Dichiarazione del Partito Comunista Operaio Russo sulla guerra russo-ucraina

Sulla fase armata del conflitto tra Federazione Russa e Ucraina

Dichiarazione del Consiglio politico del Comitato centrale del RKRP-CPSU

Nella nostra analisi e nelle nostre conclusioni in queste specifiche condizioni storiche, ci basiamo sull’analisi già fatta nel corso dello sviluppo della situazione, tra cui la conferenza con i comunisti del Donbass, dell’Ucraina, della Russia nel novembre 2019 a Lugansk.

Ancora una volta, tornando al fatto del riconoscimento delle repubbliche del Donbass, notiamo che, sebbene sia avvenuto in ritardo, molto più tardi di quanto avrebbe dovuto, ma meglio tardi che mai. L’RCWP non solo ha sostenuto questo passo fin dall’inizio della proclamazione di queste repubbliche, ma ha anche chiesto che le autorità borghesi della Federazione Russa compissero questo passo come aiuto per affrontare le repubbliche popolari del Donbass contro l’aggressione fascista dei nazisti di Kiev.

Naturalmente, gli obiettivi dell’intervento militare della Federazione Russa da parte delle autorità e di Putin sono dichiarati solo come umanitari – salvare la popolazione dalle rappresaglie dei nazisti. In realtà, la fonte del conflitto è rappresentata dalle contraddizioni inter-imperialiste tra Stati Uniti, Unione Europea e Russia, in cui l’Ucraina è coinvolta. L’obiettivo dell’imperialismo statunitense – più potente al mondo – è quello di indebolire il concorrente russo ed espandere la sua influenza nello spazio di mercato europeo. Per questo si è adoperato di proposito per mettere in difficoltà non solo le autorità, ma anche i popoli di Russia e Ucraina. A tal fine, l’imperialismo è arrivato persino a incoraggiare la ripresa e l’uso a fini punitivi del fascismo ordinario sul modello di Bandera del 1941-45. Gli imperialisti stanno adempiendo ai loro compiti: il conflitto tra la Federazione Russa e l’Ucraina è entrato in una fase calda, e questo fa loro comodo. Non c’è da stupirsi che i capi degli Stati Uniti e dell’Inghilterra abbiano già dichiarato che non parteciperanno alla guerra con le loro forze armate. Lasciamo che parti del popolo sovietico, un tempo unito, combattano tra loro.

In generale, cioè da posizioni di classe, le autorità russe, così come i governanti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, non si preoccupano profondamente del popolo lavoratore – e del Donbass, e della Russia, e dell’Ucraina. Non abbiamo dubbi che i veri obiettivi dello Stato russo in questa guerra siano piuttosto imperialistici: rafforzare la posizione della Russia imperialista nella competizione del mercato mondiale. Ma, poiché questa lotta oggi aiuta in qualche misura il popolo del Donbass a respingere il fascismo di Bandera, i comunisti di questa parte non negano, ma permettono e sostengono quanto viene condotto contro il fascismo nel Donbass e in Ucraina. E si oppongono categoricamente alle azioni del loro governo, quando, sotto la copertura della lotta al fascismo, si risolvono le questioni dell’espansione e del rafforzamento dell’imperialismo russo e dei suoi alleati.

Finché l’intervento armato della Russia contribuirà a salvare la popolazione del Donbass dalle rappresaglie dei punitori, non ci opporremo a questo obiettivo. In particolare, consideriamo accettabile se, a causa delle circostanze, sarà necessario usare la forza contro il regime fascista di Kiev, nella misura in cui ciò sarà nell’interesse del popolo lavoratore.

Allo stesso tempo, naturalmente, non è esclusa la possibilità che la campagna militare di assistenza al Donbass da parte della Russia, guidata dall’antisovietico Putin, si sviluppi in una vera e propria guerra completamente predatoria, quando, con il pretesto di aiutare il Donbass, le autorità russe iniziano a risolvere i loro problemi e le truppe iniziano semplicemente a occupare altre regioni dell’Ucraina. La considereremo una guerra di conquista, di imperialismo, e non sosterremo né l’uno né l’altro imperialista. In ogni caso, non saranno i padroni a morire da entrambe le parti, ma i lavoratori. Morire per i fratelli della classe è degno. Morire e uccidere per gli interessi dei padroni è stupido, criminale e inaccettabile.

In ogni caso, ribadiamo con fermezza la nostra posizione comune con i comunisti del Donbass e dell’Ucraina: porre fine ai conflitti fratricidi, alle ricadute del fascismo, alla minaccia di una guerra locale che degeneri in una guerra mondiale su larga scala, è possibile solo sulla via del socialismo. La lotta comune dei lavoratori contro la borghesia di tutti i Paesi è la principale linea strategica dei nostri partiti.

Proletari di tutti i Paesi, unitevi!


Tradotto da Red Patriot. Testo originale.

Statement of the Russian Communist Workers Party (Bolshevik) on the Russo-Ukrainian war

On the armed phase of the conflict between the Russian Federation and Ukraine

Statement of the Political Council of the Central Committee of the RKRP-CPSU

In our analysis and conclusions in these specific historical conditions, we rely on the analysis already made in the course of the development of the situation, incl. at a conference with the communists of Donbass, Ukraine, Russia in November 2019 in Lugansk.

Once again, returning to the fact of recognition of the republics of Donbass, we note that although it happened late, much later than it should have, but better late than never. The RCWP not only supported this step from the very beginning of the proclamation of these republics, but also demanded that the bourgeois authorities of the Russian Federation take this step as help in confronting the people’s republics of Donbass against fascist aggression by the Kiev Nazis.

Of course, the goals of the military intervention of the Russian Federation by the authorities and Putin are only declared as humanitarian – saving people from the reprisals of the Nazis. In fact, the source of the conflict is the inter-imperialist contradictions between the US, the EU and Russia, in which Ukraine is drawn. The goal of the most powerful US imperialism in the world is to weaken the Russian competitor and expand its influence in the European market space. Why did they purposefully work to pit not only the authorities, but also the peoples of Russia and Ukraine. To this end, imperialism even went so far as to encourage the revival and use for punitive purposes of ordinary fascism of the Bandera model of 1941-45. The imperialists are fulfilling their tasks – the conflict between the Russian Federation and Ukraine has entered a hot phase, and this suits them perfectly. No wonder the heads of the United States and England have already stated that they are not going to participate in the war with their armed forces. Let parts of the once united Soviet people fight among themselves.

By and large, i.e. from class positions, the Russian authorities, as well as the rulers of the US and the EU, do not care deeply about the working people – and Donbass, and Russia, and Ukraine. We have no doubts that the true aims of the Russian state in this war are quite imperialistic – to strengthen the position of imperialist Russia in world market competition. But, since this struggle today to some extent helps the people of Donbass to repulse Bandera fascism, the communists in this part of it do not deny, but allow and support as much as it is waged against fascism in the Donbass and Ukraine. And they categorically oppose the actions of their government, when, under the cover of the fight against fascism, the issues of expansion and strengthening of Russian imperialism and its allies will be resolved.

As long as Russia’s armed intervention helps save people in the Donbass from reprisals by punishers, we will not oppose this goal. In particular, we consider it acceptable if, due to circumstances, it is necessary to use force against the fascist Kiev regime, insofar as this will be in the interests of the working people.

At the same time, of course, the possibility of the military campaign of assistance to the Donbass from Russia, led by the anti-Soviet Putin, developing into a truly completely predatory war, when, under the pretext of helping the Donbass, the Russian authorities begin to resolve their issues, and the troops simply begin to occupy other regions of Ukraine, is not ruled out. We will regard this as a war of conquest, imperialism, and we will not support either one or the other imperialist. In any case, it will not be the masters who die on both sides, but the workers. To die for brothers in the class is worthy. And to die and kill for the interests of the masters is stupid, criminal and unacceptable.

In any case, we firmly reaffirm our common position with the communists of Donbass and Ukraine: to put an end to fratricidal conflicts, to the relapses of fascism, to the threat of a local war escalating into a full-scale world war, is possible only on the path of socialism. The common struggle of the working people against the bourgeoisie of all countries is the main strategic line of our parties.

Proletarians of all countries – unite!


Translated by Red Patriot from the original.

Il comunista Danil Vershina è morto in battaglia

La sezione regionale di Pskov del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) piange profondamente il giovane comunista, morto durante il servizio militare in Ucraina.

In un giorno di marzo del 2019, un giovane è entrato modestamente nel comitato cittadino di Velikoluksky del Partito Comunista della Federazione Russa e si è rivolto al primo segretario N.A. Chuvaylov:

— “Voglio entrare a far parte del Partito Comunista della Federazione Russa. Ora mi sto laureando alla Velikoluksky State Academy of Physical Culture and Sports. Mi chiamo Danil Sergeevich Vershina, originario della vicina regione di Tver.” Si è diplomato al liceo con il massimo dei voti.

– “Hai pensato bene alla tua scelta? Dopotutto, diventare comunista in questo momento significa assumersi enormi obblighi e rinunciare a molto. Rimandiamo questa conversazione e incontriamoci più in là.”

– “Bene. Ci vediamo!” E un sorriso luminoso illuminò il suo volto.

Due settimane dopo, si fermò di nuovo davanti a Chuvailov con i documenti del partito completati. E il 22 aprile, il compleanno di V.I. Lenin, presso il monumento al leader della rivoluzione proletaria, lo studente Danil Vershina è stato solennemente presentato con una tessera del partito. L’intera natura di Danil era la protesta contro il sistema esistente e allo stesso tempo il grande amore per la sua Patria. Ha studiato le opere di K. Marx, V.I. Lenin, la storia della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre e della Grande Guerra Patriottica, ha cercato di contribuire allo sviluppo del suo paese natale, guidato dalle idee di V.I. Lenin.

– “Il giovane si è distinto per diligenza e determinazione, ha partecipato costantemente agli eventi del partito, ai subbotnik, alle manifestazioni. Comunicare con lui ha sempre lasciato sentimenti elevati,” – ha riferito un membro del Comitato cittadino di Pskov del Partito Comunista E.R. Saidov. – Dopo essersi diplomato al liceo, Danil ha legato la sua vita al servizio militare e si è arruolato nelle forze speciali aviotrasportate. Scelse la via più nobile della vita: servire il suo paese natale e lo percorse degnamente fino alla fine, adempiendo al dovere di difendere la Patria nella lotta contro il nazismo ucraino. Danil non si è nascosto dietro le spalle dei suoi compagni, è diventato un vero eroe e ha scritto il suo nome nella storia della Patria, lasciando un segno breve ma luminoso nei nostri cuori. Il 7 giugno avrebbe compiuto 24 anni.

Oleg Dementiev, corrispondente della “Pravda”. Velikie Luki, regione di Pskov.

Articolo tradotto da Gazeta Pravda

Russia: La vigilia della Grande Guerra

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L’IMPERO

L’Impero russo era retto da una monarchia assoluta e imperatore era lo zar. La tradizione democratica era assente: fino al 1905 il dispotismo zarista soffocava ogni tipo di libertà individuale e collettiva; esistevano però delle assemblee basate sui distretti e sui governatorati, dette zemstva. Create nel 1864 dallo zar Alessandro II, gli zemstva erano eletti a suffragio ristretto, i loro poteri erano limitati alle questioni locali e non potevano convocarsi autonomamente; l’influenza della nobiltà era prevalente, giacché il potere decisionale nelle assemblee era diviso proporzionalmente a seconda degli interessi economici che ciascun membro doveva difendere. Lo zar governava per decreti (gli ukazi) e i ministri erano responsabili unicamente verso di lui, nominandoli egli stesso: il contenuto dei decreti non era discusso in nessuna istituzione e ciò rendeva incontrollabili le decisioni dello zar. Il suo governo era coadiuvato dalla burocrazia, dalla polizia politica, dall’esercito e dalla Chiesa ortodossa: questi erano i pilastri su cui si reggeva il regime.

