Come l’Ucraina vuole influenzare il processo a Vitaly Markiv

I primi di novembre si concluderà il processo di secondo grado sull’assassinio del fotoreporter Andrea Rocchelli, ucciso nel 2014 insieme a Andrei Mironov, un altro giornalista russo, durante la guerra del Donbass nell’Ucraina orientale. Il condannato a 24 anni di carcere in primo grado è un nazionalista e sergente ucraino Vitaly Markiv, accusato di aver concorso nell’omicidio del fotoreporter, il quale sarebbe stato bombardato con l’artiglieria da una base posta sopra una collina presidiata dalle truppe filo-governative.

Dall’assassinio avvenuto il 24 maggio 2014 fino all’arresto dell’ucraino nel luglio 2017, per tre anni, il caso è rimasto lontano dai riflettori della stampa, pochi oltre la famiglia del fotoreporter sembravano occuparsi della vicenda. Solo quando i carabinieri  hanno arrestato Markiv mentre rientrava in Italia per le vacanze, tutta una serie di personaggi e organizzazioni filo-ucraine in Italia e nella stessa Ucraina hanno cominciato ad attivarsi per raccontare la propria verità sul caso.

Procediamo con ordine, partendo dall’imputato. Vitaly Markiv, cittadino italiano (oltre che ucraino) che viveva a Tolentino con la famiglia, ha deciso di arruolarsi volontariamente nella Guardia nazionale dell’Ucraina nel momento stesso in cui il governo ucraino ha dato il via alle azioni repressive nel Donbass contro le rivolte indipendentiste della popolazione locale. Markiv è un frequentatore del Porter Pub di Kiev, un locale neonazista dove vengono esposte celtiche e simboli nazisti delle formazioni militari ucraine di estrema destra. Sui dispositivi che aveva addosso al momento dell’arresto gli sono state ritrovate alcune fotografie che testimoniano crimini di guerra delle truppe filo-governative, come il maltrattamento e l’uccisione di prigionieri, e figurano anche i suoi commilitoni mentre fanno saluti romani sventolando una bandiera nazista.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Fra i primi a muoversi in Ucraina per chiedere la scarcerazione del soldato Markiv ci sono alcune organizzazioni neonaziste, come il gruppo S14, e il “Corpo Nazionale”, ovvero il progetto politico del Battaglione Azov, che organizzano delle proteste di fronte all’ambasciata d’Italia a Kiev. Oltre a loro c’è tutto lo Stato ucraino, con il ministro degli interni Arsen Avakov in prima linea, personaggio noto per aver messo in mano ai neonazisti la gestione di alcuni dipartimenti di polizia, a impegnarsi con una grande campagna nazionale e internazionale per salvare il soldato Markiv dalle grinfie della giustizia italiana.

Militanti neonazisti del gruppo S14 di fronte l’ambasciata d’Italia a Kiev

Le acque in Italia hanno cominciato a smuoversi intorno al 2019, quando, dopo la sentenza di condanna emessa dalla corte di Assise di Pavia nei confronti di Markiv, un gruppo di giornalisti a cui fa capo Cristiano Tinazzi, non accettando il verdetto, decide di produrre un documentario chiamato “The Wrong Place”.

Dichiarandosi assolutamente super partes, il gruppo si prefigge – sulla carta – l’obiettivo di ricostruire l’assassinio di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov da un punto di vista indipendente. Il titolo non avrà molto successo, l’allusione palese al fatto che quei giornalisti si trovassero nel posto sbagliato, ovvero a documentare una guerra, si è rivoltata subito contro la stessa produzione, scatenando le ire sia della famiglia Rocchelli, sia della nipote del giornalista russo ucciso. Il titolo è stato cambiato da qualche giorno in “Crossfire”, fuoco incrociato.

Passiamo al regista: Tinazzi è stato candidato nel 1999 nelle liste del Fronte Nazionale, partito neofascista di Adriano Tilgher. Negli anni successivi le frequentazioni neofasciste o ambigue sembrano essere andate avanti, come testimoniano le interviste fatte alla band ZetaZeroAlfa o la collaborazione col giornale Rinascita.

20 anni fa frequentava ambienti di estrema destra, ora nel suo documentario lo ritroviamo in un poligono di tiro della Guardia nazionale dell’Ucraina, una formazione militare nella quale sono persino integrate formazioni neonaziste come il Battaglione Azov. E che ci fa Tinazzi in un poligono di tiro insieme al corpo militare accusato di aver assassinato Rocchelli? Da quello che si nota dal trailer del documentario, starebbe producendo le “prove” che dimostrerebbero che dalla collina dove erano asserragliate le truppe filo-governative non era possibile vedere né colpire con armi da fuoco il gruppo di giornalisti. 

Non mi soffermerò molto sulle obiezioni dal punto di vista tecnico, che tra l’altro ne sono già state sollevate abbastanza sui test compiuti nel documentario. A ogni modo, secondo le ricostruzioni della sentenza di primo grado confermate dal procuratore generale in Corte d’assise d’appello, l’assassinio sarebbe avvenuto per mezzo dei mortai e non si capisce quindi per quale ragione si facciano test balistici con armi da fuoco. Inoltre è lo stesso ministro degli esteri Avakov a dichiarare che, dalla collina dove erano posizionate le truppe filo-governative, i loro cecchini avevano “ripulito” la zona intorno alle carrozze del treno, luogo dove è avvenuto l’omicidio di Rocchelli, ed è perciò certificato che dalla collina era possibile colpire a quella distanza persino con armi da fuoco, oltre che con i mortai. 

Sarà sempre Avakov a dichiarare che un gruppo di giornalisti si è rivolto a lui per occuparsi del caso Rocchelli, e che gli fornirà tutta l’assistenza necessaria. Nel documentario, gli autori non hanno mancato di ringraziare la guardia nazionale Ucraina per la collaborazione, però solo nella versione ucraina, nella versione italiana il ringraziamento è stato curiosamente rimosso. Un documentario, come dire, veramente indipendente e che non ha nulla da nascondere.

Ringraziamento alla Guardia nazionale d’Ucraina e a Hromadske Tv nei titoli di coda del documentario

Tra gli altri collaboratori del progetto c’è Olga Tokariuk, una giornalista ucraina che gira molto per l’Italia, che ha lavorato anche per Hromadske Tv, anch’esso inserito fra i ringraziamenti del documentario, un giornale online ucraino schierato sulla linea filo-governativa che vanta anche qualche piccolo scandalo, come l’aver tagliato l’intervista in diretta a Tanya Lokshina, membro di Human Rights Watch, perché si rifiutava di accusare la Russia per i morti civili nel conflitto del Donbass.

La Tokariuk, durante una presentazione del documentario afferma: “Nel nostro team italo-ucraino non abbiamo divergenze ideologiche […] Tinazzi sa molto bene che i separatisti sono criminali, che commettevano crimini nel Donbass […] lui sa bene chi è l’agressore in Ucraina e chi è la vittima”. Quindi pare di trovarsi di fronte, più che a un gruppo di giornalisti a caccia della verità, a una task-force coesa dal punto di vista ideologico che cerca di avvalorare la tesi secondo cui i separatisti sono criminali e sui quali bisogna far ricadere la colpa dell’assassinio per scagionare il nazionalista ucraino. 

Markiv è un esempio di dignità per me”, dice la Tokariuk durante le fasi del processo nel 2018, “tiene la testa alta nonostante le assurde accuse”. Il documentario non era ancora stato girato e già aveva preso una posizione netta, curioso modo di approcciare la vicenda da un punto di vista indipendente.

Un altro collaboratore del documentario è il giornalista Danilo Elia, che si è occupato delle vicende ucraine sin da Euromaidan da una posizione velatamente filo-golpista. Risulta chiaro negli articoli dove, in una certa maniera, cerca di “umanizzare” le formazioni estremiste ucraine, come quando si fece una birra con i neonazisti di Pravy Sektor, mentre non esita a descrivere i ribelli come “uomini armati che scorrazzano per le strade […] Rubano, bevono, sparano. Terrorizzano la popolazione”. La Tokariuk lo ha detto, nessuna divergenza ideologica nel team.

Militanti neonazisti di Pravy Sektor

A livello internazionale arriva supporto e riconoscimento al progetto da diversi singoli e organizzazioni. Leggendo la lista dei patrocinanti si nota la Open Dialogue Foundation, una ONG che ha base in Polonia e che opera anche in Ucraina. Nel 2013 supportò Euromaidan e tutt’ora supporta apertamente l’esercito ucraino.

Post della Open Dialogue Foundation per il Giorno del difensore dell’Ucraina

Abbiamo poi la fondazione Justice for Journalists, che ha assegnato 40.000 euro per la produzione del documentario, una ONG fondata dell’ex oligarca russo Mikhail Khodorkovsky, ora milionario, che vive a Londra. Proprio quel milionario che durante Euromaidan incitava la folla per un’Ucraina democratica, la stessa Ucraina che qualche mese dopo avvierà una guerra civile in Europa, bombardando la propria popolazione con l’aviazione.

