coinvolto il Ministero dell’Interno non sono gli stessi dei gruppi come il S14 menzionato nel pezzo di Zaborona“. S14, è un’organizzazione di estrema destra sospettata di numerosi crimini gravi, tra cui le violenze contro la comunità rom in Ucraina e l’omicidio di Oles Buzyna.

Zaborona ha suggerito che l’ONG di fact-checking StopFake abbia collegamenti con il gruppo tramite Marko Suprun, un loro presentatore sul canale YouTube. Suprun, marito canadese dell’ex Ministro della Sanità ucraino, è stato mostrato insieme ad ex membri di S14 e altre figure di estrema destra, tra cui una persona condannata per omicidio per motivi razziali.

Anche Yevhen Fedchenko, direttore di StopFake e della scuola di giornalismo dell’Accademia Mohyla di Kiev, ha in passato twittato in difesa di S14. Parlando con The Independent, Fedchenko ha dichiarato di non avere commenti ufficiali da fare, dato che intende portare il caso in tribunale.

“Quello sarà il posto per chiarimenti, queste sono accuse serie.”

Traduzione dell’articolo di Oliver Carroll per The Independent del 14/7/2020.


Note

  • Articolo di Zaborona sui contatti tra nazisti e StopFake.org
  • Articolo di Zaborona su Denis Nikitin cancellato da Facebook
  • Marko Suprun in foto insieme a diversi nazisti
  • Pagina twitter di Mauro Voerzio, responsabile italiano di StopFake.org

Prima delle foibe: quello che i fascisti cercano di insabbiare

10 febbraio, nel cosiddetto #GiornoDelRicordo il reale intento della destra e del centrosinistra (Zingaretti ha persino finanziato un film sul tema, utilizzando i fondi della Regione Lazio) è quello criminalizzare le forze popolari che hanno liberato l’Europa dall’oppressione nazifascista. Selezionano i ricordi che più fanno comodo, ingigantendoli, vogliono tramutare i carnefici fascisti in vittime. Non possiamo permetterlo.

Queste sono le truppe fasciste in Jugoslavia. Questo era il trattamento che fascisti e nazisti riservavano ai partigiani e alle popolazioni slave in generale.

Fascisti decapitano partigiano. 1942, zona di Tolmino.

8 febbraio 1943 – I nazisti impiccano a un albero la diciassettenne partigiana jugoslava Lepa Radić.

8 febbraio 1943 – I nazisti impiccano a un albero la diciassettenne partigiana jugoslava Lepa Radić

Tra i crimini di cui si macchiarono le truppe nazifasciste in Jugoslavia, oltre agli innumerevoli massacri, sono tristemente note le torture e le mutilazioni ai danni della popolazione civile. La storia di Ruza Petrovic è quella di una donna croata che finisce tra le mani dei fascisti italiani, i quali, senza pietà, le cavarono entrambi gli occhi con un pugnale.

Ruza Petrovic, donna croata alla quale i fascisti cavano entrambi gli occhi con un pugnale.

I fascisti italiani consideravano gli slavi come una razza inferiore e il più delle volte le foibe furono utilizzate dagli stessi nazifascisti per disfarsi della popolazione slava che si ribellava all’occupazione, sia civili che partigiani. Quegli stessi corpi oggi vanno a gonfiare i numeri già ingigantiti dalla propaganda.

“Di fronte a una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone.
I confini d’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani.”

«Poesia per bambini “In fondo alla foiba” tratta da “La Venezia Giulia: Trieste e Istria” Paravia, Torino, 1925.
In questo testo, “approvato” per l’uso nelle scuole, si insegnava che il “dovere” di difendere la “favella di Dante” si concretizzava nel far finire in fondo alla “Foiba” (cioè l’orrido che costeggia il castello di Pisino, letto dell’omonimo torrente) coloro che “offendevano” Pisino con parole non italiane: in pratica un invito al massacro delle popolazioni non italiane dell’Istria.» Fonte: Dieci Febbraio

Poesia fascista per bambini: “In fondo alla foiba”

Il film sulle Foibe è una cagata pazzesca

Spinto dalla curiosità, venerdì sera ho deciso di guardare “Red Land – Rosso Istria”, trasmesso su RAI 3 con squilli di tromba e fanfare al seguito.
A dire il vero, mi era capitato di vederne in precedenza alcuni spezzoni, mandatimi da certi ex amici (manco a dirlo, cattolici), nel tentativo di convincermi dell’importanza della pellicola e di farmi capire la ragione per cui, secondo loro, veniva boicottata dai “poteri forti”.
Si, talmente boicottata che è stata trasmessa sulla tv pubblica a tempo di record.
Se c’è una ragione per cui al cinema si è visto poco, è perché Red Land, il film su Norma Cossetto e le foibe (regia di Maximiliano Hernando Bruno), è un film davvero brutto, oltre che essere sostanzialmente banale propaganda. Continua a leggere

Il Boomerang Antifascista (oppure: perchè non deleghiamo l’antifascismo)

Come le leggi contro le organizzazioni fasciste finiscono spesso per prendere di mira la sinistra.

Il risorgere di movimenti di estrema destra nell’era di Trump ha riacceso il dibattito senza fine sulla libertà di parola e sui suoi limiti. La questione era più accesa che mai sulla scia delle violenze dello scorso anno a Charlottesville negli USA, quando l’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili) fu pesantemente criticata per aver difeso i diritti di libertà di parola dei nazisti, razzisti e di altri idioti. Il problema continua ad essere esplorato, e ad oggi più che mai negli states ed in Europa vengono avanzate richieste alle istituzioni governative di fare qualcosa per contrastare le parole odiose (ma spesso perfettamente legali) dell’estrema destra. Continua a leggere

How the liberal and anarchist left became swept up in the surge of right-wing nationalism in Ukraine

The serious flaws of our left and anarchist tactics in Ukraine (which resulted in its current weakness) can be traced to the early 2000’s and the wrong approach adopted by many of them that time. It is particularly expressed in their permanent, short-term approaches – the desire to get results immediately.

How did some of our left drift towards right-wing nationalists and middle-class liberals? It came from ideas of intervening in nationalist groups and hijacking their rallies (not yet numerous at the time). Instead of starting to work from the beginning with the working class (which takes more time), some of left and anarchists decided instead to try and influence pro-capitalist and nationalist movements. Continua a leggere