IL DOMINIO STRANIERO

Le più importanti banche russe erano dipendenti dai capitali stranieri. Complessivamente, i capitali stranieri delle grandi banche di Pietroburgo erano controllate per il 55% da azionisti francesi, il 35% da tedeschi, il 10% da inglesi. Il 60% delle azioni della banca più importante, la Banca russo-asiatica, che dominava il settore petrolifero, quello del tabacco e quello metallurgico, erano di proprietà francese mentre i tedeschi controllavano il commercio estero russo e detenevano un terzo del capitale della Banca internazionale del commercio, che controllava le industrie della meccanica, i cantieri navali, il settore aureo e del carbon fossile e le industrie elettriche. Inoltre, il governo zarista nel 1914 aveva contratto un prestito di 10miliardi di franchi oro dalle banche francesi, con un tasso d’interesse tra il 6 e il 7%.

LA FABBRICA

L’industrializzazione si sviluppò tardi e nel 1914 la produzione, in rapporto alla popolazione, era ancora bassa: lo storico francese Jean Elleinsten, ad esempio, fa notare che la produzione di acciaio è di 4milioni di tonnellate mentre gli USA ne producevano 32milioni, la Germania 16milioni, la Gran Bretagna 9milioni e la Francia poco meno di 6. Unica eccezione era rappresentata dalla produzione di petrolio, di cui occupava il secondo posto nella graduatoria mondiale grazie ai giacimenti petroliferi di Baku.
Lo sviluppo industriale non fu lineare e non avvenne per merito della borghesia nazionale; il profitto estremamente elevato e i bassi costi della manodopera attirarono gli investitori stranieri: l’85% delle miniere, il 50% del settore mettallurgico, un terzo dell’industria tessile, alcune industrie elettriche e chimiche erano in mano alla borghesia occidentale, soprattutto francese e tedesca, i quali erano proprietari rispettivamente del 35% e del 21% dei capitali stranieri investiti.
Esistevano poi dei trust e dei cartelli, che monopolizzavano gran parte della produzione: nel settore metallurgico, ad esempio, il Prodameta gestiva un terzo delle risorse umane dell’intero settore e i tre quarti delle vendite, la società era diretta da grandi banche europee, tra le quali, le più importanti erano quelle francesi e belghe: l’Union parisienne, la Société génerale, il Crédit lyonnais, la Banque de Paris et des Pays-Bas; fondato dalla banca Rothschild di Parigi, il Nobmaz era operativo nell’industria del petrolio e si occupava di quasi della metà dei trasporti, del 15% della produzione e del 75% delle vendite; la Royal Dutch Shell invece controllava il 20% del settore della raffineria.

LE CAMPAGNE

All’arretratezza dell’apparato statale russo corrispondeva un’economia basata essenzialmente su un’agricoltura che non aveva conosciuto, se non in minima parte, lo sviluppo capitalistico ed era organizzata ancora in latifondi: non esagerano alcuni storici quando affermano che «In questa Russia, al pari dei suoi fiumi maestosi, i secoli parevano scorrere più lentamente. Per la maggior parte della nazione, il Medioevo dura ancora. Lutero è ancora nel suo convento e Voltaire, l’amico di Caterina, non è nato. E’ rimasta al XV secolo, per non dire al XIII.» La riforma agraria del ministro Stolypin non intaccò il latifondo di origine nobiliare e, come spesso accade nelle epoche di transizione, il vecchio e il nuovo coesistettero: le sue iniziative nelle campagne incentivarono la concentrazione di capitale nei latifondi più importanti, innescando una trasformazione imprenditoriale degli stessi, vero obiettivo della riforma.
È così che si consolidò il nuovo strato di contadini ricchi, i kulaki. Questi, più usurai che imprenditori, si arricchirono alle spese degli altri contadini, dal momento che possedevano più terre e più mezzi per lavorarle.
Secondo le stime di Lenin, nel 1913 i kulaki rappresentavano l’11,4%, mentre i contadini, operai agricoli e artigiani erano il 70,2%. In media, nel 1914 ogni famiglia contadina disponeva di tre desjatine, quando per soddisfare i loro bisogni necessitavano di una quantità di terra sei volte superiore. Avendo meno terra da coltivare, il loro livello di vita è diminuito: il tasso di mortalità si aggirava fra il 25 e il 30% e alla fame si aggiungevano le epidemie.

LA VITA

Nelle città, nella maggior parte dei casi, le case erano costruite in legno; l’elettricità era assente, le strade non erano lastricate e pochissime possedevano una rete fognaria.
Il nutrimento era in genere modesto: farina di patate, zuppa di cavoli (šči), un po’ di pane e del tè. La carne si mangiava raramente, la domenica nelle regioni più ricche, nella maggior parte dei casi soltanto nei giorni di festa.
Il consumo dell’alcool era aumentato e lo Stato ne aveva il monopolio: il 27% delle entrate statali provenivano dall’imposta sulla vodka.
Anche la situazione sanitaria era disastrosa: nel 1910 si verificarono 185mila casi di colera in tutto l’Impero; 225mila casi di malaria nel governatorato di Samara e 167mila in quello di Saratov; 400mila casi di scabbia nel governatorato di Vjatka.
Oltre alla penuria e all’alcoolismo, un’altra piaga era rappresentata dall’analfabetismo: altissimo anche in città, tra la popolazione rurale toccava cifre del 90%.

CONDIZIONI LAVORATIVE

In Russia coesistevano quindi un mondo rurale arretrato e una importante industria.
Su 170milioni di abitanti, il numero degli operai industriali era molto basso: circa tre milioni, ai quali si devono aggiungere i contadini-operai, cioè coloro che lavoravano sia nei campi che in officina, i ferrovieri e 4milioni di artigiani rurali (i kustari), per un totale di 18milioni di lavoratori salariati.
Molto spesso, le leggi sul lavoro erano assenti o non venivano rispettate: la giornata lavorativa, soltanto sulla carta, era limitata a 10 ore; il divieto del lavoro notturno per donne e ragazzi non era rispettato; le tutele dagli incidenti sul lavoro erano quasi inesistenti. Inoltre, le condizioni di vita, di nutrimento e di igiene permettevano a pochi di raggiungere l’età da pensione, che comunque non era contemplata. I salari erano inferiori rispetto a quelli dell’Europa occidentale e la retribuzione variava a seconda della regione, del sesso e dell’età: a Pietrogrado la media era di 323 rubli all’anno, a Kiev di 191 mentre in molte regioni si continuava ad utilizzare il pagamento in natura (il Truck system). All’aumento del costo della vita, poi, non corrispondeva mai un uguale aumento del salario: se nel 1912 i primi aumentarono del 6,3%, i secondi soltanto dell’1%.

IL SINDACATO

I sindacati rimasero illegali fino al 1906 e anche quando questi furono autorizzati, il governatore della provincia e il sindaco avevano il diritto di scioglierli temporaneamente e il governo di sopprimerli: fra il 1906 e il 1910 furono sciolti 550 sindacati, arrestati 900 operai per “attività illegali” e 400 deportati in Siberia.

LA CULTURA

L’arretratezza culturale russa è esemplificativa delle discriminazioni sociali volute dallo zarismo: all’insegnamento primario avevano accesso 6milioni di studenti (33% dei ragazzi e il 14% delle ragazze) mentre quello secondario contava solamente 206mila studenti; soltanto i figli della nobiltà e della grande borghesia avevano accesso agli studi, dimostrazione secondo la quale, per il governo zarista fosse «necessario allontanare dalle scuole secondarie gli allievi ai quali le condizioni familiari non permettano di giungere al ginnasio e, più oltre, all’università.» La stessa circolare precisava che sarebbe stato anche possibile «eliminare dai ginnasi i figli di cocchieri, di lacché, di cuochi, di lavandaie, di piccoli mercanti e di altre persone della stessa specie», per non «sradicare questi ragazzi dal loro ambiente, con l’esclusione, forse, di qualcuno dotato di capacità eccezionali, e di portarli, come una lunga esperienza ha dimostrato, a disdegnare i loro parenti, ad essere scontenti della loro condizione e a rivoltarsi contro le ineguaglianze sociali che esistono e sono inevitabili per la natura delle cose.»
Le università, che nel 1914 avevano soltanto 36mila studenti, e i ginnasi, erano strettamente controllate dalle autorità (la loro autonomia fu soppressa nel 1884) ed era quasi assente lo studio delle scienze fisiche e naturali; si calcola che le persone che superavano l’insegnamento primario erano pari a 1.500.000, ossia meno dell’1% della popolazione.

CONCLUSIONI

Questo quadro, per certi versi ancora medievale, faceva della Russia una sorta di semicolonia ed è evidente come i capitalisti russi fossero subordinati a quelli stranieri. Ciò spiega anche l’arretratezza delle strutture politiche dell’Impero: la borghesia russa infatti non aveva la forza per modernizzare il sistema di governo e renderlo più adatto allo sviluppo del capitalismo, poiché non possedeva esperienza di governo e anzi dovrà presto fronteggiare il movimento operaio, incrementato di numero in seguito alla proletarizzazione degli strati medi conseguente allo sviluppo dell’industria e nel quale avranno sempre più diffusione le teorie rivoluzionarie che porteranno la borghesia russa ad allearsi con la nobilità. Alla vigilia della Grande Guerra, quindi, la rivoluzione tornò a minacciare il plurisecolare Impero dei Romanov: nel 1912 scioperarono 1milione di lavoratori e l’anno successivo 1milione e 272mila; particolarmente tragica fu la sorte toccata agli operai delle miniere d’oro della Lena, in Siberia, dove la gendarmeria aprì il fuoco nell’aprile del ’12, causando centinaia di morti. Comunque, la rivoluzione del 1905 aveva già dimostrato che lo zarismo era impossibilitato a mantenere il suo assolutismo che durava dal medioevo, e la Grande Guerra accelerò la crisi di potere e della società russa del primo novecento: la borghesia sottomessa, gli operai sfruttati, i contadini senza terra e le decine di nazionalità oppresse, cominciarono a muovere contro lo zarismo causandone, infine, il suo brutale collasso.

Comitato per il Donbass Antinazista

Ukrainian “fact checkers” censor information in the West

We translated this article from Italian because we believe that, even after the case of StopFake.org, too many Ukrainian fact-checking organizations are working for Facebook, to censor negative information about Ukraine in the West.


On April 2, 2022, I posted on Facebook a video showing the woman, corresponding to the Ukrainian blogger “Marianna V.“, who appeared in all the media (pregnant) and described as a “survivor of the Russian bombing of the Mariupol hospital“.

The woman who speaks in Russian in the video (alternative link) says that in reality the story of the aerial bombing was a staged one.

In short, he explains how the hospital was actually occupied by Ukrainian troops and that it was not the subject of any deliberate aerial bombardment. Outside the building, says the woman, a grenade had exploded; this was used as an excuse to organize a show with photographers and cameramen, including an Associated Press employee. The woman clarifies that all this happened against her will, having expressly requested not to be taken back.