Tra i sostenitori in Italia del progetto ci sono soprattutto i Radicali Italiani di Emma Bonino, che dietro la condanna di Vitaly Markiv vedono il “condizionamento del regime russo sulla politica e sulla società italiana”. Lo scorso anno un gruppo di nazionalisti ucraini si è iscritto al partito grazie a questa convergenza di vedute. Tra questi c’è Oles Horodetskyy, la stessa persona che venne espulsa dall’aula durante il processo perché da dietro l’avvocato ucraino per tre volte suggeriva le risposte ai commilitoni di Markiv chiamati a testimoniare. Tra parentesi, si contraddiranno molteplici volte.

Si uniscono all’operazione “Salvate il soldato Markiv”, promuovendo sui social il documentario, anche altre organizzazioni, non strettamente collegate con la produzione. Per esempio c’è Fabio Prevedello, presidente dell’Associazione Europea Italia-Ucraina Maidan, che definisceamico” Cristiano Tinazzi e “amica” Olga Tokariuk. Questa associazione nel 2019 è finita in uno scandalo nella provincia di Reggio Emilia, che gli è valso l’allontanamento dai progetti culturali dell’Istituto antifascista Alcide Cervi. Cosa avevano fatto? L’organizzazione di Prevedello, oltre a raccogliere fondi e comprare equipaggiamento da inviare ai battaglioni filo-governativi, era stata scoperta a vendere nei propri banchetti, qui in Italia, libri e gadget riconducibili ai neonazisti di Pravy Sektor.

A sinistra, magliette e gadget di Pravy Sektor e i libri di Stepan Bandera. A destra, raccolta fondi per l’esercito.

E ancora, a fare fuoco di supporto mediatico per il documentario, arriva anche l’organizzazione ucraina StopFake.org, che lavora a stretto giro con Facebook ed esegue il fact-checking per gli articoli caricati dagli utenti sul social network. Questa organizzazione è finita in uno scandalo internazionale nel momento in cui una giornalista, Katerina Sergatskova, tutt’altro che orientata verso il mondo russo, ha deciso di compiere un’indagine sui vertici dell’organizzazione, rivelando un torbido intreccio di conoscenze tra StopFake e l’area neonazista ucraina. Una volta pubblica la sua inchiesta, la giornalista è stata minacciata di morte da una folla di utenti di estrema destra che l’accusavano di essere un agente del Cremlino e che hanno poi diffuso online l’indirizzo, foto di casa, e persino la foto del figlio 5 anni. Katerina a quel punto è stata così costretta a fuggire dal Paese. 

La filiale italiana di StopFake è gestita da Mauro Voerzio, un reporter di guerra che viene ospitato volentieri dai Radicali Italiani. Come si può osservare dal materiale da lui rilasciato, ha dato copertura mediatica alle operazioni del gruppo neonazista S14, e ricondivide la candidatura degli esponenti politici del Battaglione Azov. Senza sorprese, ovviamente sul caso Markiv è perfettamente allineato con le argomentazioni del team “privo di divergenze ideologiche.

Oles Horodetskyy, il suggeritore espulso dall’aula di cui parlavamo prima, è il presidente dell’Associazione cristiana degli ucraini in Italia e membro del comitato nazionale dei Radicali Italiani. Sempre presente dentro e fuori le aule del tribunale, ha organizzato presidi insieme a gruppi della comunità ucraina per manifestare il loro dissenso per l’arresto di Markiv. Oles è fra quelli che più si sta spendendo per promuovere questo documentario, ed è la persona che sembra avere contatti con Anton Gerashchenko, il consigliere del ministro Avakov, che partecipa anche alle presentazioni del documentario sia in Italia, con i Radicali Italiani, sia in Ucraina. Quindi, una delle parti in causa sponsorizza il “documentario indipendente”, ennesimo aspetto curioso di questa vicenda.

A sinistra Horodetskyy e Tinazzi. A destra Horodetskyy e Gerashchenko.

Oles Horodetskyy, Mauro Voerzio e Fabio Prevedello, che si conoscevano da Euromaidan quando organizzavano o partecipavano ai presidi di supporto dall’Italia, continueranno a incontrarsi agli eventi dei Radicali Italiani o durante il processo a Vitaly Markiv.

A sinistra, Oles Horodetskyy e Mauro Voerzio. A destra, Oles Horodetskyy e Fabio Prevedello.

Stando a quanto scritto e riportato, credo si possa con molta difficoltà parlare di questo documentario come un progetto indipendente e super partes. Diversi autori, le organizzazioni che gravitano loro intorno e quelle che gli danno supporto mediatico, sembrerebbero essere già schierati dalla parte dell’imputato e della guardia nazionale, per non parlare dei contatti che alcuni di questi hanno con lo Stato ucraino. Non ci sono i requisiti minimi per poter condurre una ricerca della verità, ammesso che ve ne sia un’altra rispetto a quella emersa dalla precisa ricostruzione esposta nella sentenza di primo grado e ribadita dalla procura generale e dalle parti civili in corte di assise di Appello.

Articolo di Valerio Gentili per Contropiano del 30/10/2020.

“The Wrong Place” è un film sbagliato

The Wrong Place è un documentario che indaga sull’uccisione di Andrea Rocchelli e di Andrej Mironov, due giornalisti per la cui morte è stato arrestato un militare ucraino con cittadinanza italiana, Vitaly Markiv, già volontario della famigerata Guardia Nazionale. L’uccisione dei due reporter è avvenuta nel 2014 nel corso della guerra del Donbass. Il documentario è stato realizzato da Cristiano Tinazzi con il supporto di Danilo Elia, Ruben Lagattola e Olga Tokariuk.

Locandina di The Wrong Place

Parlare di questo documentario è assai difficile, per una serie di ragioni, la prima tra tutte è che non si capisce quale sia il documentario. Finora sono circolati diversi estratti utilizzati a fini propagandistici – cioè per raccogliere fondi, il progetto conta su un crowdfunding – e per animare il dibattito politico.

Perplessità ci sono sull’uso politico di questo “documentario”, sembrerebbe che serva non tanto a informare quanto a condizionare le scelte della corte chiamata a giudicare Markiv. Se ciò venisse fatto con un serio lavoro d’inchiesta sarebbe una cosa utile e buona, ma da quel che si è visto del documentario, sembra che si punti a creare confusione per dire che non ci siano gli elementi per esprimere un giudizio. 

Tanto gli autori, quanto il partito dei Radicali Italiani e i nazionalisti ucraini in Italia, che stanno sponsorizzando il documentario, dicono di battersi per ricercare la verità, eppure nei tre anni trascorsi tra il duplice omicidio e l’arresto di Markiv non si erano impegnati in ciò. La campagna sul caso sembrerebbe essere stata attivata solo per liberare Markiv e garantire la non persecuzione dei soldati ucraini che, secondo la sentenza di primo grado, quel giorno uccisero Rocchelli e Mironov. Quello che non si tollera a Kiev non è tanto che un loro soldato sia imprigionato, quanto il fatto che si sia riconosciuto ufficialmente che le formazioni militari ucraine – sia l’esercito che le altre milizie come la Guardia Nazionale – abbiano commesso dei crimini. Ciò per l’Ucraina è una minaccia serissima, in quanto apre le porte a ulteriori indagini sui crimini che ha compiuto in questi sei anni di guerra.

Passaporto di Andrea Rocchelli

Il posto sbagliato?

La tesi del documentario è che i giornalisti uccisi si siano trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Questa affermazione è tanto inopportuna quanto grave, quei giornalisti erano nel posto giusto nel momento giusto, stavano facendo coraggiosamente il proprio lavoro di testimonianza. Stavano documentando i crimini commessi dall’esercito ucraino e per chiudergli la bocca sono stati uccisi.

Ora, che qualcuno provi a dire il contrario potrebbe essere semplicemente archiviato tra le miserie del giornalismo nostrano, però il documentario si inserisce in una mastodontica campagna internazionale promossa dal Governo ucraino e che in Italia trova sponda nel partito dei Radicali Italiani.

Nazionalisti ucraini al congresso dei Radicali Italiani (1-3 novembre 2019)

I Radicali Italiani e gli ultra-nazionalisti

L’imputato Markiv è un ultra-nazionalista, uno che frequenta pub neonazisti in Ucraina e sul cui telefono, una volta arrestato, sono state trovate foto dei suoi commilitoni con svastiche e braccia tese. Era arruolato nella famigerata Guardia Nazionale ucraina, un corpo composto anche da neonazisti.

Foto ritrovata nel cellulare di Vitaly Markiv e mostrata nel processo: una bandiera della Germania nazista e saluti romani

Ad alcuni può sembrare assurdo questo accostamento, eppure non è la prima volta che i Radicali Italiani collaborano con ultra-nazionalisti, è già successo negli anni ’90 durante la guerra in Jugoslavia.

