Caro Fidel,
appena saputa, la notizia è stata devastante. Non mi riesce di immaginarti, steso sul piccolo letto di legno che si è trasformato nel tuo ultimo rifugio. E sto qui, seduto all’ingresso della fattoria, pensando a cosa dirò al mondo e a come nascondere questa lacrima, sebbene alcuni pubblicitari direbbero che sarebbe meglio che si vedesse, che è così che si costruiscono le leggende.
Le leggende non si possono costruire, tu sei stato una leggenda, fatta allo stesso tempo con il colpo della mitraglia e la bandiera sventolante sull’accampamento, là nella sierra, non importa che fosse selva o pampa, è uguale, la battaglia arde nelle viscere di quella che chiamiamo la nostra terra, questo porzione di geografia che attraversiamo e che ci attraversa.
E penso di aver avuto fortuna perché sono diventato oramai vecchio e la faccia da uomo buono non mi ha abbandonato, nonostante gli anni di prigionia e la tortura; le critiche verso di me sono state minori, non ho dovuto affrontare il rigore del controllo pubblico al quale tu hai fatto fronte con statura di gigante con la quale hai dato esempio al mondo e non sono stato costretto a combattere tra patrioti e traditori, nessuno mi ha mai bollato come un tiranno. Ma questa fortuna può anche essere intesa in modo differente.
Il mondo che ho affrontato io è quello delle carte di credito e delle vite consumate in una lotta per la quale non c’è guerriglia possibile. Tutti mi ascoltano con attenzione, sorridono, applaudono e continuano a condurre le loro vuote vite con cose che li consumano, lentamente, ma inevitabilmente. Tu lasci una Cuba che continuerà ad esserci, senza analfabetismo, con il miglior sistema di sanitario pubblico, con il migliore sistema d’istruzione del continente e io resto qui a combattere una battaglia non per la vita, ma contro l’oblio, impregnato in una lotta che non ha alcun senso perché il Sud diventa sempre più Sud, i mostri avanzano e ci attaccano da tutte le parti.
La breve illusione del continente bolivariano svanisce, dopo la morte di Hugo (Chavez), l’ignominiosa uscita di Dilma (Rousseff) e Cristina (Kirchner), il mio confino in uno scranno del Parlamento e la tua morte che ci lascia orfani, sicuramente presto l’insensatezza di un mondo che non riesce a imparare dalla sua Storia ci divorerà.
Le ombre ci perseguitano e dal momento che te ne sei andato, caro amico, e adesso che so che non faremo più, perlomeno in questa vita, quelle interminabili conversazioni in cui si respiravano amore e vittoria, dalle quali uscivo ringiovanito, sentendo che avrei potuto affrontare il più temibile dei gárgolas o attraversare l’abisso con una sola spinta, la tristezza è inevitabile.
Che mi diresti tu? “Dai loco, non devi essere triste! Per cosa? È solo carne e pelle, tu non sei morto, la lotta continua e va avanti in ogni caso”, e io dico alla mia mente allucinata: “Lui non avrebbe parlato così, non era irriverente”, meglio pensare che avresti detto qualcosa di più brillante, non avresti pronunciato parole che dice questo vecchio pazzo che strappa applausi alla folla, ma non è riuscito a muovere il suo popolo come hai fatto tu. Da Oriente appare una battaglia finale? Difficile, non impossibile… nel frattempo, a te, stella dei Caraibi, una strizzatina d’occhio e un “¡Hasta la victoria… siempre!”.
El Pepe