The day after publication, probably on the recommendation of some FB user, the preview of the video I posted was obscured with the words “False information – The same false information was checked in another post by fact-checkers. There may be small differences. Independent fact-checkers say that this information has no basis in fact“.

Let’s take a step back: that the woman in question was the blogger is indisputable and no one has ever been able to deny it. Indeed the Western media, on the sole basis of what was stated by the Ukrainian press agencies, claimed after the spread of the video that the woman (to be honest by many newspapers even died after giving birth), had been kidnapped by the Russians and the corollary it was that her statements were therefore not spontaneous.

Having made this necessary premise, no one, I repeat, can question the veracity of the video itself.

Now let’s go back to the dimmed preview. By clicking on the option “See why” I am aware of the fact that the aforementioned independent fact-checkers are actually a Ukrainian site called “Ukrainian.leadstories” which among other things as a motivation for the attribution of the wording “false information” reports a case that is not related to the post.

In a nutshell, this site mentions another Ukrainian girl and the story of the Mariupol theater: I add that the article is also embarrassing because it does not even have third-party sources, but it mentions the government authorities of Mariupol and a pro-govt telegram channel which in any case does not provide multimedia material and no evidence of the facts.

The site in question more specifically refers to a girl (in the image below) who is not the blogger but a completely different person, stating that she did not witness the detonation or the launch of a bomb on a theater in Mariupol on March 16. So reporting a story related to a character who has nothing to do with the blogger Marianna of “my” post, but by assimilation arguing that the video information posted by me, as by many on internet, is false.

And here is how a Tribunal without judges, lawyers or the possibility of appeal, even Ukrainian fact-chekers, who seem to have very little impartiality, in the role of “accusers/censors” issue final judgment by making Facebook declare a real video as false information, implicitly delegitimizing my person as well.


Translated article from L’Antidiplomatico. 5 April 2022.

Alexey Navalny e i nazisti russi

Ripercorriamo insieme le tappe del percorso politico di Alexey Navalny, per i liberali diventato oggi un simbolo della lotta per i diritti e per la democrazia in Russia e nel mondo. Cominceremo da quando era uno degli organizzatori delle marce neonaziste, passeremo per le campagne politiche contro gli immigrati, ai messaggi xenofobi e al supporto delle violenze del movimento anti-immigrazione russo, fra i più feroci al mondo, responsabile di centinaia di omicidi a sfondo razziale.


FONTI

Navalny chiede di far svolgere la Russian March del 2006 https://www.svoboda.org/a/269476.html

Richiesta di espulsione dei georgiani dalla Russia
https://www.theatlantic.com/international/archive/2013/07/is-aleksei-navalny-a-liberal-or-a-nationalist/278186/

Marcia Russa 2010

Marcia Russa 2011

Al Jazeera – Marcia Russa 2011

Euronews – Marcia Russa 2011

Campagna xeonofoba “Stop feeding the Caucasus”

Intervento dal palco di Navalny insieme ai neonazisti

Video razzista caricato sul canale di Narod

Al Jazeera – Raid punitivi contro gli immigrati del 2013

Supporto di Navalny ai raid punitivi

Russia Responds to Anti-Migrant Riots by Arresting Migrants

I commilitoni ubriachi di Vitaly Markiv si vantano di bombardare i civili

L’antenna TV nel video svela che questi sono i commilitoni di Vitaly Markiv, stazionati sul Karachun.

Un video rivela pesanti nuovi elementi contro i suoi commilitoni. Il nazionalista, nel processo che lo ha riguardato e che lo ha visto condannato a 24 anni in primo grado per concorso in omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli (assassinato sotto i bombardamenti delle forze ucraine) e poi assolto in secondo grado, ha sempre dichiarato che le truppe ucraine arroccate sulla collina Karachun non attaccavano mai i civili e che mai attaccavano per primi, sostenendo che da “regole d’ingaggio” potevano solamente rispondere al fuoco dei ribelli. Markiv e i suoi commilitoni non sono famosi per la loro sincerità e questo video ne è la conferma, in quanto contraddice le loro dichiarazioni.

È il 2015, alcuni miliziani della Repubblica Popolare di Donetsk recuperano un video, girato un anno prima, dai dispositivi trovati sul corpo di un soldato ucraino. Il video fece all’epoca molto clamore, nei cinque minuti di ripresa di un momento di riposo delle truppe ucraine, i soldati ubriachi confessano diversi crimini di guerra tra brindisi e risate: “Bombardiamo qualche negozio!” e ancora “Bombardiamo senza coordinate!”, “Slovjansk era una bella città, peccato che sarà rasa al suolo”. Le riprese sono fatte con un cellulare da una posizione intorno alla città di Slavjansk, che nel 2014 è sotto il controllo dei ribelli e non è stata ancora sfollata. I civili sostenevano ampiamente i ribelli, le truppe ucraine infatti temevano che qualsiasi persona fosse un separatista, come dichiarerà lo stesso Markiv, e venivano quindi attaccati dalle truppe filo-governative.

Il nuovo elemento che aggrava la posizione del nazionalista e dei suoi commilitoni è che i soldati che si lasciano andare alle confessioni nel video sono proprio stanziati nella base di Vitaly Markiv. Infatti c’è un dettaglio nel video che è sfuggito ai più: i soldati, come lo stesso Markiv, difendono proprio quella torre televisiva che era situata sul Karachun, la torre che i ribelli volevano colpire per ammutolire la propaganda filo-governativa che veniva diffusa per tutta la regione.

Nel frattempo però il nostro “eroe dell’Ucraina”, a seguito dell’assoluzione in secondo grado nel processo, sembra essere scappato in patria, difeso dal ministro degli interni di estrema destra Arsen Avakov. In attesa del verdetto della cassazione e in vista dei nuovi elementi contro i soldati filo-governativi non è da escludere che il nostro “eroe” non faccia più rientro in Italia, per la gioia di tutti quei personaggi e quelle organizzazioni politiche italiane che si sono spesi per la sua liberazione.

Nazionalisti ucraini al congresso dei Radicali Italiani (1-3 novembre 2019)

Come l’Ucraina vuole influenzare il processo a Vitaly Markiv

I primi di novembre si concluderà il processo di secondo grado sull’assassinio del fotoreporter Andrea Rocchelli, ucciso nel 2014 insieme a Andrei Mironov, un altro giornalista russo, durante la guerra del Donbass nell’Ucraina orientale. Il condannato a 24 anni di carcere in primo grado è un nazionalista e sergente ucraino Vitaly Markiv, accusato di aver concorso nell’omicidio del fotoreporter, il quale sarebbe stato bombardato con l’artiglieria da una base posta sopra una collina presidiata dalle truppe filo-governative.

Dall’assassinio avvenuto il 24 maggio 2014 fino all’arresto dell’ucraino nel luglio 2017, per tre anni, il caso è rimasto lontano dai riflettori della stampa, pochi oltre la famiglia del fotoreporter sembravano occuparsi della vicenda. Solo quando i carabinieri  hanno arrestato Markiv mentre rientrava in Italia per le vacanze, tutta una serie di personaggi e organizzazioni filo-ucraine in Italia e nella stessa Ucraina hanno cominciato ad attivarsi per raccontare la propria verità sul caso.

Procediamo con ordine, partendo dall’imputato. Vitaly Markiv, cittadino italiano (oltre che ucraino) che viveva a Tolentino con la famiglia, ha deciso di arruolarsi volontariamente nella Guardia nazionale dell’Ucraina nel momento stesso in cui il governo ucraino ha dato il via alle azioni repressive nel Donbass contro le rivolte indipendentiste della popolazione locale. Markiv è un frequentatore del Porter Pub di Kiev, un locale neonazista dove vengono esposte celtiche e simboli nazisti delle formazioni militari ucraine di estrema destra. Sui dispositivi che aveva addosso al momento dell’arresto gli sono state ritrovate alcune fotografie che testimoniano crimini di guerra delle truppe filo-governative, come il maltrattamento e l’uccisione di prigionieri, e figurano anche i suoi commilitoni mentre fanno saluti romani sventolando una bandiera nazista.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Fra i primi a muoversi in Ucraina per chiedere la scarcerazione del soldato Markiv ci sono alcune organizzazioni neonaziste, come il gruppo S14, e il “Corpo Nazionale”, ovvero il progetto politico del Battaglione Azov, che organizzano delle proteste di fronte all’ambasciata d’Italia a Kiev. Oltre a loro c’è tutto lo Stato ucraino, con il ministro degli interni Arsen Avakov in prima linea, personaggio noto per aver messo in mano ai neonazisti la gestione di alcuni dipartimenti di polizia, a impegnarsi con una grande campagna nazionale e internazionale per salvare il soldato Markiv dalle grinfie della giustizia italiana.

Militanti neonazisti del gruppo S14 di fronte l’ambasciata d’Italia a Kiev

Le acque in Italia hanno cominciato a smuoversi intorno al 2019, quando, dopo la sentenza di condanna emessa dalla corte di Assise di Pavia nei confronti di Markiv, un gruppo di giornalisti a cui fa capo Cristiano Tinazzi, non accettando il verdetto, decide di produrre un documentario chiamato “The Wrong Place”.

Dichiarandosi assolutamente super partes, il gruppo si prefigge – sulla carta – l’obiettivo di ricostruire l’assassinio di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov da un punto di vista indipendente. Il titolo non avrà molto successo, l’allusione palese al fatto che quei giornalisti si trovassero nel posto sbagliato, ovvero a documentare una guerra, si è rivoltata subito contro la stessa produzione, scatenando le ire sia della famiglia Rocchelli, sia della nipote del giornalista russo ucciso. Il titolo è stato cambiato da qualche giorno in “Crossfire”, fuoco incrociato.

Passiamo al regista: Tinazzi è stato candidato nel 1999 nelle liste del Fronte Nazionale, partito neofascista di Adriano Tilgher. Negli anni successivi le frequentazioni neofasciste o ambigue sembrano essere andate avanti, come testimoniano le interviste fatte alla band ZetaZeroAlfa o la collaborazione col giornale Rinascita.

20 anni fa frequentava ambienti di estrema destra, ora nel suo documentario lo ritroviamo in un poligono di tiro della Guardia nazionale dell’Ucraina, una formazione militare nella quale sono persino integrate formazioni neonaziste come il Battaglione Azov. E che ci fa Tinazzi in un poligono di tiro insieme al corpo militare accusato di aver assassinato Rocchelli? Da quello che si nota dal trailer del documentario, starebbe producendo le “prove” che dimostrerebbero che dalla collina dove erano asserragliate le truppe filo-governative non era possibile vedere né colpire con armi da fuoco il gruppo di giornalisti. 

Non mi soffermerò molto sulle obiezioni dal punto di vista tecnico, che tra l’altro ne sono già state sollevate abbastanza sui test compiuti nel documentario. A ogni modo, secondo le ricostruzioni della sentenza di primo grado confermate dal procuratore generale in Corte d’assise d’appello, l’assassinio sarebbe avvenuto per mezzo dei mortai e non si capisce quindi per quale ragione si facciano test balistici con armi da fuoco. Inoltre è lo stesso ministro degli esteri Avakov a dichiarare che, dalla collina dove erano posizionate le truppe filo-governative, i loro cecchini avevano “ripulito” la zona intorno alle carrozze del treno, luogo dove è avvenuto l’omicidio di Rocchelli, ed è perciò certificato che dalla collina era possibile colpire a quella distanza persino con armi da fuoco, oltre che con i mortai. 