Marco Pannella in divisa militare dei fascisti ustascia croati durante la guerra in Jugoslavia

Cristiano Tinazzi e l’indipendenza del documentario

A meno di omonimie, il regista del documentario Cristiano Tinazzi sembrerebbe essere stato giornalista della rivista di estrema destra Rinascita, nonché candidato alle elezioni amministrative del 1999 con il Fronte Nazionale, partito fondato da Adriano Tilgher, l’ex dirigente di Avanguardia Nazionale, movimento neofascista protagonista di alcune delle pagine più oscure della storia repubblicana. Questi elementi di sicuro non bastano a ipotizzare una sorta di “Soccorso nero internazionale”, ma aiutano a inquadrare i termini della vicenda.

Il documentario viene spacciato per “indipendente” ma ha goduto del supporto, quantomeno tecnico, della Guardia Nazionale ucraina, il corpo paramilitare a cui apparteneva Markiv. Non può essere considerata indipendente una indagine svolta con il supporto di una delle parti in causa.

Sarebbe molto interessante avere qualche informazione anche su chi abbia contribuito economicamente al documentario, questo si poggiava su un crowdfunding che ha apportato ingenti risorse.

Il documentario sintetizza molto sommariamente dei concetti e delle ricerche svolte dagli autori, quindi non si capisce bene quale sia il metodo di lavoro e quanto siano affidabili le prove. A questo livello di sintesi è difficile sollevare delle obiezioni tecniche, in quanto, alcuni necessari passaggi potrebbero essere stati omessi nel video e sarebbe opportuno che gli autori fornissero una relazione tecnica scritta su cui poter fare le obiezioni.

Prove balistiche con la Guardia nazionale in The Wrong Place

Le prove tecniche

Dal punto di vista tecnico il video può essere sintetizzato in due tesi messe in piedi per scagionare Markiv: dalle postazioni ucraine non si vedeva il bersaglio e le armi di Markiv non erano in grado di colpire alla distanza a cui si trovavano le vittime. Entrambe le tesi sono assolutamente inconsistenti.

Per sostenere la tesi che dalle postazioni ucraine era impossibile vedere il bersaglio gli autori hanno fatto una dettagliata ricostruzione cartografica, omettendo però di inserirvi la torre di un ripetitore radio alta diverse decine di metri che svettava al centro del caposaldo degli ucraini e dalla cui sommità verosimilmente riuscivano a vedere benissimo il luogo del delitto.

Per sostenere la tesi che l’arma di Markiv non fosse in grado di colpire a quella distanza sono state fatte delle ridicole prove balistiche (gli aspetti più grotteschi sono descritti in calce). Premesso che a differenza da quanto sostenuto nel documentario le armi dei fanti ucraini a quella distanza possono uccidere, va ricordato che le vittime furono assassinate con colpi di artiglieria sparati intenzionalmente contro di loro e non a colpi di fucile. Infatti, l’accusa non è di aver sparato ai giornalisti, cosa che comunque non è possibile escludere, ma di aver partecipato attivamente ad un’azione criminale finalizzata all’uccisione di civili.

Il documentario non sembrerebbe cercare la verità, ma solo generare confusione per arrivare ad un’assoluzione per mancanza di prove. Non si può negare che il processo abbia assunto degli aspetti politici, oltretutto è giusto così: ha rotto il silenzio sui crimini delle autorità ucraine. Tuttavia, sono state proprio le istituzioni ucraine – e compagnia – a caricare ulteriormente di valenza politica il caso, a montare una enorme campagna che passa anche per gesti molto inopportuni, come la presenza in aula il ministro degli Interni dell’Ucraina, Arsen Avakov, noto per i suoi contatti con gli ambienti neonazisti ucraini. A questo punto si è costruito un caso politico-mediatico e non si può pretendere di poter tornare indietro.

Nota tecnica sul documentario

Come prima cosa bisogna ricordare che le vittime sono state uccise con colpi di mortaio sparati da una postazione ucraina e che gli vennero sparati anche numerosi colpi di fucile e mitragliatrice. A Markiv viene contestato di aver partecipato attivamente all’azione finalizzata all’uccisione di civili e non necessariamente di aver premuto il grilletto dell’arma che li ha colpiti.

Il documentario sostiene che la postazione di Markiv fosse troppo lontana per riuscire a centrare un bersaglio con un AK-74. Ciò è parzialmente vero, a quella distanza quell’arma può tranquillamente uccidere, però è molto difficile centrare il bersaglio: anche con una buona ottica si tratta di una distanza estremamente elevata per riuscire a colpire una persona. Ma dato che i soldati ucraini si trovavano dentro delle trincee e che non avevano problemi di munizioni, è plausibile che si siano messi a sparare in una direzione un gran quantitativo di colpi, sperando che qualcuno colpisse il bersaglio. Il video non fa un buon servigio a Markiv quando dice che le vittime non erano visibili in quanto coperte dalla vegetazione: è assolutamente vietato sparare a bersagli che non si vedono, il tiro indiscriminato è un reato.

Vista della ferrovia con un’ottica dalla collina in The Wrong Place

Viene fatta una minuziosa ricostruzione del terreno per dimostrare che dalla posizione degli ucraini (non solo da quella di Markiv) fosse impossibile vedere le vittime che si trovavano in un fosso. Inoltre, la visuale era parzialmente ostruita da un treno usato a mo’ di barricata. Non si dispone di elementi per mettere in discussione la bontà della ricostruzione cartografica, ma si può tranquillamente dire che l’uso che se ne fa si basa su una premessa assurda. Come si evince dalle immagini, le posizioni ucraine si trovavano su di una collina sulla quale spicca un’altissima torre radio (verosimilmente un ripetitore televisivo). Dalla cima della torre si possono certamente osservare tutte le posizioni ribelli fino alle retrovie. Pare inverosimile che gli ucraini non avessero sfruttato quel prezioso punto di osservazione posizionandoci almeno un soldato e/o una telecamera. Quindi, quando si parla di visuale, andrebbe presa in considerazione l’esistenza della torre. Ovviamente gli ucraini non ammetteranno mai di averla usata (anche se è inverosimile che non lo abbiano fatto) in quanto non stanno cooperando con le indagini.

Collina Karachun e traliccio in The Wrong Place

La ricostruzione cartografica mette in luce che ci fosse una differenza di quota tra le posizioni ucraine e le vittime. Sebbene si tratti di una ricostruzione molto puntigliosa, si omette di dire quale sia questa differenza di quota (da contro-inchieste giornalistiche sembrerebbe una novantina di metri). Non si tratta di un dettaglio trascurabile, perché ciò influisce sulle gittate e quindi potrebbe allargare lo spettro delle possibili armi utilizzabili. Un esempio può aiutare a capire: si ha un sasso pesante, lo si riesce a tirare fino a 10 metri di distanza. Ora, mettiamo di tirare lo stesso sasso da sopra un palazzo, questo riuscirà ad arrivare ben oltre i 10 metri di distanza sul terreno. Questa banale osservazione vale per qualsiasi oggetto che viene lanciato, anche per i proiettili: una piccola differenza di quota aumenta la gittata delle armi.

Bisogna però capire dove si trovasse Markiv il giorno del fatto. Da quanto si evince nel documentario, quella sulla collina dovrebbe essere una sorta di base da cui dipendono diverse posizioni, come fortificazioni o trincee. Nel documentario si dice che Markiv si trovava in una delle postazioni più lontana dalle vittime, a 1860 metri, e per dimostrarlo si fa vedere un video girato con il telefonino di Markiv. Il video in questione però è di giugno, cioè diversi giorni dopo il fatto e di norma i soldati di una base non stanno mai nella stessa posizione, c’è una rotazione costante: per questa ragione durante le indagini sono stati anche richiesti i verbali sulle rotazioni, mai fornite da parte ucraina. Il 24 maggio, Markiv si sarebbe potuto anche trovare in una postazione più vicina. In conclusione il video girato con il telefonino non dimostra nulla ad eccezione del fatto che Markiv si trovasse effettivamente su quella collina.

Foto di Markiv sulla collina nel giorno dell’uccisione di Rocchelli

Si deve anche confutare la tesi – sostenuta nel documentario – che le armi individuali presenti nella posizione di Markiv non fossero in grado di colpire le vittime. Per sostenere questa assurda tesi (confutata anche dalle specifiche tecniche fornite dai produttori delle armi) gli autori svolgono delle prove balistiche, effettuate in un poligono della Guardia Nazionale dell’Ucraina, che verosimilmente mette anche a disposizione le armi. Si tratta cioè del corpo a cui appartiene Markiv, che quindi non ha alcun interesse a dimostrarne la colpevolezza. Nelle prove si sostiene che un tiratore non sia in grado di colpire un bersaglio da quella distanza. Ma se armi e munizioni sono fornite dalla Guardia Nazionale, la prova perde di credibilità: basterebbe che questi abbiano fornito armi o munizioni inadeguate per centrare i bersagli e/o con sufficiente forza. Basterebbe cioè aver dato armi con la canna consumata, queste perdono di precisione e di “forza”: il proiettile va lontano e va preciso per una serie di forze che agiscono su di lui, le principali, tolta la forza di gravità e l’attrito, sono la spinta data dalla carica e la rotazione data dalla rigatura della canna. La rigatura della canna è fondamentale, questa fa ruotare il proiettile lungo il proprio asse, lo fa essere stabile e andar lontano. Se la canna è consumata, o sabotata, il proiettile non va lontano e non andrà mai preciso. Discorso analogo vale per le munizioni. Se viene fornita una munizione sabotata, il colpo non andrà lontano e/o preciso.  

