Di seguito, pubblichiamo il messaggio di Nemo, comandante della INTERUNIT (Unità degli internazionalisti) in Donbass.
In Donbass non c’è la pace, ma neanche una guerra nella accezione classica del termine, è una situazione congelata che continua a mietere vittime, civili e militari, su ogni lato del fronte.
La guerra combattuta con le armi per me è finita da mesi, aspetto dei documenti con cui poter tornare a casa. Sto nelle retrovie in una struttura della Prizrak dove vanno a riposare i soldati durante i congedi. Un luogo particolarmente noioso. Per fortuna ogni tanto vi giungono anche i compagni più cari con cui si possono passare dei bei momenti. Verso la metà d’aprile arrivò Tyson, aveva preso due settimane di riposo per recuperare dalle fatiche della guerra. Era un vero comunista, critico con gli attuali partiti comunisti, si considerava “sovietico”. Era buono e estremamente positivo. Aveva il fisico da pugile, sport che adorava. Vestiva solo con uniformi della guerra in Afganistan, ce le aveva tutte, estive ed invernali. Sul berretto, oltre alla stella rossa con falce e martello, aveva la spilletta della gioventù comunista dell’Unione Sovietica. Fui molto felice di stare con lui, era un vero amico. Oltretutto parlava un po di inglese, con il quale sopperivamo alle carenze del mio russo, quindi il confronto poteva essere più approfondito. Avevamo una buona sintonia politica, vedevamo le cose in maniera analoga. Eravamo anche d’accordo sul fatto che la guerra aveva preso una piega senza senso, se non veniva dato l’ordine d’attaccare su vasta scala si sarebbe potuti rimanere per decenni in una situazione di tensione che tuttavia causa la morte di tante persone. Questa prospettiva gli sembrava insensata, ma era pronto ad andare avanti nella lotta, qualsiasi cosa pur di non riconsegnare neanche un centimetro di terra ai fascisti.
Un giorno mentre mangiavamo gli dissi che nel giro di pochi giorni sarebbe arrivata la Carovana Antifascista e gli spiegai il progetto. Era sbigottito, pensava che lo prendessi in giro, non poteva credere che in questo posto sperduto avrebbe potuto incontrare uno dei suoi gruppi preferiti. Amava la Banda Bassotti e non avrebbe mai pensato che avrebbe potuto incontrarla proprio qui. Il suo congedo sarebbe finito il 30 aprile, esattamente il giorno in cui era previsto l’arrivo della Carovana, le cose sembravano filare al meglio. Purtroppo il 29 aprile venne richiamato d’urgenza in servizio, avevamo subito un attacco in cui erano morti 5 compagni e lui doveva partecipare al rimpiazzo delle vittime. Era molto dispiaciuto per non poter partecipare all’incontro, ci consolammo promettendoci di andare a vedere insieme un concerto della Banda Bassotti, o in Donbass, o a Mosca, o a Roma quando mi sarebbe venuto a trovare dopo la fine della guerra. Tornò al fronte, ci salutammo con un “arrivederci” e non con un “addio”, gli promisi che prima di partire lo sarei andato a salutare.
Il 7 maggio abbiamo subito un duro attacco, con diverse perdite. Tyson era uno di loro. Non lo rivedrò più. Le promesse fattemi con lui finiranno nel mucchio di quelle che non potranno essere mantenute a causa della morte; queste promesse sono tante, sempre di più. Ogni volta che muore un compagno è un colpo molto duro, ma quando questo è anche un amico, il dolore è insostenibile.
Lui concordava con la mia scelta di continuare la lotta solo sul piano politico, almeno fino al giorno in cui non ci saranno offensive su vasta scala, quindi non cambierò la mia idea, anzi la rafforzerò per lui e per tutti gli altri compagni caduti.
Tyson e gli altri sono morti per un mondo migliore, un mondo socialista, ora sta a noi costruirlo. Questo è il modo migliore d’onorare la loro memoria.
Ora i nostri pugni si levano al cielo per salutarvi, ma poi torneranno a colpire i nostri nemici.
Nemo, Alchevsk 7 maggio 2017