Sarà sempre Avakov a dichiarare che un gruppo di giornalisti si è rivolto a lui per occuparsi del caso Rocchelli, e che gli fornirà tutta l’assistenza necessaria. Nel documentario, gli autori non hanno mancato di ringraziare la guardia nazionale Ucraina per la collaborazione, però solo nella versione ucraina, nella versione italiana il ringraziamento è stato curiosamente rimosso. Un documentario, come dire, veramente indipendente e che non ha nulla da nascondere.

Ringraziamento alla Guardia nazionale d’Ucraina e a Hromadske Tv nei titoli di coda del documentario

Tra gli altri collaboratori del progetto c’è Olga Tokariuk, una giornalista ucraina che gira molto per l’Italia, che ha lavorato anche per Hromadske Tv, anch’esso inserito fra i ringraziamenti del documentario, un giornale online ucraino schierato sulla linea filo-governativa che vanta anche qualche piccolo scandalo, come l’aver tagliato l’intervista in diretta a Tanya Lokshina, membro di Human Rights Watch, perché si rifiutava di accusare la Russia per i morti civili nel conflitto del Donbass.

La Tokariuk, durante una presentazione del documentario afferma: “Nel nostro team italo-ucraino non abbiamo divergenze ideologiche […] Tinazzi sa molto bene che i separatisti sono criminali, che commettevano crimini nel Donbass […] lui sa bene chi è l’agressore in Ucraina e chi è la vittima”. Quindi pare di trovarsi di fronte, più che a un gruppo di giornalisti a caccia della verità, a una task-force coesa dal punto di vista ideologico che cerca di avvalorare la tesi secondo cui i separatisti sono criminali e sui quali bisogna far ricadere la colpa dell’assassinio per scagionare il nazionalista ucraino. 

Markiv è un esempio di dignità per me”, dice la Tokariuk durante le fasi del processo nel 2018, “tiene la testa alta nonostante le assurde accuse”. Il documentario non era ancora stato girato e già aveva preso una posizione netta, curioso modo di approcciare la vicenda da un punto di vista indipendente.

Un altro collaboratore del documentario è il giornalista Danilo Elia, che si è occupato delle vicende ucraine sin da Euromaidan da una posizione velatamente filo-golpista. Risulta chiaro negli articoli dove, in una certa maniera, cerca di “umanizzare” le formazioni estremiste ucraine, come quando si fece una birra con i neonazisti di Pravy Sektor, mentre non esita a descrivere i ribelli come “uomini armati che scorrazzano per le strade […] Rubano, bevono, sparano. Terrorizzano la popolazione”. La Tokariuk lo ha detto, nessuna divergenza ideologica nel team.

Militanti neonazisti di Pravy Sektor

A livello internazionale arriva supporto e riconoscimento al progetto da diversi singoli e organizzazioni. Leggendo la lista dei patrocinanti si nota la Open Dialogue Foundation, una ONG che ha base in Polonia e che opera anche in Ucraina. Nel 2013 supportò Euromaidan e tutt’ora supporta apertamente l’esercito ucraino.

Post della Open Dialogue Foundation per il Giorno del difensore dell’Ucraina

Abbiamo poi la fondazione Justice for Journalists, che ha assegnato 40.000 euro per la produzione del documentario, una ONG fondata dell’ex oligarca russo Mikhail Khodorkovsky, ora milionario, che vive a Londra. Proprio quel milionario che durante Euromaidan incitava la folla per un’Ucraina democratica, la stessa Ucraina che qualche mese dopo avvierà una guerra civile in Europa, bombardando la propria popolazione con l’aviazione.

Tra i sostenitori in Italia del progetto ci sono soprattutto i Radicali Italiani di Emma Bonino, che dietro la condanna di Vitaly Markiv vedono il “condizionamento del regime russo sulla politica e sulla società italiana”. Lo scorso anno un gruppo di nazionalisti ucraini si è iscritto al partito grazie a questa convergenza di vedute. Tra questi c’è Oles Horodetskyy, la stessa persona che venne espulsa dall’aula durante il processo perché da dietro l’avvocato ucraino per tre volte suggeriva le risposte ai commilitoni di Markiv chiamati a testimoniare. Tra parentesi, si contraddiranno molteplici volte.

Si uniscono all’operazione “Salvate il soldato Markiv”, promuovendo sui social il documentario, anche altre organizzazioni, non strettamente collegate con la produzione. Per esempio c’è Fabio Prevedello, presidente dell’Associazione Europea Italia-Ucraina Maidan, che definisceamico” Cristiano Tinazzi e “amica” Olga Tokariuk. Questa associazione nel 2019 è finita in uno scandalo nella provincia di Reggio Emilia, che gli è valso l’allontanamento dai progetti culturali dell’Istituto antifascista Alcide Cervi. Cosa avevano fatto? L’organizzazione di Prevedello, oltre a raccogliere fondi e comprare equipaggiamento da inviare ai battaglioni filo-governativi, era stata scoperta a vendere nei propri banchetti, qui in Italia, libri e gadget riconducibili ai neonazisti di Pravy Sektor.

A sinistra, magliette e gadget di Pravy Sektor e i libri di Stepan Bandera. A destra, raccolta fondi per l’esercito.

E ancora, a fare fuoco di supporto mediatico per il documentario, arriva anche l’organizzazione ucraina StopFake.org, che lavora a stretto giro con Facebook ed esegue il fact-checking per gli articoli caricati dagli utenti sul social network. Questa organizzazione è finita in uno scandalo internazionale nel momento in cui una giornalista, Katerina Sergatskova, tutt’altro che orientata verso il mondo russo, ha deciso di compiere un’indagine sui vertici dell’organizzazione, rivelando un torbido intreccio di conoscenze tra StopFake e l’area neonazista ucraina. Una volta pubblica la sua inchiesta, la giornalista è stata minacciata di morte da una folla di utenti di estrema destra che l’accusavano di essere un agente del Cremlino e che hanno poi diffuso online l’indirizzo, foto di casa, e persino la foto del figlio 5 anni. Katerina a quel punto è stata così costretta a fuggire dal Paese. 

La filiale italiana di StopFake è gestita da Mauro Voerzio, un reporter di guerra che viene ospitato volentieri dai Radicali Italiani. Come si può osservare dal materiale da lui rilasciato, ha dato copertura mediatica alle operazioni del gruppo neonazista S14, e ricondivide la candidatura degli esponenti politici del Battaglione Azov. Senza sorprese, ovviamente sul caso Markiv è perfettamente allineato con le argomentazioni del team “privo di divergenze ideologiche.

Oles Horodetskyy, il suggeritore espulso dall’aula di cui parlavamo prima, è il presidente dell’Associazione cristiana degli ucraini in Italia e membro del comitato nazionale dei Radicali Italiani. Sempre presente dentro e fuori le aule del tribunale, ha organizzato presidi insieme a gruppi della comunità ucraina per manifestare il loro dissenso per l’arresto di Markiv. Oles è fra quelli che più si sta spendendo per promuovere questo documentario, ed è la persona che sembra avere contatti con Anton Gerashchenko, il consigliere del ministro Avakov, che partecipa anche alle presentazioni del documentario sia in Italia, con i Radicali Italiani, sia in Ucraina. Quindi, una delle parti in causa sponsorizza il “documentario indipendente”, ennesimo aspetto curioso di questa vicenda.

A sinistra Horodetskyy e Tinazzi. A destra Horodetskyy e Gerashchenko.

Oles Horodetskyy, Mauro Voerzio e Fabio Prevedello, che si conoscevano da Euromaidan quando organizzavano o partecipavano ai presidi di supporto dall’Italia, continueranno a incontrarsi agli eventi dei Radicali Italiani o durante il processo a Vitaly Markiv.

A sinistra, Oles Horodetskyy e Mauro Voerzio. A destra, Oles Horodetskyy e Fabio Prevedello.

Stando a quanto scritto e riportato, credo si possa con molta difficoltà parlare di questo documentario come un progetto indipendente e super partes. Diversi autori, le organizzazioni che gravitano loro intorno e quelle che gli danno supporto mediatico, sembrerebbero essere già schierati dalla parte dell’imputato e della guardia nazionale, per non parlare dei contatti che alcuni di questi hanno con lo Stato ucraino. Non ci sono i requisiti minimi per poter condurre una ricerca della verità, ammesso che ve ne sia un’altra rispetto a quella emersa dalla precisa ricostruzione esposta nella sentenza di primo grado e ribadita dalla procura generale e dalle parti civili in corte di assise di Appello.

Articolo di Valerio Gentili per Contropiano del 30/10/2020.

“The Wrong Place” è un film sbagliato

The Wrong Place è un documentario che indaga sull’uccisione di Andrea Rocchelli e di Andrej Mironov, due giornalisti per la cui morte è stato arrestato un militare ucraino con cittadinanza italiana, Vitaly Markiv, già volontario della famigerata Guardia Nazionale. L’uccisione dei due reporter è avvenuta nel 2014 nel corso della guerra del Donbass. Il documentario è stato realizzato da Cristiano Tinazzi con il supporto di Danilo Elia, Ruben Lagattola e Olga Tokariuk.

Locandina di The Wrong Place

Parlare di questo documentario è assai difficile, per una serie di ragioni, la prima tra tutte è che non si capisce quale sia il documentario. Finora sono circolati diversi estratti utilizzati a fini propagandistici – cioè per raccogliere fondi, il progetto conta su un crowdfunding – e per animare il dibattito politico.

Perplessità ci sono sull’uso politico di questo “documentario”, sembrerebbe che serva non tanto a informare quanto a condizionare le scelte della corte chiamata a giudicare Markiv. Se ciò venisse fatto con un serio lavoro d’inchiesta sarebbe una cosa utile e buona, ma da quel che si è visto del documentario, sembra che si punti a creare confusione per dire che non ci siano gli elementi per esprimere un giudizio. 

Tanto gli autori, quanto il partito dei Radicali Italiani e i nazionalisti ucraini in Italia, che stanno sponsorizzando il documentario, dicono di battersi per ricercare la verità, eppure nei tre anni trascorsi tra il duplice omicidio e l’arresto di Markiv non si erano impegnati in ciò. La campagna sul caso sembrerebbe essere stata attivata solo per liberare Markiv e garantire la non persecuzione dei soldati ucraini che, secondo la sentenza di primo grado, quel giorno uccisero Rocchelli e Mironov. Quello che non si tollera a Kiev non è tanto che un loro soldato sia imprigionato, quanto il fatto che si sia riconosciuto ufficialmente che le formazioni militari ucraine – sia l’esercito che le altre milizie come la Guardia Nazionale – abbiano commesso dei crimini. Ciò per l’Ucraina è una minaccia serissima, in quanto apre le porte a ulteriori indagini sui crimini che ha compiuto in questi sei anni di guerra.

Passaporto di Andrea Rocchelli

Il posto sbagliato?

La tesi del documentario è che i giornalisti uccisi si siano trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Questa affermazione è tanto inopportuna quanto grave, quei giornalisti erano nel posto giusto nel momento giusto, stavano facendo coraggiosamente il proprio lavoro di testimonianza. Stavano documentando i crimini commessi dall’esercito ucraino e per chiudergli la bocca sono stati uccisi.