Detto ciò, al poligono si fa la prova di colpire la sagoma di un’automobile posta a 1,5 km e lo si fa con 3 armi: AK-74 (fucile d’assalto), PKM (mitragliatrice) e Dragunov (fucile di precisione). Verosimilmente quelle sono le armi di cui disponeva la squadra di Markiv, ma potrebbero aver anche avuto armi di posizione come AGS o razzi, e pare difficile che non ci fosse neanche un Utyos, con il quale si può distruggere un’automobile da quella distanza.

Anche se le armi e munizioni fossero buone, la prova è assolutamente inficiata dalla scelta della posizione di tiro: il tetto di un camion fuoristrada. Va detto che in zone pianeggianti (come quella in cui si trova il poligono usato per la prova) è buona norma sparare da posizioni sopraelevate, in questo modo i proiettili hanno necessariamente una traiettoria orientata verso il basso e andranno ad impattare il terreno senza vagare incontrollati per la pianura; ma per fare ciò, soprattutto in casi di tiri a distanza elevata, si usano delle altane, cioè delle delle stabili piattaforme e non il tetto di un veicolo. Quello che si vede nel video è un camion fuoristrada, con un profilo e con delle sospensioni molto alte, cioè un qualcosa che oscilla a ogni minima sollecitazione. Per capire di cosa si parli, basti fare una prova: guardare come si muove un bus ogni volta che sale un passeggero. Si tratta di un piccolo movimento, a volte quasi impercettibile, ma un movimento che c’è e che è amplificato sul tetto del veicolo (per via del braccio della leva). Si tratta di movimenti nell’ordine dei centimetri, che di sicuro non danno problemi quando si spara a breve distanza, ma che impediscono di colpire un bersaglio a lunga distanza. Sparando a 1,5 km lo spostamento di un solo centimetro della base di appoggio si traduce in un errore di circa 24 metri. Le oscillazioni del camion ci possono essere anche solo per il vento o a causa degli spostamenti degli altri passeggeri: nel video si vede chiaramente che sul tetto del camion non c’è solo l’operatore che spara, ma anche altre persone e non è dato sapere se ce ne fossero ulteriori all’interno del camion.

Anche nell’ipotesi che il tiratore cercasse davvero di fare centro, che avesse le competenze per farlo, che gli strumenti (armi e munizioni) fossero perfettamente funzionanti, da quella postazione di tiro traballante è assolutamente improbabile centrare un bersaglio a quella distanza. Quindi, chi cerca di dimostrare qualcosa facendo una prova del genere potrebbe essere incompetente o in malafede. 

Va anche detto che lascia molto perplessi il fatto che durante le prove di tiro gli operatori usassero dei guanti, per poter sparare a quelle distanze serve avere tutta la sensibilità possibile quantomeno sul dito indice. Infatti spesso i guanti militari hanno l’indice che si può scoprire.

Andando nel dettaglio delle varie armi usate nel test, ci sono riserve su ognuna di esse. Nella prova con l’AK-74 riescono a colpire la sagoma posta a 1,5 km: un buon risultato, non banale (con quell’arma si tratta di un colpo molto difficile, verosimilmente imputabile al caso). Però dicono che il proiettile non abbia la forza per passare un pezzo di compensato di quelli usati per trasportare la frutta. Se il proiettile non ha oltrepassato il bersaglio è sicuramente perché c’era qualcosa che non andava nell’arma e/o nella munizione. Se qualcuno non fosse persuaso di ciò si potrebbe invitare ad una controprova: farlo posizionare dietro un compensato posto a 1,5 km di distanza rispetto ad uno che tira con una buona arma e buone munizioni.

Prove balistiche col supporto della Guardia Nazionale in The Wrong Place

Nella prova con la mitragliatrice PKM si vedono dei dettagli che sollevano molte perplessità. In primo luogo il rinculo di quell’arma avrà sicuramente fatto muovere il tetto del camion rendendo quasi impossibile colpire il bersaglio. Secondo, sebbene si veda una scena in cui l’arma spara in automatico – cioè come deve sparare – ce n’è un’altra in cui viene caricata una cinta che ha una cartuccia sì e una no. Ciò è sicuramente fatto per poter sparare con l’arma in una sorta di “funzione manuale”, cioè per sparare solo un colpo per volta. Quindi non si capisce se con la mitragliatrice abbiano sparato colpi singoli o raffica, ma in ogni caso non si può verosimilmente colpire il bersaglio in quelle condizioni: se hanno sparato a raffica il camion traballava, se hanno sparato colpi singoli devono aver utilizzato il mirino, che a quelle distanze è molto difficile da adoperare su quell’arma. Nella mitragliatrice il mirino è comodo per bersagli fissi e/o a breve distanza, in tutti gli altri casi è più facile usare i colpi traccianti. Di norma la PKM è armata con cinghie in cui sono messe serie da 5 colpi: 4 normali e un tracciante. Il tracciante è un proiettile che lascia dietro di sé una scia di fuoco e fumo, serve a vedere dove vanno i colpi e quindi a indirizzare i successivi. Questa cosa funziona bene solo sparando a raffica, la scia dei colpi indica in che direzione orientare il fuoco. La scia di un 7,62×54 – la cartuccia usata dalla PKM – non dovrebbe arrivare a 1,5 km, ma di sicuro con i traccianti si può capire dove sono diretti i colpi e correggere il tiro fino a centrare il bersaglio. Per riuscire a colpire il bersaglio avrebbero dovuto posizionare la mitragliatrice su un supporto stabile e utilizzarla in automatico con l’uso di colpi traccianti. Se l’operatore che utilizza la mitragliatrice è un soldato ben addestrato, da una buona postazione di tiro, con buone condizioni meteo e di visibilità, con una buona arma e munizioni, senza condizioni di particolare stress a 1,5 km con una PKM se non colpisce un’automobile ferma, allora ha un problema.

Prova balistica con Dragunov in The Wrong Place

Infine, è stata effettuata una prova con un Dragunov e anche in questo caso non è stato colpito il bersaglio. Se con un Dragunov un tiratore scelto non colpisce un’automobile ferma a 1,5 km il problema che ha è molto serio. Tuttavia anche in questo caso c’è da tenere in conto il rischio di sabotaggio, cioè non è detto che l’operatore mancasse intenzionalmente il bersaglio o che non avesse le competenze per colpirlo (anche se si tratta di qualcuno che ha accettato di tirare a quella distanza da una piattaforma traballante), bisogna cioè ricordarsi che l’arma è stata fornita dalla Guardia Nazionale. Oltre a esserci l’evenienza di avere la canna o le munizioni fallate, potrebbe anche essere che gli organi di mira – quindi, in questo specifico caso, una mira telescopica – non fossero correttamente tarati. Per starare una mira telescopica basta girare una vitarella, discorso analogo vale per gli altri mirini. Se chi ha sparato con il Dragunov a 1,5 km – cioè un colpo difficile, a lunga distanza – non ha provato l’arma anche con molti colpi a distanza crescente, non può sapere se l’ottica sia stata correttamente tarata. 

In definitiva, le prove al poligono sono sicuramente viziate dalla posizione di tiro e potrebbero essere viziate dalla bontà delle armi e/o munizioni, in quanto danno delle risultanze inverosimili.

Articolo di Alberto Fazolo per Contropiano del 18/10/2020.

Docente espulso dalla Lituania per aver criticato i massacratori di ebrei

Il docente di storia spagnolo Miquel Puertas, dell’Università Vytautas Magnus di Kaunas, in Lituania, aveva criticato le onorificenze conferite ai collaborazionisti lituani da parte delle istituzioni. È stato prontamente arrestato il 25 agosto e infine messo su un volo e rimpatriato in Spagna il 3 settembre.

Le sue critiche erano rivolte a personaggi come Jonas Noreika (catturato e giustiziato dai sovietici nel 1947), responsabile dell’uccisione di circa duemila ebrei in quello che diventerà noto come il massacro di Plungė. I nazionalisti lituani si appropriarono persino degli averi delle vittime. Nel 1997, Jonas Noreika è stato insignito postumo dell’Ordine della Croce di Vytis, per la “Difesa eroica della libertà e dell’indipendenza della Lituania”.

Targa commemorativa al collaboratore nazista Jonas Noreika, Biblioteca dell’Accademia delle scienze di Vilnius.

