Articolo di Francesco Dall’Aglio, 15 febbraio 2025
Il vertice di Monaco non sta andando benissimo, da qualunque punto lo si consideri. Non sta andando bene per l’Ucraina, ovviamente, ma soprattutto non sta andando bene per l’Europa. Il disimpegno statunitense dal conflitto in Ucraina non è solo disimpegno dall’Ucraina, ma si accompagna a un atteggiamento di disinteresse, se non quasi di ostilità, nei confronti dell’Europa stessa intesa come sintesi di NATO/UE (che è quello che è diventata, in fin dei conti). La cosa è del tutto evidente, così come evidente è che, a giudicare dalle reazioni che vanno dall’isterico all’indignato all’incredulo, la leadership europea pare non ne abbia capito il motivo e ne scarica la colpa su Trump, come se il motivo non fosse profondo ma dipendesse dalla sua incapacità, o dalla sua cattiveria, o dal suo essere manovrato da Putin (capita di leggere anche questo), o dal fatto che non capisce niente di quello che lo circonda.
La realtà è più semplice, e più complessa. Il disimpegno trumpiano certifica in sostanza la fine della guerra fredda: è una conseguenza, non una causa, del fatto che per gli USA la Russia non è più una minaccia esistenziale, per cui la NATO europea non è più una cosa sulla quale sia necessario investire troppo. E non è più una minaccia non perché, come mi è capitato di leggere, Trump e Putin sono due dittatori e si sa, tra dittatori ci si mette sempre d’accordo (è vero esattamente il contrario, al limite, ma ormai ognuno dice quello che gli pare), non perché, come sempre mi è capitato di leggere, grazie a Putin ora Trump sente di avere il via libera e lo premia regalandogli l’Ucraina (figurati se gli Stati Uniti aspettavano l’autorizzazione della Russia per fare quello che gli pare) ma perché, molto semplicemente, l’Europa è diventata irrilevante e rischiare un conflitto diretto, o continuare a spenderci troppi soldi, non vale più la pena. Durante la guerra fredda l’Europa era considerata la posta in palio, sia dal punto di vista ideologico che dal punto di vista economico, da parte di entrambe le superpotenze, e una parte preponderante del loro arsenale militare e diplomatico era rivolta al suo controllo. Il resto del mondo sostanzialmente non esisteva. Sì, il Giappone faceva le radioline, Taiwan i pupazzetti, gli arabi avevano il petrolio, ma il resto del mondo non era pervenuto. Cina? India? Africa? Iran? Indocina? Terzo mondo. Pezzenti. Ci facevi le guerre senza pensarci troppo (e le perdevi, di solito, cosa che già avrebbe dovuto metterle sull’avviso, le superpotenze in questione), al limite erano terreno di scontro perché non diventassero socialiste o liberiste, ma alla fine era roba secondaria. Contava solo l’Europa.
È in questa prospettiva che va letto l’allargamento a est della NATO, che infiniti addusse lutti eccetera. Era roba degli Stati Uniti, la certificazione del loro dominio sulla metà di continente che, prima, era dell’avversario. Non era minimamente necessaria e lo sapeva la stessa amministrazione USA (lo diceva la CIA, porca miseria, che non era il caso), ma era una dichiarazione d’intenti ideologica e i Dem ci tenevano tantissimo – è stata roba dei Dem l’allargamento, non ce lo dimentichiamo. Clinton, Obama, di cui Biden era il vicepresidente. Non ce lo dimentichiamo. Ovviamente i Rep non hanno fatto follie per fermarla, sia chiaro, ma il progetto è sostanzialmente dell’asse Clinton-Obama. L’Europa, nel senso di UE, si è allargata anch’essa pensando, poveretta, di riuscire a gestire l’allargamento e guadagnarci (e c’era ancora qualche fesso come me, che pensava alla “casa comune europea” e scemenze simili, ed era contento. Aveva ragione Guccini, a vent’anni si è stupidi davvero anche se erano quasi trenta), non accorgendosi che si stava invece mettendo in casa la “nuova Europa” tanto lodata da Rumsfeld, ovvero una manica di personaggi fedeli agli USA, non all’Europa, e dagli USA foraggiati a botte di associazioni, fondazioni, American University, “centri studi” e cose del genere, gestiti, ops, da USAID, NED e compagnia cantante, proprio quelli che Trump sta facendo fuori adesso. E questa “nuova Europa” con referenti a Washington e non a Bruxelles ha dirottato la vecchia, e ora tra NATO a trazione statunitense (ovviamente, essendo loro il socio di maggioranza) e vertici dell’Unione Europea non c’è nessuna differenza, se non di compiti tecnici, e perché il peso di Polonia, baltici eccetera è così sproporzionatamente alto nella NATO/UE, perché sono loro l’anello di congiunzione.
Ora però non siamo più al tempo della guerra fredda. Ora non è più l’Europa il premio del vincitore, anche perché se l’è già mangiata tutta, e l’atteggiamento trumpiano lo certifica senz’ombra di dubbio. Ora i punti focali sono altrove, nel Pacifico ad esempio, in Asia centrale, nel Golfo Persico e nel Mar Rosso, nell’Artico, e di nemici ce ne sono tanti, non più uno solo, e tutti sempre più organizzati – gli huthi, per dire, nella loro area di competenza sono sostanzialmente un pari strategico degli Stati Uniti, rendiamoci conto. La Russia non è più “il” nemico, al limite uno dei tanti, e di certo non il più minaccioso. Continuare a spendere soldi per la difesa di un’area che non è più l’unica area strategica e importante del pianeta non ha senso. Se l’Europa ci tiene alla sua difesa si difenda da sola, invece di continuare a risucchiare soldi, e soprattutto attenzione strategica, agli USA. Da questo punto di vista l’amministrazione Trump è più moderna non solo di quella di Biden ma anche di quella russa, che ha continuato a vedere solo l’Europa (e quindi l’Ucraina) come area di sua pertinenza strategica; e in questo senso Biden gli ha fatto un favore, obbligandoli a confrontarsi con l’Asia in maniera molto più radicale, significativa e vantaggiosa di quanto non avrebbe altrimenti mai fatto. E questa “modernità” la si vede anche nella scelta della squadra. L’amministrazione Biden era imbottita di vecchi arnesi della guerra fredda (Blinken, ad esempio, Nuland, Graham, e lo stesso Biden), che dovevano chiudere i conti col vecchio nemico e coronare il progetto. Qui abbiamo il Segretario alla Difesa che è nato nel 1980, il vicepresidente addirittura nel 1984 – il “vecchio” è Rubio che è del 1970, e infatti è quello ideologicamente più vetero, ma sempre meno di chi lo ha preceduto. Questa gente è vissuta in un mondo in cui l’URSS non c’era più e la Russia era ben poca cosa. I loro nemici sono gli islamici e la Cina, non Mosca, e nessuno di loro è disposto a una guerra mondiale per difendere un continente in cui tutt’al più vai in vacanza, che non produce più nulla, che non innova, che non ha risorse, e che invecchia a velocità straordinaria. Ed è questo, non la loro cattiveria o il loro autoritarismo, che informa le scelte della loro amministrazione. Da noi, invece, i vecchi arnesi della guerra fredda sono ancora in giro, anche se sono nati nel 1977 (Kallas). La guerra fredda ce l’hanno in testa e la stanno ancora combattendo, e buona fortuna a farlo senza gli USA.