Ora, che qualcuno provi a dire il contrario potrebbe essere semplicemente archiviato tra le miserie del giornalismo nostrano, però il documentario si inserisce in una mastodontica campagna internazionale promossa dal Governo ucraino e che in Italia trova sponda nel partito dei Radicali Italiani.

Nazionalisti ucraini al congresso dei Radicali Italiani (1-3 novembre 2019)

I Radicali Italiani e gli ultra-nazionalisti

L’imputato Markiv è un ultra-nazionalista, uno che frequenta pub neonazisti in Ucraina e sul cui telefono, una volta arrestato, sono state trovate foto dei suoi commilitoni con svastiche e braccia tese. Era arruolato nella famigerata Guardia Nazionale ucraina, un corpo composto anche da neonazisti.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Ad alcuni può sembrare assurdo questo accostamento, eppure non è la prima volta che i Radicali Italiani collaborano con ultra-nazionalisti, è già successo negli anni ’90 durante la guerra in Jugoslavia.

Marco Pannella in divisa militare dei fascisti ustascia croati durante la guerra in Jugoslavia

Cristiano Tinazzi e l’indipendenza del documentario

A meno di omonimie, il regista del documentario Cristiano Tinazzi sembrerebbe essere stato giornalista della rivista di estrema destra Rinascita, nonché candidato alle elezioni amministrative del 1999 con il Fronte Nazionale, partito fondato da Adriano Tilgher, l’ex dirigente di Avanguardia Nazionale, movimento neofascista protagonista di alcune delle pagine più oscure della storia repubblicana. Questi elementi di sicuro non bastano a ipotizzare una sorta di “Soccorso nero internazionale”, ma aiutano a inquadrare i termini della vicenda.

Il documentario viene spacciato per “indipendente” ma ha goduto del supporto, quantomeno tecnico, della Guardia Nazionale ucraina, il corpo paramilitare a cui apparteneva Markiv. Non può essere considerata indipendente una indagine svolta con il supporto di una delle parti in causa.

Sarebbe molto interessante avere qualche informazione anche su chi abbia contribuito economicamente al documentario, questo si poggiava su un crowdfunding che ha apportato ingenti risorse.

Il documentario sintetizza molto sommariamente dei concetti e delle ricerche svolte dagli autori, quindi non si capisce bene quale sia il metodo di lavoro e quanto siano affidabili le prove. A questo livello di sintesi è difficile sollevare delle obiezioni tecniche, in quanto, alcuni necessari passaggi potrebbero essere stati omessi nel video e sarebbe opportuno che gli autori fornissero una relazione tecnica scritta su cui poter fare le obiezioni.

Prove balistiche con la Guardia nazionale in The Wrong Place

Le prove tecniche

Dal punto di vista tecnico il video può essere sintetizzato in due tesi messe in piedi per scagionare Markiv: dalle postazioni ucraine non si vedeva il bersaglio e le armi di Markiv non erano in grado di colpire alla distanza a cui si trovavano le vittime. Entrambe le tesi sono assolutamente inconsistenti.

Per sostenere la tesi che dalle postazioni ucraine era impossibile vedere il bersaglio gli autori hanno fatto una dettagliata ricostruzione cartografica, omettendo però di inserirvi la torre di un ripetitore radio alta diverse decine di metri che svettava al centro del caposaldo degli ucraini e dalla cui sommità verosimilmente riuscivano a vedere benissimo il luogo del delitto.

Per sostenere la tesi che l’arma di Markiv non fosse in grado di colpire a quella distanza sono state fatte delle ridicole prove balistiche (gli aspetti più grotteschi sono descritti in calce). Premesso che a differenza da quanto sostenuto nel documentario le armi dei fanti ucraini a quella distanza possono uccidere, va ricordato che le vittime furono assassinate con colpi di artiglieria sparati intenzionalmente contro di loro e non a colpi di fucile. Infatti, l’accusa non è di aver sparato ai giornalisti, cosa che comunque non è possibile escludere, ma di aver partecipato attivamente ad un’azione criminale finalizzata all’uccisione di civili.

Il documentario non sembrerebbe cercare la verità, ma solo generare confusione per arrivare ad un’assoluzione per mancanza di prove. Non si può negare che il processo abbia assunto degli aspetti politici, oltretutto è giusto così: ha rotto il silenzio sui crimini delle autorità ucraine. Tuttavia, sono state proprio le istituzioni ucraine – e compagnia – a caricare ulteriormente di valenza politica il caso, a montare una enorme campagna che passa anche per gesti molto inopportuni, come la presenza in aula il ministro degli Interni dell’Ucraina, Arsen Avakov, noto per i suoi contatti con gli ambienti neonazisti ucraini. A questo punto si è costruito un caso politico-mediatico e non si può pretendere di poter tornare indietro.

Nota tecnica sul documentario

Come prima cosa bisogna ricordare che le vittime sono state uccise con colpi di mortaio sparati da una postazione ucraina e che gli vennero sparati anche numerosi colpi di fucile e mitragliatrice. A Markiv viene contestato di aver partecipato attivamente all’azione finalizzata all’uccisione di civili e non necessariamente di aver premuto il grilletto dell’arma che li ha colpiti.

Il documentario sostiene che la postazione di Markiv fosse troppo lontana per riuscire a centrare un bersaglio con un AK-74. Ciò è parzialmente vero, a quella distanza quell’arma può tranquillamente uccidere, però è molto difficile centrare il bersaglio: anche con una buona ottica si tratta di una distanza estremamente elevata per riuscire a colpire una persona. Ma dato che i soldati ucraini si trovavano dentro delle trincee e che non avevano problemi di munizioni, è plausibile che si siano messi a sparare in una direzione un gran quantitativo di colpi, sperando che qualcuno colpisse il bersaglio. Il video non fa un buon servigio a Markiv quando dice che le vittime non erano visibili in quanto coperte dalla vegetazione: è assolutamente vietato sparare a bersagli che non si vedono, il tiro indiscriminato è un reato.

Vista della ferrovia con un’ottica dalla collina in The Wrong Place

Viene fatta una minuziosa ricostruzione del terreno per dimostrare che dalla posizione degli ucraini (non solo da quella di Markiv) fosse impossibile vedere le vittime che si trovavano in un fosso. Inoltre, la visuale era parzialmente ostruita da un treno usato a mo’ di barricata. Non si dispone di elementi per mettere in discussione la bontà della ricostruzione cartografica, ma si può tranquillamente dire che l’uso che se ne fa si basa su una premessa assurda. Come si evince dalle immagini, le posizioni ucraine si trovavano su di una collina sulla quale spicca un’altissima torre radio (verosimilmente un ripetitore televisivo). Dalla cima della torre si possono certamente osservare tutte le posizioni ribelli fino alle retrovie. Pare inverosimile che gli ucraini non avessero sfruttato quel prezioso punto di osservazione posizionandoci almeno un soldato e/o una telecamera. Quindi, quando si parla di visuale, andrebbe presa in considerazione l’esistenza della torre. Ovviamente gli ucraini non ammetteranno mai di averla usata (anche se è inverosimile che non lo abbiano fatto) in quanto non stanno cooperando con le indagini.

Collina Karachun e traliccio in The Wrong Place

La ricostruzione cartografica mette in luce che ci fosse una differenza di quota tra le posizioni ucraine e le vittime. Sebbene si tratti di una ricostruzione molto puntigliosa, si omette di dire quale sia questa differenza di quota (da contro-inchieste giornalistiche sembrerebbe una novantina di metri). Non si tratta di un dettaglio trascurabile, perché ciò influisce sulle gittate e quindi potrebbe allargare lo spettro delle possibili armi utilizzabili. Un esempio può aiutare a capire: si ha un sasso pesante, lo si riesce a tirare fino a 10 metri di distanza. Ora, mettiamo di tirare lo stesso sasso da sopra un palazzo, questo riuscirà ad arrivare ben oltre i 10 metri di distanza sul terreno. Questa banale osservazione vale per qualsiasi oggetto che viene lanciato, anche per i proiettili: una piccola differenza di quota aumenta la gittata delle armi.

Bisogna però capire dove si trovasse Markiv il giorno del fatto. Da quanto si evince nel documentario, quella sulla collina dovrebbe essere una sorta di base da cui dipendono diverse posizioni, come fortificazioni o trincee. Nel documentario si dice che Markiv si trovava in una delle postazioni più lontana dalle vittime, a 1860 metri, e per dimostrarlo si fa vedere un video girato con il telefonino di Markiv. Il video in questione però è di giugno, cioè diversi giorni dopo il fatto e di norma i soldati di una base non stanno mai nella stessa posizione, c’è una rotazione costante: per questa ragione durante le indagini sono stati anche richiesti i verbali sulle rotazioni, mai fornite da parte ucraina. Il 24 maggio, Markiv si sarebbe potuto anche trovare in una postazione più vicina. In conclusione il video girato con il telefonino non dimostra nulla ad eccezione del fatto che Markiv si trovasse effettivamente su quella collina.

Foto di Markiv sulla collina nel giorno dell’uccisione di Rocchelli

Si deve anche confutare la tesi – sostenuta nel documentario – che le armi individuali presenti nella posizione di Markiv non fossero in grado di colpire le vittime. Per sostenere questa assurda tesi (confutata anche dalle specifiche tecniche fornite dai produttori delle armi) gli autori svolgono delle prove balistiche, effettuate in un poligono della Guardia Nazionale dell’Ucraina, che verosimilmente mette anche a disposizione le armi. Si tratta cioè del corpo a cui appartiene Markiv, che quindi non ha alcun interesse a dimostrarne la colpevolezza. Nelle prove si sostiene che un tiratore non sia in grado di colpire un bersaglio da quella distanza. Ma se armi e munizioni sono fornite dalla Guardia Nazionale, la prova perde di credibilità: basterebbe che questi abbiano fornito armi o munizioni inadeguate per centrare i bersagli e/o con sufficiente forza. Basterebbe cioè aver dato armi con la canna consumata, queste perdono di precisione e di “forza”: il proiettile va lontano e va preciso per una serie di forze che agiscono su di lui, le principali, tolta la forza di gravità e l’attrito, sono la spinta data dalla carica e la rotazione data dalla rigatura della canna. La rigatura della canna è fondamentale, questa fa ruotare il proiettile lungo il proprio asse, lo fa essere stabile e andar lontano. Se la canna è consumata, o sabotata, il proiettile non va lontano e non andrà mai preciso. Discorso analogo vale per le munizioni. Se viene fornita una munizione sabotata, il colpo non andrà lontano e/o preciso.  

Detto ciò, al poligono si fa la prova di colpire la sagoma di un’automobile posta a 1,5 km e lo si fa con 3 armi: AK-74 (fucile d’assalto), PKM (mitragliatrice) e Dragunov (fucile di precisione). Verosimilmente quelle sono le armi di cui disponeva la squadra di Markiv, ma potrebbero aver anche avuto armi di posizione come AGS o razzi, e pare difficile che non ci fosse neanche un Utyos, con il quale si può distruggere un’automobile da quella distanza.