 

Il manifesto dell’opposizione bielorussa: liberismo, nazionalismo, anticomunismo

Tra liberismo, nazionalismo e anticomunismo, la nuova eroina dell’occidente, Sviatlana Tsikhanouskaya, forse temendo di poter risultare poco appetibile ai popoli democratici d’Europa, ha dato indicazione ai suoi di far sparire qualche giorno fa dal loro sito “reformby” un controverso documento politico. “Non è il nostro manifesto, ci è finito per sbaglio”, dicono gli attivisti. Nonostante sia scomparso dal sito dell’opposizione “democratica”, ne è rimasta una copia salvata nell’archivio di internet. Notando con dispiacere che, nuovamente, i leader e giornali di riferimento della sinistra imperiale, con la solita puntualità, si sono precipitati a dare il proprio supporto alle forze reazionarie protagoniste di questa nuova rivoluzione colorata finanziata e promossa da USA, Unione Europea e Polonia, ci siamo sentiti in dovere di occuparci di questa traduzione.

Laura Boldrini e Lia Quartapelle portano la solidarietà a Sviatlana Tsikhanouskaya (1 settembre 2020)

  • “Rafforzamento dell’identità nazionale”
  • “Privatizzazione delle imprese statali” 
  • “Realizzazione di una completa de-comunistizzazione e de-sovietizzazione della Bielorussia”
  • “Integrazione nelle strutture politiche, economiche e militari occidentali (UE, NATO)”
  • “Bando delle organizzazioni filo-russe le cui attività vanno contro i nostri interessi nazionali”
  • “Adesione al futuro sistema di consegne di gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti all’Europa orientale”
  • “Divieto di trasmissione in Bielorussia di programmi giornalistici, socio-politici e di notizie realizzati dai canali televisivi russi”
  • “Inclusione nel pacchetto televisivo standard dei canali di Lettonia, Lituania, Polonia e Ucraina a disposizione del pubblico”
Le somiglianze con i punti programmatici dell’opposizione “democratica” ucraina del 2014, che ha portato a termine il colpo di stato, sono evidenti: esaltazione del nazionalismo in funzione anti-russa, privatizzazioni selvagge, allusione al bando dei partiti comunisti con l’accusa di collaborare con la Federazione Russa contro gli interessi nazionali, approvvigionamento di materie prime in favore degli Stati Uniti, censura dei media russi e sponsorizzazione dei media dei paesi più feroci nella difesa della linea atlantista, i più lontani dai principi democratici.

 

A seguire il testo completo del documento politico tradotto dall’inglese.

Riforma del settore della sicurezza nazionale  

Descrizione breve

La situazione sia all’interno del paese che intorno ad esso si sta sviluppando in modo sfavorevole per gli interessi nazionali della Bielorussia. Le principali minacce alla sicurezza nazionale sono causate dall’aumento dell’aggressiva politica estera del Cremlino, dalla partecipazione della Bielorussia a progetti integrazionisti post-sovietici a guida della Russia, dal dominio dei media russi nello spazio dell’informazione e da un basso livello di coscienza nazionale tra i bielorussi.

Gli obiettivi fondamentali per la riforma della politica statale esistente sono i seguenti: uscita dalle unioni integrazioniste che hanno la Russia come membro; conservazione e sviluppo del patrimonio culturale nazionale e della lingua bielorussa; crescita economica stabile; alto livello e qualità della vita per i cittadini; instaurazione di un sistema democratico di governo.

Come risultato di questa riforma, diminuiranno i pericoli di interferenze esterne e di destabilizzazione della situazione nel paese, così come i tentativi di dividere la società e l’integrità territoriale della Bielorussia.

Problemi ai quali è diretta la riforma

1. La politica estera aggressiva del Cremlino

Per realizzare i suoi piani imperiali revanscisti il ​​Cremlino sta attivamente facendo uso di:

  • Ricatto economico ed energetico
  • Pressione dei media
  • Diffusione di notizie false e disinformazione
  • Influenzamento tossico delle élite e della cittadinanza
  • Falsificazione della storia con l’obiettivo di manipolare la coscienza pubblica
  • Provocazioni e inasprimento artificiale dei conflitti interni

La leadership russa sta utilizzando la concezione del “Mondo russo” per rafforzare il controllo di Mosca sulla Bielorussia. La base per questo è genericamente la lingua russa e la Chiesa ortodossa russa. Il Cremlino applica spesso metodi di “soft power”: NDA, opinion factory, mass media, blogger, social network, scambi [culturali] e tirocini di esperienze lavorative in Russia.

2. Assenza di democrazia, libertà di parola, libertà di associazione e altre libertà fondamentali

I media indipendenti sono sottoposti a forti pressioni. La società civile e l’opposizione politica devono far fronte a persecuzioni e severe restrizioni alle loro azioni. Non ci sono state elezioni libere e oneste nel paese da più di due decenni.

3. Basso livello di coscienza nazionale e dominio della lingua russa

Una completa incapacità dell’ideologia statale e dei media statali di competere con la propaganda dei media russi: la televisione e la radio russe sono de facto dominanti nello spazio informativo della Bielorussia.

4. Lo stato problematico dell’economia bielorussa

L’economia bielorussa deve far fronte a un significativo esaurimento dei fondi di base e tecnologicamente è in ritardo non solo ai [paesi] leader mondiali, ma anche ai suoi vicini: i paesi dell’UE.

5. L’appartenenza della Bielorussia a strutture sovranazionali integrazioniste in cui domina la Russia -, lo Stato dell’Unione, la CSTO (Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva), Unione economica euroasiatica, CIS (Comunità di Stati indipendenti)

Come parte della CSTO, i bielorussi sono minacciati di essere trascinati in conflitti armati in Asia centrale e anche in tutto il mondo. A causa della nostra partecipazione alla CSTO esiste la minaccia che truppe asiatiche o russe vengano utilizzate sul nostro territorio. L’appartenenza alla CSTO impedisce anche la modernizzazione del nostro esercito.

6. Il cambiamento delle priorità e dei punti focali nella politica estera dell’Unione europea

L’UE è alle prese con sfide migratorie senza precedenti e le conseguenze della Brexit. Molti paesi dell’UE cercano compromessi con il Cremlino. Gli Stati Uniti non sono un vero garante dell’indipendenza della Bielorussia, nonostante i progressi nelle relazioni bilaterali e un fermo impegno da parte di Washington per l’indipendenza e la sovranità della Bielorussia.

OBIETTIVI FONDAMENTALI / OBIETTIVI DELLA RIFORMA

L’obiettivo fondamentale della riforma del settore della sicurezza nazionale è la mobilitazione immediata e il consolidamento della cittadinanza allo scopo di difendere l’indipendenza e la sovranità.
Obiettivi:

  • Rafforzamento dell’identità nazionale, aumento del patriottismo e della dignità nazionale;
  • Unire la cittadinanza sulla base dei valori democratici e sull’idea di costruire una Bielorussia indipendente;
  • Riduzione dell’influenza del Cremlino sulla Bielorussia attraverso fattori informativi, economici, integrazionisti e umanitari;
  • Uscita dalle unioni integrazioniste post-sovietiche a direzione russa;
  • Integrazione nelle strutture politiche, economiche e militari occidentali (UE, NATO)

Misure immediate (prima del 2021):

1. Nella sfera politica

  • Uscita dall’Unione Statale [L’Unione Statale della Russia e della Bielorussia], dall’Unione Eurasiatica, dall’Unione doganale [eurasiatica] e da altre organizzazioni integrazioniste in cui domina la Russia;
  • Divieto delle organizzazioni filo-russe le cui attività vanno contro i nostri interessi nazionali, nonché dei fondi russi e delle organizzazioni che finanziano tali strutture;
  • Introduzione della responsabilità penale per dichiarazioni pubbliche che mettono in discussione l’esistenza di una nazione bielorussa separata e/o il suo diritto storico al proprio Stato. L’introduzione della responsabilità penale per insulti pubblici della lingua bielorussa;
  • Monitoraggio da parte dei poteri della società civile dell’attività delle iniziative pro-Cremlino in Bielorussia;
  • L’attuazione di controlli di frontiera e doganali ai confini con la Russia

2. Divieto di vendita delle infrastrutture bielorusse a società russe

3. Nella sfera dell’informazione

  • Liberazione dei media indipendenti dalla pressione e dal controllo dello Stato, garantendo la libertà dei media e la libertà di parola in Bielorussia;
  • Divieto di trasmissione in Bielorussia di programmi giornalistici, socio-politici e di notizie realizzati dai canali televisivi russi;
  • Inclusione nel pacchetto televisivo standard dei canali di Lettonia, Lituania, Polonia e Ucraina a disposizione del pubblico;
  • Ripristino dell’attività del Consiglio Pubblico di Coordinamento in ambito mass-mediatico

4. In ambito militare

  • Uscita dalla CSTO e ripristino del pieno controllo dei sistemi di difesa antiaerea e antimissile della Bielorussia;
  • Espulsione di oggetti militari russi dal territorio bielorusso – cioè il centro di comunicazioni a Vileyka e la stazione radar vicino a Baranavichy;
  • Espansione della formazione patriottica nell’esercito bielorusso;
  • Passaggio alla lingua bielorussa per l’educazione militare nell’esercito;
  • Sviluppo delle infrastrutture di confine ai confini con i paesi dell’UE, aumentando la capacità di accesso dei valichi di frontiera.