Anche se le armi e munizioni fossero buone, la prova è assolutamente inficiata dalla scelta della posizione di tiro: il tetto di un camion fuoristrada. Va detto che in zone pianeggianti (come quella in cui si trova il poligono usato per la prova) è buona norma sparare da posizioni sopraelevate, in questo modo i proiettili hanno necessariamente una traiettoria orientata verso il basso e andranno ad impattare il terreno senza vagare incontrollati per la pianura; ma per fare ciò, soprattutto in casi di tiri a distanza elevata, si usano delle altane, cioè delle delle stabili piattaforme e non il tetto di un veicolo. Quello che si vede nel video è un camion fuoristrada, con un profilo e con delle sospensioni molto alte, cioè un qualcosa che oscilla a ogni minima sollecitazione. Per capire di cosa si parli, basti fare una prova: guardare come si muove un bus ogni volta che sale un passeggero. Si tratta di un piccolo movimento, a volte quasi impercettibile, ma un movimento che c’è e che è amplificato sul tetto del veicolo (per via del braccio della leva). Si tratta di movimenti nell’ordine dei centimetri, che di sicuro non danno problemi quando si spara a breve distanza, ma che impediscono di colpire un bersaglio a lunga distanza. Sparando a 1,5 km lo spostamento di un solo centimetro della base di appoggio si traduce in un errore di circa 24 metri. Le oscillazioni del camion ci possono essere anche solo per il vento o a causa degli spostamenti degli altri passeggeri: nel video si vede chiaramente che sul tetto del camion non c’è solo l’operatore che spara, ma anche altre persone e non è dato sapere se ce ne fossero ulteriori all’interno del camion.

Anche nell’ipotesi che il tiratore cercasse davvero di fare centro, che avesse le competenze per farlo, che gli strumenti (armi e munizioni) fossero perfettamente funzionanti, da quella postazione di tiro traballante è assolutamente improbabile centrare un bersaglio a quella distanza. Quindi, chi cerca di dimostrare qualcosa facendo una prova del genere potrebbe essere incompetente o in malafede. 

Va anche detto che lascia molto perplessi il fatto che durante le prove di tiro gli operatori usassero dei guanti, per poter sparare a quelle distanze serve avere tutta la sensibilità possibile quantomeno sul dito indice. Infatti spesso i guanti militari hanno l’indice che si può scoprire.

Andando nel dettaglio delle varie armi usate nel test, ci sono riserve su ognuna di esse. Nella prova con l’AK-74 riescono a colpire la sagoma posta a 1,5 km: un buon risultato, non banale (con quell’arma si tratta di un colpo molto difficile, verosimilmente imputabile al caso). Però dicono che il proiettile non abbia la forza per passare un pezzo di compensato di quelli usati per trasportare la frutta. Se il proiettile non ha oltrepassato il bersaglio è sicuramente perché c’era qualcosa che non andava nell’arma e/o nella munizione. Se qualcuno non fosse persuaso di ciò si potrebbe invitare ad una controprova: farlo posizionare dietro un compensato posto a 1,5 km di distanza rispetto ad uno che tira con una buona arma e buone munizioni.

Prove balistiche col supporto della Guardia Nazionale in The Wrong Place

Nella prova con la mitragliatrice PKM si vedono dei dettagli che sollevano molte perplessità. In primo luogo il rinculo di quell’arma avrà sicuramente fatto muovere il tetto del camion rendendo quasi impossibile colpire il bersaglio. Secondo, sebbene si veda una scena in cui l’arma spara in automatico – cioè come deve sparare – ce n’è un’altra in cui viene caricata una cinta che ha una cartuccia sì e una no. Ciò è sicuramente fatto per poter sparare con l’arma in una sorta di “funzione manuale”, cioè per sparare solo un colpo per volta. Quindi non si capisce se con la mitragliatrice abbiano sparato colpi singoli o raffica, ma in ogni caso non si può verosimilmente colpire il bersaglio in quelle condizioni: se hanno sparato a raffica il camion traballava, se hanno sparato colpi singoli devono aver utilizzato il mirino, che a quelle distanze è molto difficile da adoperare su quell’arma. Nella mitragliatrice il mirino è comodo per bersagli fissi e/o a breve distanza, in tutti gli altri casi è più facile usare i colpi traccianti. Di norma la PKM è armata con cinghie in cui sono messe serie da 5 colpi: 4 normali e un tracciante. Il tracciante è un proiettile che lascia dietro di sé una scia di fuoco e fumo, serve a vedere dove vanno i colpi e quindi a indirizzare i successivi. Questa cosa funziona bene solo sparando a raffica, la scia dei colpi indica in che direzione orientare il fuoco. La scia di un 7,62×54 – la cartuccia usata dalla PKM – non dovrebbe arrivare a 1,5 km, ma di sicuro con i traccianti si può capire dove sono diretti i colpi e correggere il tiro fino a centrare il bersaglio. Per riuscire a colpire il bersaglio avrebbero dovuto posizionare la mitragliatrice su un supporto stabile e utilizzarla in automatico con l’uso di colpi traccianti. Se l’operatore che utilizza la mitragliatrice è un soldato ben addestrato, da una buona postazione di tiro, con buone condizioni meteo e di visibilità, con una buona arma e munizioni, senza condizioni di particolare stress a 1,5 km con una PKM se non colpisce un’automobile ferma, allora ha un problema.

Prova balistica con Dragunov in The Wrong Place

Infine, è stata effettuata una prova con un Dragunov e anche in questo caso non è stato colpito il bersaglio. Se con un Dragunov un tiratore scelto non colpisce un’automobile ferma a 1,5 km il problema che ha è molto serio. Tuttavia anche in questo caso c’è da tenere in conto il rischio di sabotaggio, cioè non è detto che l’operatore mancasse intenzionalmente il bersaglio o che non avesse le competenze per colpirlo (anche se si tratta di qualcuno che ha accettato di tirare a quella distanza da una piattaforma traballante), bisogna cioè ricordarsi che l’arma è stata fornita dalla Guardia Nazionale. Oltre a esserci l’evenienza di avere la canna o le munizioni fallate, potrebbe anche essere che gli organi di mira – quindi, in questo specifico caso, una mira telescopica – non fossero correttamente tarati. Per starare una mira telescopica basta girare una vitarella, discorso analogo vale per gli altri mirini. Se chi ha sparato con il Dragunov a 1,5 km – cioè un colpo difficile, a lunga distanza – non ha provato l’arma anche con molti colpi a distanza crescente, non può sapere se l’ottica sia stata correttamente tarata. 

In definitiva, le prove al poligono sono sicuramente viziate dalla posizione di tiro e potrebbero essere viziate dalla bontà delle armi e/o munizioni, in quanto danno delle risultanze inverosimili.

Articolo di Alberto Fazolo per Contropiano del 18/10/2020.

StopFake ha contatti coi nazisti e fa il fact-checking per conto di Facebook

Katerina Sergatskova è una giornalista ucraina che quest’estate è stata costretta a fuggire dal proprio paese, minacciata di morte, perché aveva condotto un’inchiesta sui contatti tra l’estrema destra e l’organizzazione StopFake.org, la quale è partner di Facebook per il fact-checking. Nelle stanze segrete dei bottoni del social network, dove si decide quale pagina oscurare o a quale sito limitare la diffusione dei contenuti, potrebbero esserci le persone meno adatte per quel ruolo. Non riguarda solo l’Ucraina, StopFake ha anche una filiale italiana. Pensiamo quindi che ai nostri lettori possa interessare questa notizia passata in sordina nel nostro Paese. Riportiamo l’articolo della Sergatskova, che l’ha costretta alla fuga, pubblicato su Zaborona, tradotto in italiano con l’aiuto di Dmitri Kovalevich. In fondo faremo un breve report sulla situazione in Italia e sulla reazione della stessa StopFake a questa vicenda.

Facebook blocca le critiche ai neonazisti – si è scoperto che i “verificatori” ucraini del social network sono loro amici intimi.

Traduzione dell’articolo di Katerina Sergatskova e Samuil Proskuryakov per Zaborona del 3/7/2020.

Inizio 2020, Facebook decide di collaborare con due organizzazioni ucraine per contrastare fake news e disinformazione – oltre a VoxCheck, il social network opta per StopFake – un progetto su internet che denuncia la propaganda russa dal 2014. Questa decisione appare quantomeno ambigua, poiché i membri di StopFake hanno rapporti di amicizia con noti personaggi dell’estrema destra ucraina, compresi alcuni condannati per omicidio. Un giornalista di Zaborona, Samuil Proskuryakov, spiega perché l’impiego di StopFake per il fact-checking potrebbe ipoteticamente essere un problema.

Questa storia inizia il 2 giugno, quando Zaborona pubblica un articolo su Denis Nikitin, un ultras russo di una squadra di calcio, fondatore di un famoso marchio di estrema destra, White Rex, e uno dei principali neonazisti in Europa, che ha vissuto in Ucraina negli ultimi anni.

In serata è stato fatto un post sulla nostra pagina Facebook ufficiale con il link all’articolo, il quale è stato apprezzato dai lettori di Zaborona – è stato attivamente discusso e ripubblicato. Tuttavia, a 18 ore dalla pubblicazione, il post è scomparso dalla pagina, il nostro moderatore è stato bannato e la monetizzazione della nostra pagina pubblica è stata limitata. Non sapevamo cosa stesse succedendo, ma volevamo scoprirlo e ripristinare il post. Quindi alcuni dei nostri lettori hanno cominciato a sospettare che dietro questa manovra ci fosse il nuovo partner di fack-checking di Facebook in Ucraina: il progetto online StopFake. E sebbene il social network in seguito abbia spiegato che il post è stato cancellato per errore e lo ha ripristinato il giorno successivo, abbiamo scoperto molte cose interessanti.

Foto dei post della pagina Facebook di Zaborona

Cos’è StopFake?

Questo progetto è stato creato nel 2014 da studenti e insegnanti della Kyiv-Mohyla School of Journalism. StopFake si prefige il compito di scoprire fake news e gode della fiducia di molti dei principali media occidentali. Nel 2016, il progetto è stato incluso nell’elenco del Financial Times “New Europe 100”, un elenco di persone e organizzazioni che si impegnano per cambiare la società in meglio. Gli sponsor di StopFake [NdT: solo nel 2019 hanno ricevuto in totale circa 474.045 euro] includono il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Ceca, l’Ambasciata britannica in Ucraina, il National Endowment for Democracy finanziato dagli Stati Uniti e la International Renaissance Foundation [NdT: fondata dal “filantropo” George Soros].

Il 27 marzo 2020, StopFake è diventato membro del programma di fack-checking di Facebook, in questo modo aiuterebbe il social network nella lotta contro fake news e disinformazione. Funziona più o meno in questo modo: se un loro attivista contrassegna un’informazione come una fake news, ne riduce la diffusione del post e riduce al minimo il numero di visualizzazioni. Dopo aver taggato un post, Facebook avverte le persone che lo vedono, o che vogliono condividerlo, che le informazioni non sono accurate. Inoltre, le pagine e i siti che producono regolarmente fake news perdono la capacità di monetizzare i contenuti e inserire annunci.

Marko Suprun di StopFake e la lista finanziatori del progetto

StopFake e l’estrema destra

Il comunicato stampa di Facebook, in cui veniva ufficializzata la collaborazione con le organizzazioni partner ucraine, veniva rilanciato su Twitter dal giornalista Christopher Miller della statunitense BuzzFeed, sottolineando che la lotta alla disinformazione è buona, ma solo in teoria. Secondo lui, la partecipazione di StopFake al processo di fact-checking dovrebbe essere motivo di preoccupazione. “Yevhen Fedchenko di StopFake [NdT: uno dei fondatori e redattore capo del progetto, direttore della Kyiv-Mohyla School of Journalism] si oppone alla libertà di stampa e alla libertà di informazione di coloro che criticano il governo [NdT: ucraino] o che non usano la lingua che piace a lui”, ha detto Miller.

Yevhen Fedchenko ha sostenuto pubblicamente alcune figure di estrema destra. Ad esempio, nel 2018, ha criticato “Hromadske TV” per il post sulla detenzione da parte dei membri [nazisti] del gruppo S14 di un miliziano brasiliano, Rafael Lusvargi, che ha combattuto a fianco dei separatisti nel Donbass. Hromadske ha definito il gruppo “neonazista”, motivo per cui il S14 ha intentato una causa “in difesa dell’onore, della dignità e della reputazione”. Nell’agosto 2019, il tribunale ha accolto la causa del gruppo di estrema destra.

Fedchenko ha dichiarato su Twitter che uno dei “neo-nazisti”, Oleksandr Voitko, che ha arrestato Lusvargi, era un veterano della guerra nel Donbass, un giornalista di Canale 5, laureato e insegnante presso la Kyiv-Mohyla School of Journalism. Il corrispondente del quotidiano francese Le Figaro, Stefan Sioan, ha risposto che Fedchenko stava cercando di ammorbidire l’immagine del S14 solo perché il suo collega Voitko era un membro dell’organizzazione.

Ci sono stati anche altri casi. Nel 2016 sono stati pubblicati sul sito web Myrotvorets (“Il Pacificatore”) i dati di oltre quattromila giornalisti accreditati dalla “Repubblica Popolare di Lugansk” e della “Repubblica Popolare di Doneck”. Myrotvorets è un progetto nato nel 2014 per contrastare i separatisti e i loro sostenitori. Uno dei fondatori del progetto fu l’allora consigliere e ora viceministro degli interni ucraino Anton Gerashchenko. La pubblicazione di questi giornalisti, inclusi i rappresentanti dei principali media mondiali (ad esempio Associated Press, AFP, Al Jazeera), ha scatenato uno scandalo internazionale. Dopotutto, il sito ha pubblicato non solo nomi e cognomi, ma anche telefoni cellulari, indirizzi e-mail e alcuni dati del passaporto. Molti giornalisti hanno ricevuto minacce a causa della “collaborazione con i terroristi”, sebbene l’accreditamento nelle repubbliche non riconosciute sia un passo necessario per giornalisti e reporter che vogliono coprire ciò che stia accadendo lì.

Nel conflitto menzionato, Fedchenko si è schierato con Myrotvorets. Ha affermato che la responsabilità della pubblicazione dei dati ricade esclusivamente sui media stessi. “Prima che i giornalisti pubblicassero le informazioni sulla fuga di notizie, nessuno sapeva del sito web di Myrotvorets”, ha detto Fedchenko, aggiungendo che lo scandalo sembrava “insignificante e senza importanza, solo gonfiato da molti giornalisti”.

Tweet di Christopher Miller e Yevhen Fedchenko

Christopher Miller ha anche scritto che il Regno Unito avrebbe tagliato i fondi per StopFake” a causa delle preoccupazioni circa la capacità di verificare fatti e commenti pubblici da parte di un co-fondatore di Fedchenko, che attacca i giornalisti e la libertà di stampa”.

Zaborona ha parzialmente confutato queste informazioni: Il servizio stampa dell’Ambasciata britannica in Ucraina ci ha detto di aver sostenuto StopFake dal 2015 al 2018, e che sono “orgogliosi dei risultati che ha ottenuto finora”. Cambiare i partner del progetto da un anno all’altro è una pratica comune: StopFake, secondo il servizio stampa, ha svolto il suo lavoro come pianificato ed è venuta meno la necessità del suo supporto, anche se l’ambasciata collabora con l’organizzazione in altre aree.
Gli esperti di StopFake continuano a lavorare con il Progetto di alfabetizzazione mediatica “Study and Distinguish”, implementato dall’International Research and Exchanges Board (IREX) con il supporto delle ambasciate britannica e statunitense in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e della Scienza dell’Ucraina. Il Regno Unito sostiene attività e programmi contro la disinformazione volti a sviluppare l’alfabetizzazione mediatica in Ucraina e in tutta la regione, ha affermato il servizio stampa.

Marko Suprun e i “fratelli”

Il volto principale di StopFake è Marko Suprun, marito dell’ex Ministro della Sanità Ulyana Suprun. La versione inglese del canale Youtube del progetto è costituita quasi interamente da video con la sua partecipazione. Suprun analizza le fake news russe, in particolare quelle sul fascismo “dilagante” in Ucraina. Ma lo stesso Marko Suprun si trova spesso in compagnia di personaggi di estrema destra.

Nel settembre 2017 Suprun è stato invitato a un evento del Congresso Nazionalista della Gioventù. Lì ha raccontato cosa lo ha spinto a trasferirsi dal Canada all’Ucraina e di come “sbarazzarsi del complesso di inferiorità”.

Due uomini paffuti erano sul palco accanto a Marko. Il primo è il fondatore del famoso marchio di abbigliamento di estrema destra SvaStone e il leader della band musicale di estrema destra Sokyra Peruna, Arseniy Bilodub. Il secondo è il frontman del gruppo rock “Komu Vnyz” Andriy Sereda, che una volta ha detto che lui, Marko Suprun e Bilodub sono diventati “fratelli” attraverso il rituale cosacco della “fratellanza”, che prevede il salasso. Pertanto, sul sito “Komu Vnyz” i tre partecipanti dell’incontro sono indicati come “fratelli”.

Arseniy Bilodub sulla sinistra, Andriy Sereda al centro (notare la croce celtica tatuata sulla mano) e Marko Suprun sulla destra

I “Sokyra Peruna” sono una delle band più popolari negli ambienti di estrema destra. La loro canzone “Six Million Words of Lies” nega l’Olocausto. La traccia “August 17” è dedicata al giorno della morte del nazista Rudolf Hess. Nel 2018, Zaborona ha realizzato un reportage fotografico del concerto per l’anniversario di “Sokyra Peruna” dove si notano bandiere naziste e una svastica. Secondo questo rapporto, la polizia ha aperto un procedimento penale. Abbiamo usato le foto di quel concerto per l’inchiesta su un neo-nazista, Denis Nikitin, e il nostro post su questa inchiesta è stato rimosso da Facebook dalla pagina Zaborona qualche tempo dopo la pubblicazione sul social.

Gli stessi membri di “Sokyra Peruna” definiscono la loro musica come Rock White Power. Questo filone musicale promuove il razzismo, l’antisemitismo e l’omofobia attraverso testi e scenografia. Secondo gli esperti della Commissione australiana sui diritti umani, è uno strumento importante del movimento neonazista internazionale per generare introiti e reclutare nuovi sostenitori.

Andriy Sereda a un evento del partito di estrema destra Svoboda

L’ex batterista dei “Sokyra Peruna”, Dmitry Volkov, una volta venne condannato per aver partecipato al pogrom della sinagoga di Brodsky a Kiev. Ai concerti della band partecipò nel 2017 un cittadino russo, Alexander Skachkov, che è stato recentemente arrestato dai servizi speciali ucraini perché promuoveva le idee del terrorista australiano Brenton Tarrant.

In un’intervista, Andriy Sereda, il frontman dei Komu Vnyz, ha ammesso di considerarsi un “antisemita selettivo“. Alla celebrazione del 20° anniversario della festa di estrema destra Svoboda nel 2011, questo musicista ha detto che la terra ucraina era la “madre della razza ariana”. Ha concluso il suo discorso con un gesto molto simile a un saluto nazista. Ha un tatuaggio sulla mano, una croce celtica, che viene utilizzato dagli skinhead, razzisti e neonazisti per indicare la superiorità della razza bianca. Questo simbolo compare anche nelle foto dalla sala prove della band.

Arseniy Bilodub e Andriy Sereda sono i “patriarchi” della scena musicale dell’estrema destra ucraina. “Sokyra Peruna” e “Komu Vnyz” sono amici di lunga data, si sono esibiti in numerosi festival “patriottici” e concerti con altre band di destra, inclusa la band black metal russa “M8L8TH“. Il nome sta per “Martello di Hitler”, dove la sostituzione della lettera “o” nel nome con il numero “8” si riferisce allo slogan neonazista “Heil Hitler!” (La lettera “H” è l’ottava dell’alfabeto latino).

Il giornalista di Bellingcat Michael Callborn è stato uno dei primi a mettere in luce i legami di Marko Suprun con noti personaggi di estrema destra. Crede che si debba chiedere al management di Facebook perché il loro partner “comunica con i neonazisti”.

Marko Suprun e S14

Il 23 gennaio 2020, è apparsa una foto sulla pagina Instagram dei Sokyra Peruna, scattata durante la proiezione del film ucraino “Nashi Kotyky”. Marko Suprun è accompagnato non solo da Arseniy Bilodub, ma anche di Diana Vinogradova (Kamlyuk). All’inizio degli anni 2000 Kamlyuk e un gruppo di suoi amici hanno aggredito un cittadino nigeriano, lo hanno preso a calci e la sua amica ha pugnalato l’uomo nigeriano con un coltello. Il nigeriano è morto per le ferite riportate. Alla domanda sui motivi dell’aggressione , L’amica di Diana ha risposto: “Non mi piacciono i negri.” Kamlyuk è stata condannata a 4,5 anni di carcere. Dietro le sbarre, ha scritto poesie per Sokyra Peruna, e quando è stata scarcerata, ha recitato una poesia antisemita durante il Maidan a Kiev [NdT: le manifestazioni di Euromaidan nel 2013-2014].

Insieme a Marko Suprun, nella foto c’è Oleksandr Voitko, uno dei leader del gruppo di estrema destra S14. Nel 2018, il S14 ha disperso gli insediamenti rom a Lysa Hora a Kiev, bruciando le loro tende e le loro cose. In un video pubblicato pochi giorni dopo da LB.ua, gli estremisti di destra lanciavano pietre contro i rom e li ricoprivano di gas lacrimogeni, spingendoli per strada.

Ci sono anche molti membri del S14 coinvolti in casi di reati gravi. In particolare, Andriy Medvedko e Denys Polishchuk sono accusati di aver ucciso Oles Buzyna, ex redattore capo del quotidiano Segodnya e scrittore filo-russo. Entrambi i sospettati del “caso Buzyna” sono stati rilasciati; Polishchuk è stato rilasciato su cauzione di 5 milioni di grivne.

Nel novembre 2017, il Terrorism Research & Analysis Consortium TRAC, che studia il terrorismo e la violenza politica, ha pubblicato un articolo sul S14, ma esso non è stato incluso nell’elenco dei gruppi terroristici, anche se si è interessato all’organizzazione.

Marko Suprun insieme alla nazista Diana Vynogradova-Kamluk

Marko Suprun e Pravyj Sektor

Marko Suprun è stato a lungo amico di Dmytro Savchenko, un portavoce del partito di estrema destra Pravyj Sektor (Settore Destro). Quest’ultimo è anche il fondatore della casa editrice “Iron Father”, dove l’ideologo del “nazional-anarchismo cristiano” Dmytro Korchynsky pubblica le sue opere. Ci sono anche un mucchio di foto con i simboli del “Carpathian Sich”, sulla pagina Facebook di Iron Father, un gruppo aggressivo di estrema destra i cui membri attaccano le persone LGBT, le femministe e le persone con disabilità mentali.