5. In ambito ambientale

  • Divieto della messa in servizio e chiusura di nuove fabbriche dannose a Brest, Mogilev e Svetlogorsk;
  • Pubblicazione di informazioni esaurienti e veritiere riguardanti la costruzione, la sicurezza e l’uso della centrale nucleare di Astravets;
  • Conduzione di un’ampia discussione pubblica sul destino della centrale nucleare di Astravets.

6. Nella sfera sociale

  • Aumento dei salari e migliori condizioni di lavoro per i lavoratori della sanità e dell’istruzione

7. Nella sfera culturale

  • Popolarizzazione degli eroi nazionali, con una preferenza per quelli del XIX e XX secolo
  • Popolarizzazione del personaggio di Kastuś Kalinoŭski come fondatore politico della moderna nazione bielorussa, come simbolo della lotta dei bielorussi per la libertà e l’indipendenza, e come figura che doveva consolidare intorno a lui tutti coloro che erano devoti ai valori della rinascita nazionale e dell’indipendenza del paese.

Obiettivi a medio termine (prima del 2025)

1. Nella sfera politica

  • Riforma della legge elettorale, svolgimento di elezioni libere, oneste ed eque per il parlamento del paese;
  • Formazione di una Guardia Nazionale al fine di salvaguardare il parlamento e proteggere l’ordine costituzionale nel paese;
  • Formazione di un servizio di sicurezza nazionale responsabile dinanzi al parlamento;
  • Ripristino dell’indipendenza dei tribunali dal potere esecutivo;
  • Attuazione del controllo pubblico, in primo luogo da parte del parlamento, sulle forze armate;

2. Nella sfera economica

  • Diversificazione dell’approvvigionamento energetico, riducendo la quota della Russia come fornitore di energia alla Bielorussia al 50% del volume totale delle importazioni di energia;
  • Ampliamento dell’utilizzo di fonti energetiche alternative;
  • Attuazione del Programma statale sul risparmio energetico, per l’abbassamento dei consumi energetici e il passaggio a tipi di combustibili locali;
  • Costruzione di una nuova raffineria di petrolio a Novopolotsk, focalizzata sul greggio leggero;
  • Inclusione della Bielorussia nei programmi di cooperazione nell’ambito del Three Seas Initiative, con l’obiettivo di preparare i documenti, i programmi e le infrastrutture necessari per l’adesione della Bielorussia al futuro sistema di consegne di gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti all’Europa orientale;
  • Privatizzazione delle imprese statali con divieto di acquisto da parte di società con una quota superiore al 20% con capitale russo; Creazione delle condizioni per l’attrazione diretta di investimenti esteri;
  • Costruzione di ferrovie moderne e autostrade principali [per le rotte] Kiev-Minsk-Vilnius, Lviv-Brest-Grodno-Vilnius, Vitebsk-Polotsk-Daugavpils-Riga.

[Punto 3 assente]

4. Nella sfera dell’informazione

  • Fare in modo che il numero massimo di canali TV via cavo accessibili che hanno un paese straniero coinvolto nella loro produzione sia fissato al 50% del totale dei canali TV offerti nel pacchetto;
  • Innalzamento del livello di qualità dei canali televisivi nazionali bielorussi, creando speciali programmi socio-politici e storici;
  • Ritrasmissione da parte dei canali televisivi nazionali di programmi divulgativi scientifici, di intrattenimento e di notizie dei paesi dell’UE, del Regno Unito, del Canada, degli Stati Uniti e dell’Australia.

5. In ambito militare

  • Transizione agli standard NATO;
  • Addestramento del personale militare, con i soldati bielorussi inviati ai corrispondenti istituti e centri d’addestramento dei paesi della NATO.
  • Transizione di tutte le attività dell’esercito bielorusso alla lingua bielorussa;
  • Dare alle unità militari e agli istituti scolastici bielorussi i nomi degli eroi nazionali bielorussi;
  • Formazione delle forze armate bielorusse da quattro parti integranti:
    1. Un nucleo di soldati professionisti che prestano servizio su base contrattuale;
    2. Cittadini che svolgono un determinato periodo di servizio militare;
    3. Unità territoriali volontarie formate da cittadini che mantengono le loro occupazioni civili, ma vengono periodicamente addestrate e possono essere mobilitate rapidamente;
    4. Riserve – tutti i cittadini maschi che sono idonei al servizio e che hanno seguito un addestramento militare durante il loro servizio a tempo determinato.
  • Cambio del sistema di addestramento dei soldati durante il loro servizio a tempo determinato e per i riservisti. Un focus sull’educazione patriottica e l’acquisizione delle competenze necessarie.
  • Modifica della durata del servizio obbligatorio a sei mesi;
  • La dimensione delle Forze Armate, senza contare i riservisti, dovrebbe essere compresa tra i 75 e gli 80mila uomini;
  • Realizzazione delle infrastrutture necessarie al confine bielorusso-russo.

6. In ambito ambientale

  • La creazione di condizioni economiche favorevoli per investimenti in progetti per l’ottenimento di energia da fonti rinnovabili e nel trattamento e riutilizzo di prodotti di scarto (rifiuti, ecc.);
  • Riabilitazione di territori inquinati da radiazioni

7. Nella sfera sociale

  • Creazione delle condizioni per il ritorno dei bielorussi che lavorano all’estero, in particolare medici, operatori sanitari e specialisti altamente qualificati di altre professioni;
  • Promuovere il ritorno dei discendenti dei nostri compatrioti che hanno lasciato la Bielorussia prima della restaurazione della sua indipendenza come stato, attraverso l’approvazione di una legge per una carta di compatibilità – bielorusso all’estero [nota di thesaker: questa sarebbe una carta per le persone di etnia bielorussa che vivono all’estero per dimostrare la loro appartenenza alla nazione bielorussa, modellata presumibilmente sulla “Karta Polaka” della Polonia].

8. Nella sfera culturale

  • Restituire alla lingua bielorussa lo status di unica lingua di stato, garantendo nel contempo il diritto delle minoranze nazionali all’istruzione e allo svolgimento di eventi culturali nella loro lingua madre;
  • Sviluppo e attuazione di misure amministrative e finanziarie per stimolare i media, la pubblicazione di libri e la vita culturale in lingua bielorussa.
  • Ripristino dei sussidi statali per l’insegnamento e l’istruzione in bielorusso negli istituti di istruzione primaria, secondaria e superiore.
  • Realizzazione di una completa de-comunistizzazione e de-sovietizzazione della Bielorussia;
  • Bielorussificazione della vita religiosa per tutte le fedi cristiane e per le altre religioni;
  • Bielorussificazione del sistema educativo a tutti i livelli e di tutti i tipi;
  • Ripristino della registrazione, dello status e del finanziamento statale dello Yakub Kolas National State Humanities Lyceum, con la libertà accademica salvaguardata per insegnanti, alunni e genitori; l’apertura di filiali del National State Humanities Lyceum in ogni capoluogo regionale.

Obiettivi a lungo termine (prima del 2030):

  • Creazione di un sistema end-to-end di istruzione in lingua bielorussa dagli asili alle università;
  • Restauro della Chiesa ortodossa bielorussa autocefala come alternativa nazionale all’Esarcato bielorusso della Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca;
  • Adempimento da parte della Bielorussia di tutti i criteri di adesione all’UE e alla NATO; completamento delle relative domande di adesione a tali strutture;
  • Garantire la sicurezza alimentare a lungo termine attraverso la diversificazione dell’approvvigionamento di derrate alimentari nel paese, la creazione di riserve alimentari, la modernizzazione della produzione agricola e lo sviluppo delle aziende agricole.
  • Rafforzamento della cooperazione e formazione di un partenariato strategico nel quadro della comunità Baltico-Mar Nero; la formazione e l’organizzazione di un corrispondente blocco regionale interstatale;
  • Realizzazione di un programma di diversificazione dell’approvvigionamento energetico, con un limite alla quota di fornitori di ogni Paese fissato al 30% del volume totale delle importazioni di energia.

La crisi bielorussa attraverso la lente dell’Ucraina

Traduzione dell’articolo di Dmitriy Kovalevich del 27 agosto 2020

Manifestazioni in Bielorussia del 2020 e le manifestazioni in Ucraina nel 2014

Questa estate, la situazione in Bielorussia e le proteste che hanno travolto il paese, hanno dominato quasi completamente l’agenda dei mass media ucraini.

Il 9 agosto si sono tenute le elezioni presidenziali nella vicina Bielorussia. Secondo il CEC [Comitato Elettorale Centrale] bielorusso, sono state vinte dal presidente in carica Alexander Lukashenko, che governa il paese dal 1994. L’opposizione non ha riconosciuto i risultati delle elezioni, invitando i suoi sostenitori a protestare nelle strade, agendo secondo lo scenario delle “Rivoluzioni colorate”.