Nel febbraio 2018, Suprun e Savchenko hanno celebrato insieme il 30° anniversario della band “Komu Vnyz” a Kiev, a cui ha partecipato anche Dmytro Korchynsky. Un anno dopo, Dmytro Savchenko e Arseniy Bilodub sono apparsi davanti al tribunale amministrativo distrettuale di Kiev, dove doveva essere preso in considerazione il caso della rimozione del ministro ad interim della Sanità Ulyana Suprun. Savchenko ha scattato una foto insieme a Marko e Bilodub.

Dmytro Savchenko ha scontato 10 anni per aver compiuto un atto terroristico: ha piazzato una bomba al mercato Troieschyna a Kiev, uccidendo un uomo. È stato rilasciato insieme ad altri “prigionieri politici” nel 2014 [NdT: dopo EuroMaidan], ma non gli è stata concessa l’amnistia. Non ha ammesso la sua colpa.

Dmytro Savchenko alla presentazione di un libro su Mussolini

Cosa dicono gli esperti

Con chi Marko Suprun è amico sono affari suoi. È un’altra questione se questo influisce sul suo lavoro in StopFake, un progetto giornalistico che dovrebbe essere il più obiettivo e imparziale possibile.

Il ricercatore sui movimenti di estrema destra Anton Shekhovtsov, osserva che negli ultimi anni StopFake è diventato “politicizzato”. Il giornalista di BuzzFeed Christopher Miller non ha dubbi sul fatto che i contatti con l’ambiente di estrema destra influenzino le posizioni di Yevhen Fedchenko e Marko Suprun sulla copertura da parte di StopFake.

Dice Miller a Zaborona:

Il co-fondatore di StopFake, Yevhen Fedchenko, considera le critiche ai gruppi di estrema destra da parte di giornalisti internazionali e ucraini come ‘notizie false’ e ‘echi della propaganda russa’. Il ruolo di Suprun in StopFake, quando Poroshenko era al potere e sua moglie fungeva da ministro della salute, può anche essere visto come un conflitto di interessi, poiché il progetto aderiva alla posizione del governo su tutte le questioni.

In particolare, StopFake ha risposto alla notizia di Strana.ua sulla formazione municipale di Kiev “Guardia municipale”, secondo la quale “l’estrema destra controllerà i documenti nel trasporto di Kiev” durante la quarantena, con una pubblicazione altrettanto dubbia, che ripercorre il tentativo di ammorbidire l’immagine della Guardia Municipale. StopFake ha smentito l’accusa di “Strana.ua” su una serie di persecuzioni contro i rom da parte della Guardia Municipale di Kiev. Nella pubblicazione di “Strana.ua” il giornale ha solo scritto degli attacchi ai rom in termini generali e ha fatto riferimento al commento del capo della polizia di pattuglia Yuri Zozulia: «Non possiamo lavorare con persone che professano odio razziale».

Conclude Vyacheslav Likhachev, ricercatore sull’estrema destra e coordinatore del National Minorities Monitoring Group:

La capacità di controllare la ‘visibilità’ dei contenuti è una grande tentazione e forti simpatie personali e politiche possono essere motivo di abuso. Ad esempio, perché non contrassegnare come falso (per motivi di amicizia) un post, che ricorda che Diana Vinogradova (Kamlyuk) è stata condannata per complicità in un omicidio razzista, se lei stessa afferma che si trattava di “persecuzione politica”? Perché non aiutare Dmytro Savchenko a mostrare meno notizie sui suoi dieci anni di prigione, compiuti dopo un tentativo fallito di avviare una “guerra razziale sacra” a Troyeschina, durante la quale è morto un addetto alle pulizie?

└ Fine della traduzione dell’articolo


La risposta di StopFake

Qualche giorno dopo è arrivata la risposta di StopFake, con la quale si respinge ogni accusa, sostenendo che se i responsabili di StopFake sono stati fotografati di fianco – in molte diverse occasioni, aggiungeremmo noi – a estremisti di destra, ciò non provi nulla sulla fede politica degli attivisti. I giornalisti di Zaborona vengono appellati quindi come aggressivi, non professionali, e vengono tacciati di essere parte di un attacco coordinato dai media gestiti da Mosca.

StopFake in Italia e Mauro Voerzio

Anche la filiale italiana di StopFake rilascia un comunicato sull’argomento, ne riportiamo degli estratti:

Da alcune settimane il progetto StopFake è sotto attacco mediatico. L’uso della consueta narrativa ucraini=nazisti ha rivelato da subito che si trattava di una azione di guerra ibrida e non di un campagna diffamatoria a bassa intensità. Altro elemento che evidenziava lo shit storm in arrivo è che non si è attaccato il progetto ma le persone che lo compongono, nella fattispecie il direttore del progetto Evghen Fedchenko e Marko Suprun (marito dell’ex ministro della salute). E’ chiaro che quando si attaccano le persone a livello personale, significa che non è possibile attaccare la bontà del progetto. Si cerca quindi di discreditarne gli autori perché così facendo si discredita di conseguenza anche tutto il progetto.

L’attacco è stato coordinato, partito dall’interno (Ucraina), come nelle migliori tradizioni del reflexive control, e supportato da attori esterni quali Russia, USA, ma anche l’immancabile Italia con Fulvio Scaglione.

L’attacco frontale (e con gran dispiego di mezzi) arriva poche settimane dopo che StopFake è stato riconosciuto da Facebook come uno dei 54 partner internazionali per la lotta contro le fakenews, piattaforma social su cui sappiamo circolare la maggior parte della disinformazione mondiale.

Probabilmente questo attacco è un messaggio a coloro che avrebbero voluto supportare finanziariamente il nostro progetto, ovvero “guarda che il tuo nome sarà associato ai Nazisti!!“, o a quelle forze politiche che stanno cominciando ad interessarsi di disinformazione.

Nonostante questo, per gli agenti della disinformazione russa in Italia rimaniamo dei nazisti come le facce rosse e rubiconde che affollavano l’aula di Pavia.

Siamo tutti dotati di libero arbitrio, sta a noi scegliere da che parte stare.

Il responsabile di StopFake in Italia è il reporter di guerra e monitor presso la missione europea EUMM in Georgia, Mauro Voerzio.

Mauro Voerzio, responsabile di StopFake in Italia

Nell’estate del 2015, in piena guerra del Donbass, Mauro Voerzio aveva lanciato il “Progetto JEEP“, una raccolta fondi per comprare appunto una jeep carica di rifornimenti da inviare al battaglione neonazista S14 che era impiegato nel conflitto. Stando ai dati pubblici reperibili sui social network, Voerzio ricondivide i manifesti per la candidatura politica di un membro dell’organizzazione politica di estrema destra ucraina Svoboda. Nella descrizione del post si tiene a specificare che l’uomo ha militato nel gruppo neonazista S14 (la stessa pagina del battaglione ricondivide un intervento, durante un loro evento, del neonazista Andriy Sereda di cui parla la Sergatskova). Voerzio, inoltre, rilancia fotografie di persone che sfoggiano l’abbigliamento di estrema destra SvaStone, foto dei veterani collaborazionisti massacratori di ebrei durante seconda guerra mondiale, e foto dei militanti del “Corpo Nazionale”, l’organizzazione politica dei neonazisti del Battaglione Azov, i quali sono accusati di crimini di guerra e tortura dal report OSCE del 2016. Tutte tematiche già evidenziate dalla Sergatskova nel suo articolo su StopFake in Ucraina.

Mauro Voerzio ricondivide Svoboda (a sinistra), i veterani collaborazionisti (in basso), SvaStone (a destra) e Battaglione Azov (in alto a destra)

Voerzio ha collaborato e spesso anche con l’Associazione Europea Italia-Ucraina Maidan di Fabio Prevedello, la quale è stata allontanata nel 2019 dai progetti culturali di Casa Cervi, tramite un comunicato dell’Istituto Alcide Cervi in cui si ribadisce che la discriminante irrinunciabile per partecipare alle attività della struttura è l’antifascismo.

Istituto Alcide Cervi allontana da Casa Cervi l’Associazione Italia-Ucraina Maidan nel 2019

Tornando al comunicato, StopFake Italia allude anche alla possibile compromissione dei rapporti con alcuni possibili nuovi finanziatori del progetto, a causa dell’inchiesta della Sergatskova. Voerzio si riferisce ai rapporti da poco instaurati con Lia Quartapelle del Partito Democratico, partito con il quale aveva già cominciato a collaborare ai tempi di Euromaidan nel 2013-2014, con Gianni Pittella e successivamente con Matteo Cazzulani.

Salvate il soldato Markiv

Nell’ultima parte del comunicato, StopFake accenna a un’aula di Pavia. Il riferimento è al processo in corso in Italia al soldato ucraino Vitaly Markiv, condannato in primo grado a 24 anni di carcere per concorso di colpa in omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli, che stava documentando le sofferenze della popolazione nella guerra del Donbass nel 2014.

Tra gli aspetti più controversi del soldato Markiv, a parte la frequentazione di locali nazisti carpita dalle intercettazioni ambientali, a parte un piano di evasione scoperto dalla polizia carceraria che gli è valso il trasferimento nel carcere di Opera, spiccano le foto trovate dalla polizia nel suo cellulare: prigionieri incappucciati e con catene al collo, chiusi nel portabagagli di un’auto, prigionieri incappucciati e gettati in quelle che sembrerebbero fosse comuni, e poi ancora bandiere naziste insieme a saluti romani e tanti sorrisi dei suoi commilitoni.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Markiv, che è difeso dall’avvocato Raffaele Della Valle, ha l’appoggio di Emma Bonino e dei Radicali Italiani, motivo per il quale qualche esponente nazionalista della comunità ucraina – sempre conoscente di Voerzio – si è tesserato nel partito per ringraziare i sinceri democratici dell’aiuto. Oltre a questi, infine, Markiv gode del supporto di StopFake e di Mauro Voerzio, che si sono schierati sin dall’inizio per la sua completa innocenza.

Oles Horodetskyy si tessera nei Radicali Italiani. In mano ha la bandiera dei nazionalisti ucraini di Stepan Bandera, rossa e nera.

Anche in patria rivogliono indietro il soldato Markiv, sono stati infatti diversi i sit-in organizzati dai nazisti ucraini di S14 o dal Battaglione Azov sotto l’Ambasciata d’Italia in Kiev per chiedere il suo rilascio in questi anni di custodia cautelare in attesa della conclusione del processo.

Estremisti di destra manifestano per Markiv di fronte l’ambasciata italiana a Kiev, 24 luglio 2017

Conclusioni

L’articolo della Sergatskova riporta evidenze sui contatti tra alcuni attivisti di spicco di StopFake e i nazisti ucraini che non possono certamente essere ignorate se parliamo di un’organizzazione che collabora con il più grande social network del mondo. Quanto alla situazione italiana, anche noi ci siamo limitati a riportare dati pubblici, che abbiamo salvato e resi consultabili su Internet Archive.

Auguriamo a Katerina di poter tornare quanto prima a casa sua e in sicurezza, anche se ci rendiamo conto che in Ucraina attualmente è quasi impossibile fare informazione imparziale, se non garantendosi minacce, aggressioni o peggio, dalle bande naziste fuori controllo o istituzionalizzate nel paese partorito dal colpo di stato di Euromaidan.