La violenza della polizia innesca la risposta

Durante le prime manifestazioni la polizia ha disperso i manifestanti facendo uso della violenza. Successivamente si sono innescate le proteste di diversi collettivi di lavoratori, poiché molti di essi, pur non partecipando alle proteste iniziali, sono stati attaccati erroneamente dalla polizia. È interessante notare che l’opposizione ha chiesto scioperi solo nelle imprese statali (la stragrande maggioranza in Bielorussia), senza mai invitare i lavoratori delle imprese private o straniere a scioperare.

Solo una settimana dopo le elezioni, sono stati organizzati cortei e manifestazioni altrettanto massicci, a sostegno del presidente in carica, nei quali ha avuto parte attiva anche il Partito Comunista di Bielorussia.

Confronto con Euromaidan 2014

In molti paragonano le proteste in Bielorussia con il colpo di stato ucraino del 2014, chiamato “Euromaidan”. Ci sono davvero molte caratteristiche comuni, ma ci sono anche differenze significative. Lukashenko ha perseguito una politica sociale abbastanza equilibrata. In Bielorussia, la maggior parte delle grandi imprese è stata nazionalizzata, sono di proprietà statale. Non ci sono oligarchi in Bielorussia e, di conseguenza, non ci sono grandi media di proprietà di oligarchi, come quelli che hanno innescato i manifestanti ucraini durante Euromaidan. Il tenore di vita e le garanzie sociali in Bielorussia sono molto più alti che in Ucraina e le tariffe per gas ed elettricità sono inferiori di circa il 50%. Anche i prezzi del cibo sono notevolmente inferiori.

Secondo recenti sondaggi, gli ucraini considerano Alexander Lukashenko il migliore tra i leader stranieri.[1] Per via questa fiducia Minsk è stata scelta come piattaforma per i negoziati per risolvere il conflitto nel Donbass.

L’impatto sull’Ucraina degli eventi in Bielorussia

Gli eventi in Bielorussia hanno diviso la società ucraina. I sostenitori di Euromaidan, i nazionalisti e gli attivisti delle ONG occidentali sostengono i manifestanti bielorussi. Pavel Klimkin, ex ministro degli Esteri ucraino, ha affermato che l’esito delle proteste in Bielorussia è una questione di sopravvivenza dell’Ucraina. Ha scritto: “Le elezioni in Bielorussia non saranno un punto di arrivo. Tutto il divertimento inizierà dopo. Dobbiamo lottare per una Bielorussia europea, non possiamo e non dobbiamo perdere questa battaglia, è una questione di sicurezza e di esistenza”.[2]

I nazionalisti ucraini e neonazisti si sono precipitati in Bielorussia per aiutare a realizzare una sorta di Euromaidan nel paese. Secondo il concetto promosso dall’estrema destra ucraina: Polonia, Ucraina, Lettonia, Lituania, Estonia e Bielorussia dovrebbero essere unite in una confederazione anti-russa, la quale dovrebbe diventare una sorta di fortezza della “razza bianca” che si opponga sia alla “Russia asiatica” sia all’Europa occidentale, “rovinata dagli immigrati”. I neonazisti ucraini del gruppo C-14 sostengono i manifestanti bielorussi con bandiere usate sia dalla moderna opposizione bielorussa che dai collaboratori nazisti durante la seconda guerra mondiale.[3]

“Stavano preparando questo casino contro di noi”

Un concetto simile viene promosso dai cosiddetti esperti del Consiglio Atlantico, citando solo la necessità di creare una zona cuscinetto tra Europa e Russia. Il reale obiettivo è, molto probabilmente, minare le relazioni commerciali tra Russia/Cina ed Europa occidentale.[4] Finora la Bielorussia è stata l’anello mancante di questa catena.

Il presidente Lukashenko afferma che l’opposizione è manovrata dalla Polonia e i paesi della UE si stanno accodando all’azione degli Stati Uniti:

“Stavano preparando questo casino contro di noi. E la Russia aveva paura di perderci. L’Occidente ha deciso di metterci in qualche modo, ovviamente – come vediamo ora – contro la Russia. Adesso vogliono creare questo corridoio del Baltico-Mar Nero, una sorta di zona cuscinetto: le tre repubbliche baltiche, noi e l’Ucraina. Siamo un anello di questa catena. Gli Stati Uniti stanno pianificando e dirigendo tutto questo, e i paesi della UE stanno al gioco. È stato ordinato – lo faranno. Un centro speciale è stato istituito vicino a Varsavia. Stiamo guardando, sappiamo cosa fa. Cominciano a brandire le armi. Sai, quando accadono cose inquietanti nelle vicinanze, quando i carri armati iniziano a muoversi e gli aerei volano nelle vicinanze, non è una coincidenza.”[5]

Anche in questo caso, allo stesso tempo, il presidente Zelensky e gli ufficiali ucraini non hanno fretta di schierarsi da una parte o dall’altra; sono pronti ad aspettare. E una delle ragioni di ciò è l’importanza della Bielorussia per l’economia dell’Ucraina e di tutta l’Europa orientale.

Il significato della “finestra bielorussa”

Dopo l’imposizione delle sanzioni contro la Federazione Russa, l’economia ucraina è diventata fortemente dipendente dalla “finestra bielorussa”, attraverso la quale le merci russe vengono fornite all’Ucraina e quelle ucraine alla Russia. Per anni la Bielorussia ha approfittato della rietichettatura delle merci come “prodotte in Bielorussia”. Il paese è diventato il principale fornitore di frutti di mare per tutti i paesi post-sovietici che non hanno coste. Fornisce due volte di più di frutta alla Russia di quanta ne sia in grado di produrre. È possibile acquistare prodotti russi in ogni supermercato ucraino; sono semplicemente contrassegnati come “prodotti in Bielorussia”.

Dopo la Russia, l’Ucraina è al secondo posto nell’elenco dei principali destinatari delle esportazioni bielorusse, per un totale di circa 4 miliardi di dollari. Nella lista dei principali importatori della Bielorussia, l’Ucraina è al quarto posto (un volume totale di 1,5 miliardi di dollari).

L’analista finanziario ucraino Vasyl Nevmerzhitskiy ritiene che, se verranno chiuse le frontiere da parte della Bielorussia (in caso di gravi problemi politici), ciò avrà un impatto negativo sul bilancio dell’Ucraina, poiché perderebbe una delle principali fonti di approvvigionamento:

“Se chiudono le frontiere in Bielorussia a causa di disordini pubblici allora il nostro fatturato commerciale diminuirà notevolmente. Dopotutto, attraverso questo vicino l’Ucraina acquista non solo beni bielorussi, ma anche russi. La fornitura di beni verrà immediatamente ridotta a due partner commerciali chiave. Questo colpirà il bilancio ucraino, poiché la riscossione del VAT [IVA] e dei dazi doganali, così come il nostro mercato valutario, diminuirà.”[6]

L’impatto sull’industria, il commercio e l’economia dell’Ucraina

Tuttavia, la pietra angolare delle relazioni economiche ucraino-bielorusse sono il petrolio ed i sottoprodotti petroliferi. Sebbene la Bielorussia non sia un paese produttore di petrolio, è la principale fonte di petrolio e gasolio per il mercato ucraino. Circa il 35% della benzina viene fornita all’Ucraina dalla Bielorussia e circa la stessa quantità dalla Federazione Russa tramite la Bielorussia. Il petrolio viene importato principalmente dalla raffineria di petrolio Mozyr in Bielorussia attraverso Korosten, nella regione di Zhytomyr in Ucraina. Come affermano gli analisti ucraini dal 2014, nessun carro armato ucraino si muoverebbe senza il petrolio fornito dalla Bielorussia.

Inoltre, poiché l’industria ucraina è in gran parte crollata, Kiev ora ripara i suoi veicoli militari e gli aerei anche in Bielorussia. Minsk è diventata un’intermediaria, lavora per contratti militari sia per la Russia che per l’Ucraina (spesso nelle stesse fabbriche). La Bielorussia fornisce veicoli militari e dispositivi ottici sia all’esercito russo che a quello ucraino.

Poiché l’Ucraina ha vietato i voli per la Russia, nonostante milioni di cittadini vi lavorassero, gli ucraini devono volare in Russia attraverso la Bielorussia. Allo stesso modo, i russi visitano i loro parenti in Ucraina facendo scalo in Bielorussia.

Pertanto, nel sostenere i manifestanti in Bielorussia, le autorità ucraine avrebbero agito contro i propri interessi economici. Tuttavia, sotto la pressione degli Stati Uniti, prima o poi dovranno decidere quale posizione adottare. I nazionalisti ucraini e gli attivisti delle ONG finanziate dall’Occidente hanno già deciso, ma le loro azioni a sostegno dell’opposizione bielorussa a Kiev non stanno radunando più di una dozzina di persone. Avendo già sperimentato due rivoluzioni colorate e un periodo di repressione statale, la sinistra ucraina chiede che l’attenzione si concentri sulle questioni economiche piuttosto che politiche durante la crisi bielorussa. È questa la domanda che l’opposizione bielorussa sta cercando di mettere a tacere, sostenendo che è necessario prima rovesciare Lukashenko, e poi – “vedremo”. Allo stesso tempo, il programma economico dell’opposizione, pubblicato a giugno sul sito zabelarus.com, suggerisce riforme neoliberiste e privatizzazioni di massa.[7]

Punto di vista alternativo sugli eventi

L’organizzazione marxista ucraina Borotba, bandita in Ucraina dopo la rivoluzione colorata del 2014, avverte che il programma economico dell’opposizione bielorussa è contro gli interessi dei lavoratori e sta cercando di manipolarli:

“La rappresentazione dello scontro tra il “popolo” e il “dittatore” imposto dai media imperialisti non dovrebbe mettere in ombra un’analisi politica e di classe. La solidarietà per le vittime della brutalità della polizia non significa sostenere la loro agenda politica.”

“La forza trainante nelle proteste contro il regime di Lukashenko è stata la classe media urbana, che è cresciuta e si è rafforzata durante gli anni di relativa prosperità economica. La classe media ha cominciato a considerare restrittiva la struttura del welfare state paternalistico, sposando la visione del “mercato libero” e della “libera impresa”. Non avendo esperienza delle riforme neoliberiste che hanno distrutto le economie di Ucraina e Russia, una parte significativa del popolo bielorusso vede il futuro del proprio paese nella “libertà” guidata dal mercato.”

“Tuttavia, è improbabile che un programma neoliberista di privatizzazione su larga scala, tagli alla salute e la libertà di licenziare piaccia alla maggior parte dei lavoratori. Questo è il motivo per cui il programma di “riforma”, inizialmente ampiamente pubblicizzato dalla candidata dell’opposizione Sviatlana Tsikhanouskaya e dai suoi sostenitori, è stato in seguito sostanzialmente nascosto. Ma era troppo tardi”[8]

Ciò che è ovvio per gli ucraini che seguono da vicino gli eventi nel paese vicino, indipendentemente dall’esito delle proteste, è che la Bielorussia non sarà la stessa di prima dell’agosto 2020. Se Lukashenko rimane al potere, la sua posizione sarà più debole e dovrà fare concessioni significative ai partner commerciali esteri. Qualsiasi cambiamento di potere in Bielorussia può comportare il rischio di un lungo periodo di instabilità, la chiusura di grandi imprese e conflitti civili, poiché l’opposizione liberale non può fare affidamento sul sostegno delle masse o dimostrare la sua legittimità.

La bandiera bianca e rossa delle rivolte bielorusse: simbolo di collaborazionisti nazisti e controrivoluzionari

Una caratteristica delle recenti proteste bielorusse è l’uso da parte dei manifestanti di una bandiera bianco-rossa. Poco dopo l’annuncio del risultato delle elezioni del 9 agosto, le strade di Minsk sono state inondate di manifestanti sostenuti dall’opposizione che sventolavano queste bandiere.

Ma qual è il vero significato della bandiera bianco-rossa bielorussa e qual è la storia dietro di essa?

Quella bandiera è stata utilizzata per la prima volta dall’anti-bolscevica Repubblica Popolare Bielorussa (Biełaruskaja Narodnaja Respublika – BNR), la quale ebbe breve vita: durò tra il marzo 1918 e il febbraio 1919. Durante il periodo tra le due guerre mondiali, è stata utilizzata occasionalmente da organizzazioni politiche, come il partito conservatore Democrazia Cristiana Bielorussa (1927), ma anche da organizzazioni non politiche.

Tuttavia, la bandiera bianco-rossa è emersa di nuovo durante la seconda guerra mondiale, come simbolo dell’amministrazione nazista in Bielorussia, apparendo anche sulle toppe del braccio dei collaborazionisti nazisti bielorussi che si erano offerti volontari nell’esercito tedesco e nelle SS. Inoltre, la bandiera fu usata dal “Consiglio Centrale Bielorusso”, uno Stato collaborazionista e antisovietico esistito tra il 1943 e il 1944.

Quanto affermiamo sopra è confermato da una pletora di documenti e immagini risalenti alla seconda guerra mondiale.

“Consiglio Centrale Bielorusso” – bandiera bielorussa bianca e rossa con la svastica.

Le principali domande che sorgono sono: i manifestanti in Bielorussia – in particolare le giovani generazioni – che sventolano la bandiera bianco-rossa, conoscono il vero significato di questo simbolo?

Sanno che la bandiera, sotto la quale protestano, è stata ampiamente utilizzata da collaborazionisti, traditori e codardi che hanno servito gli invasori nazisti?

Si rendono conto che sventolando la bandiera bianco-rossa tradiscono la memoria dei loro nonni e bisnonni che combatterono contro i nazisti?

Comparazione delle bandiere sventolate dai manifestanti e dai collaborazionisti bielorussi

La stessa bandiera bianco-rossa è stata usata di nuovo nei primi anni ’90, dopo la dissoluzione dell’URSS, come simbolo anti-sovietico e anticomunista dai controrivoluzionari bielorussi.

Non è una coincidenza che i fascisti ucraini e polacchi sostengano apertamente il movimento di opposizione bielorusso. Soprattutto nel caso dell’Ucraina, sappiamo tutti a cosa ha portato il Maidan di Kiev del 2014, sponsorizzato da Unione Europea e la NATO, e come i neonazisti abbiano acquisito posizioni nel governo successivo alla rivolta.

La Bielorussia non deve diventare una nuova Ucraina. I giovani della Bielorussia non devono cadere vittime delle false promesse fatte dall’opposizione sostenuta dalle potenze straniere.

La bandiera bielorussa bianco-rossa nelle loro mani non è solo un insulto per l’orgoglioso passato del paese, ma anche un segno preoccupante per il suo futuro.

Articolo tradotto da In Defense of Communism

Le trame della CIA in Italia: elezioni falsificate e colpi di stato

Gli Stati Uniti parlano tanto di democrazia e della sua esportazione, tanto che nel suo nome hanno causato guerre, colpi di stato e milioni di morti rivelandosi la maggiore minaccia alla pace dei popoli che da sempre vogliono liberarsi dal giogo imperialista, per poi tuonare invece contro coloro che hanno osato interferire nelle loro elezioni. Ma cosa intendono con la parola democrazia? A seguito di una ricerca riporto qui alcuni documenti che rispondono chiaramente a questa domanda più specificatamente per quanto riguarda l’Italia: Continua a leggere

Il film sulle Foibe è una cagata pazzesca

Spinto dalla curiosità, venerdì sera ho deciso di guardare “Red Land – Rosso Istria”, trasmesso su RAI 3 con squilli di tromba e fanfare al seguito.
A dire il vero, mi era capitato di vederne in precedenza alcuni spezzoni, mandatimi da certi ex amici (manco a dirlo, cattolici), nel tentativo di convincermi dell’importanza della pellicola e di farmi capire la ragione per cui, secondo loro, veniva boicottata dai “poteri forti”.
Si, talmente boicottata che è stata trasmessa sulla tv pubblica a tempo di record.
Se c’è una ragione per cui al cinema si è visto poco, è perché Red Land, il film su Norma Cossetto e le foibe (regia di Maximiliano Hernando Bruno), è un film davvero brutto, oltre che essere sostanzialmente banale propaganda. Continua a leggere

Chi insulta i gilet gialli insulta anche mio padre

Édouard Louis è uno dei più brillanti giovani romanzieri francesi, enfatizza il suo lavoro sulle umiliazioni quotidiane e la brutalità della vita nella Francia rurale. Critico del governo di Emmanuel Macron, è stato un fervente sostenitore delle proteste dei “gilet jaunes” o “gilet gialli” che hanno attraversato il paese nelle ultime settimane, scatenate da una serie di tensioni sull’aumento del prezzo del carburante. In particolare, lo scrittore ha combattuto i tentativi dei media di etichettare i manifestanti come “idioti di campagna” o stupidi oppositori del progresso. In questo testo, originariamente pubblicato su Les Inrockuptibles, Louis proclama che “coloro che insultano i gilet jaunes stanno insultando persone come mio padre“.


È da qualche giorno ormai che cerco di scrivere un testo su e per i gilet jaunes, ma non ci riesco. Qualcosa nell’estrema violenza e nel disprezzo di classe che sta martellando questo movimento mi lascia paralizzato. Perché in un certo senso sento di essere personalmente preso di mira.

È difficile per me descrivere lo shock che ho provato quando ho visto le prime immagini dei gilet jaunes. Nelle foto che accompagnano gli articoli ho visto corpi che quasi mai compaiono nello spazio pubblico e mediatico – corpi sofferenti devastati dal lavoro, dalla fatica, dalla fame, dall’umiliazione permanente di chi è dominato dal dominante, dall’esclusione sociale e geografica. Ho visto corpi stanchi e mani stanche, schiene rotte e volti esausti. Continua a leggere